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A Vernazza andammo, per la prima volta  nel 1969: io avevo 14 anni. A differenza di Bellaria, dove noi bambini Scaramuzzi abbiamo “fatto il mare”, a Vernazza il Mare è subito stato una cosa differente. La Spiaggia che si raggiungeva a piedi, passando sotto un arco basso, diventava facilmente impraticabile con la marea. Si noleggiava una barca con conducente (spesso era Tonino) e ci si faceva portare in una caletta deserta, dove si stava come Robinson. Alloggiavamo da Gianni Franzi, che con un anticipo fulminante sulle mode, gestiva un  albergo diffuso: le camere erano arredate da artisti e registi teatrali. Distribuite in edifici diversi, su e giù per i carrugi del paese, erano tutte diverse e decisamente originali, con una miscela di vecchi mobili e molti interventi in muratura (nicchie, armadi, librerie, sedili, docce), con audacissimi tocchi di colore, sculture in cartapesta, tessili di arredo. Molto dopo si sarebbero definiti etnici ma allora erano semplicemente fuori dal comune e aumentavano la specialità di Vernazza, che già in natura era grande. Oggi vedo che le case policrome abbarbicate tra i vigneti terrazzati sono comuni alle Cinque Terre: allora non vedevo altro che lei, la mia Vernazza. Che era tutt’uno con Franzi, Stalìn, Tonino e gli altri che popolavano la piazza sul porto e il molo. Un microcosmo, in cui pietre e persone non erano distinguibili.

Gianni Viacava, il patron della Trattoria Franzi, (Gianni Franzi non esiste e Franzi non è un cognome) racconta nel suo libro quegli anni che sono i miei. Dice che erano i VIP ad assorbire qualcosa di Vernazza, ad imitare quello stile e non il contrario, come avveniva nelle località alla moda. Anche se erano i forestieri famosi a portare le mode, come gli abiti di Cacharel,  il dominio restava in mano ai locali, con la loro ritrosia un po’ burbera, la flemma laboriosa con cui gestivano gli ospiti, tenendoli a giusta distanza con garbata ironia. 

Era questa la cifra: nessuno avrebbe potuto colonizzare Gianni, Stalin, sua moglie Lorenza, Pino, Tonino, Enzo, il Grillo. I ragazzi che servivano ai tavoli non erano camerieri: erano marinai, barcaioli, pescatori, che Gianni aveva arruolato nella sua speciale avventura di oste, qualcuno studiava e si è poi laureato. C’era una specie di “orgoglio locale”, uno stile a cui ti dovevi uniformare se volevi stare lì. Ed era per quello stile, quell’ecosistema umano, che “fare il mare” a Vernazza era mitico. Oggi sento che qualcosa si è smarrito. Nel 1969 Vernazza era una enclave, più che un santuario naturale, una riserva antropica; oggi è una destinazione per tutta la massa che riesce a contenere. Ho chiaro che occorre agire con antidoti, come si fa con Venezia: andarci in pieno inverno e nei giorni feriali; arrivarci col primo treno del mattino e fermarsi a dormire o almeno fino a cena, quando la marea delle happy hours, dei souvenir, delle mini crociere, dei 5terre trials, è defluita.

Almeno finché c’è Gianni Franzi, con i suoi nuovi ragazzi, e Tonino, col suo gozzo (direi che si chiami Mia). Loro ti trattano esattamente come allora: sei tu che ti devi adattare a noi. E questa mi pare una Forza.

Alla scoperta di:

PER TERRA E PER MARE

A Vernazza, dopo gli anni in cui facevamo il mare, ci sono tornata a studiare per la maturità, primavera del ‘72, con mia madre Giò: faceva freddo, ma lei mi costringeva a sane passeggiate, inerpicate verso Monterosso o Corniglia, perché, diceva, dal vivo ti spiego meglio la stratificazione delle rocce. Paesaggi stupendi, noi ci eravamo saliti da quindicenni, a giocare nelle vigne che chiamavamo auteu, o un nome dialettale simile. Ci ho voluto portare la mia amica Cecilia nell’estate del 1980, dopo che ci eravamo laureate; ci sono stata a festeggiare i 40 anni di un amico biellese, nel ‘95. Gran festa da Gianni Franzi, suonando le chitarre e bevendo sciacchetrà, fino al mattino. Nel 2005 mia sorella doveva addobbare la Chiesetta saracena per un matrimonio e ci sono tornata con Stefano, che avevo già portato a mangiare la Scarpara, quando ho deciso di dividere con lui le cose che contano. Un luogo di cui rimanevo innamorata e continuavo a ritornare. Infine, nel 2018 ho superato l’incantesimo: ho preso un B&B a Spezia (molto carino, il Danè, comodissimo per i treni) e ho affrontato le Cinque Terre, come una turista. Naturalmente, ogni giornata l’ho finita da Franzi, quando Vernazza torna com’era o almeno ti illude che sia così: il mio cameriere, studente universitario, ha lo stile giusto e Gianni Viacava mi fa la dedica sul suo libro, notando che sono mancata a lungo. Mi fa sentire a casa, ma senza esagerare, da spezzino. Come Tonino, che quando finalmente lo incrocio sul molo, mi spiega la funzione della pernécia, la parte finale del dritto di prua. Non ho girolato molto con le barche, ma adoro fotografarle.

 

LEVANTO, LERICI, PORTOVENERE, SARZANA E SPEZIA

In questo Girolo decido di fare anche una crociera per vedere tutte le 5 Terre dal Mare (è la prima volta): è un vero spettacolo. Poi, da Spezia prendo dei bus e arrivo, da un lato, fino a Lerici che è molto piacevole e dall’altro lato a Portovenere che è favolosa. Col treno, prima di cenare a Vernazza, decido di scendere una volta a Manarola e un’altra Riomaggiore e faccio brevi strusci nelle vie principali, dove ci sono ancora parecchie barche a terra anche se l’estate avanza. Il sistema urbanistico, a parte Corniglia, è sempre lo stesso: nelle colline penetra il gambo di un imbuto, che ha la coppa rivolta al porto o alla rada; il gambo è la strada maggiore e forse un tempo era un torrente, come fa pensare il nome Rio maggiore. Oggi è popolato di botteghe, ristoranti, bar, qualche volta ci sono le barche a terra, ben coperte, fuori dagli usci di casa. Ogni paese declina a proprio modo questa tipologia, ha più o meno dislivello, che colma con più o meno scale e terrazze, o calate a mare più e meno tortuose. Fa parte dell’elaborazione del mio tradimento a Vernazza, notare che le 5 Terre sono tutte molto suggestive ed il Parco ne ha salvaguardato il maggior pregio, con una riduzione del danno. Viste dal Mare non hanno eguali e sono giustamente consumate dagli scatti fotografici di italiani e stranieri.

Arrivo fino a Levanto, dove ai tempi lasciavamo le automobili, e faccio un amarcord alla Chiesa di Sant’Andrea dove mi portava la mamma, per non trascurare qualche cenno di cultura artistica, in tutto quel Paesaggio. Bellissima, come le chiese di Portovenere, quella famosa in cima al promontorio e quella di San Lorenzo, meno celebre ma altrettanto bella, nella sua piazzetta sul mare. Appartengono a quel “ligure rigato” bianco e grigio che dicono sia gotico e spopola a Genova, come vedrete in quel Girolo.

Portovenere Chiesa di San Lorenzo

 

La vera sorpresa di questo Girolo è però la stessa Spezia: città  portuale e industriale, mai entrata negli atlanti del turismo e nei miei. Girolando per andare a prendere treni, bus e battelli, ho potuto ammirare le sue molte architetture Liberty e Dèco, soprattutto in via Chiodi e in via Cavour. Sono spesso riccamente restaurate e non hanno molto da invidiare a quelle di alcune capitali d’Europa. C’è anche una Scalinata Cernaia, suggestiva un po’ francese, non lontana dal Mercato coperto di Piazza Cavour e dalla Panetteria dove la proprietaria, ammirando una mia collana, mi ha suggerito di andare a Sarzana: a una come lei dovrebbe piacere. A Spezia infine c’è un largo viale lungomare, con i giardini pubblici da dove partono le crociere e naturalmente un Arsenale, con un Museo Marittimo. Sarzana,  aveva capito la Panettiera, mi è piaciuta: ha una Cattedrale pregevole e una Rocca medicea ben restaurata; l’atmosfera è quella di un piccolo salotto, turistico con moderazione. 

Forse, con questo ultimo girolo, ho tradito Vernazza, o al meno ho esaurito il lungo innamoramento. Nella cantina di Biella ho trovato un libro del 1928 di Ettore Cozzani nato a Spezia, Il regno perduto, che sarebbe Vernazza. Mutuo il pensiero di Cozzani, con un secolo di ritardo: la mia Vernazza adesso è un reame sentimentale. Ma vale la pena di girolare, in quel tratto di Liguria, ancora e ancora.

Vedere tutte le 5 Terre dal mare

è un vero spettacolo

 

Il Regno perduto di Ettore Cozzani