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  >  Eumondo   >  Racconto di Odessa

A Odessa, semplicemente, volevo andare. È uno di quei luoghi, come Salonicco, Sarajevo, Samarcanda che ho in mente “da sempre”. Se metto in fila i vari libri nei quali ho letto di Odessa e dell’Ucraina, devo arrendermi al fatto che li ho letti TUTTI DOPO, perché ero stata ad Odessa. Isaak Babel’, che è un ebreo nativo, ha scritto proprio di lei e di quella che lui chiama odessità. I suoi Racconti tra 1913 e 1924, restituiscono una atmosfera che riconosco: il clima marittimo e solare, l’andatura incantevole delle donne, il brulichio dei cortili, il mescolarsi di origini, nazionalità, prodotti e scambi, botteghe, insegne, aria e manifesti. Carolly Ericson nel suo La Grande Caterina ha ovviamente narrato dell’amante Potemkin (che poi diede il nome alla Corazzata) e dell’iniziativa di costruire Odessa, praticamente dal nulla, nel XVIII Secolo. Otto anni dopo il mio Girolo, ho trovato descrizioni di Odessa in una lettera mandata a mia Zia Fil, nel 1966, da uno dei suoi corteggiatori.  Ad Odessa è tutto sossopra pare che la Guerra sia finita ieri: le strade sono di terra battuta e le auto rare; ci sono taxi che girano continuamente e fanno servizio collettivo, ma è difficile prenderne uno. I negozi non hanno vetrine, sono di Stato e a prezzi fissi. Lo Stato vende persino le pellicce per incamerare valuta straniera, ed una massa di pelli di astrakan costa pochissimo, così come le pelli di ondatra e di zibellino. Ci sono molte donne che lavorano in porto infagottate in pantaloni e giubbotti imbottiti, la loro femminilità ne perde, ma hanno denti magnifici. Anche in città ci sono ragazze con denti smaglianti, vestite attillate, con colori vistosi e indossano scarpe a puntissima. Alcune donne potrebbero essere greche o turche, miscele di sangue.

ALLA SCOPERTA DI:

ODESSA

Nel 2008 sapevo pochissimo di Odessa, oltre al nome, che mi affascinava in sé. Mi stupii di trovare facilmente un volo, con uno scalo facile a Vienna. Contrariamente alle mie abitudini, di approfondita conoscenza del luogo, non ricordo di aver letto qualcosa o cercato in rete: rimanevo in una nebulosa di intuizioni. La Guida la comperai una volta arrivata lì, di tutta l’Ucraina: un malloppo in inglese, che dedica alla città 4 pagine su 640 (0,62%). Come se fosse un corpuscolo estraneo alla celebrazione del Paese: devo pensare che Odessa non è l’Ucraina?!. Solo al ritorno (!) ho poi comperato la Guida Lonely Planet, per ripercorrere quello che avevo visto. Oltre al volo avevo prenotato, online, una camera con colazione al Londonskaya hotel sul Boulevard Primorsky, quello della celebre Scalinata Potemkin: prima era intitolato a Richelieu (sì proprio lui!), Governatore della Città. Mi avevano raccomandato, visto che girolavo da sola, di scegliere posti centrali, di “alta gamma” e volentieri mi attenni al criterio, data la mia passione per gli alberghi di lusso. In verità l’Ucraina non era ancora costosa (non so se lo sia diventata) ed il lusso del Londonskaya era largamente abbordabile. Sono rimasta molto soddisfatta di quella scelta: per la posizione ottima, per l’edificio di eleganza sbiadita, per un petit dejouner imponente, ricco di variazioni orientali e, benché a buffet, servito di tutto punto con sciupìo di camerieri. Un retaggio della piena occupazione sovietica. Talmente confortevole, l’hotel, che ci ho passato anche qualche pomeriggio, sorseggiando infusi speziati, rigorosamente in bicchiere, affacciata sul Primorky, mentre fuori il sole bisticciava con la neve. Odessa fa rima con Contessa: mi trattavo bene, una vacanza nella vacanza.

Sgombero subitissimo il campo dalla Scalinata, famosa per la carrozzella che precipita nel film di Eizenstein (sì, quello che Fantozzi, definisce una boiata pazzesca). Volutamente ve la faccio vedere in una “citazione fotografica”: un manifesto nello stesso Boulevard, ad un incrocio semaforico. Infatti, considerare la vera scalinata (disegnata dall’italiano Boffo) il clou di Odessa è una boiata pazzesca, mi perdoneranno i marinai ammutinati e tutti i patrioti ucraini. La Memoria è Memoria e onore agli eroi, ma l’oggetto è insignificante, brutto, e non commuove. Inoltre, se il regista non ci avesse girato la sua scena madre, i 192 scalini non avrebbero mai evocato l’insurrezione del 1905, che si svolse altrove, pur avendo come miccia la Corazzata in Porto.

Non credo di avervi ancora mai detto che ho un debole per i Porti (o forse sì, in Danimarca?), di ogni genere e scala: dai minuscoli Cove della Cornovaglia alle banchine di Rotterdam. Forse sono segnata dal Porto Canale di Bellaria (dove facevo il Mare da piccola) e da Porto Marghera che ho studiato per 30 anni. Sono affetta da coazione a visitare i Porti, cosa che ho fatto immediatamente, nel mio secondo giorno a Odessa. Se a questo abbinate la passione per il Mare in Inverno, un posto come Odessa a fine Novembre, è il mio. Quando ci sono arrivata, ho capito perché ci volevo tanto andare!

OTRADA ED ARKADIA

Riservandomi il centro città per pomeriggi di giroli e serata di ristori, ho messo gambe in spalla e mi sono diretta sul lungomare, senza una meta precisa, con la sola mappa cartacea presa in hotel. Attraverso una amplissima zona portuale, zeppa di gru, di container e di navi alla fonda, all’orizzonte. Ci sono due cani, assortiti bianco e nero, che stazionano vigilando. I cani sono molto frequenti in giro per Odessa, liberi e forse randagi, ma non malconci: qualcuno li sfama. Uno status che nelle nostre città abbiamo dimenticato da decenni.

Cammina e cammina, mi sono trovata nel mio elemento naturale, la Spiaggia in inverno: con un vecchio stabilimento di cura (forse pubblico), che aveva una cafeteria con terrazza, dotata di coperte per starsene all’aperto. Cammino ancora: c’è un drappello di soldatesse che fa il cambio della guardia ad un qualche eroe marinaro, che ha un monumento in un Parco, sul lungomare. Sono giovanissime e pur in divisa hanno dei vezzosissimi fiocchi di tulle da sposa, sui capelli lunghi e biondo naturale. Mi pare di cogliere che le ragazze siano belle e come leggerò (dopo) in Babel, flessuose, elastiche, armoniose. Anche le soldatesse.

La spiaggia (credo sia Otrada) è popolata da cittadini qualunque, donne rigorosamente col foulard a rose e i maschi col berretto alla Lenin. Si appoggiano ai tavolini di cemento, coloratissimi e fanno la coda ai chioschi, coloratissimi anche loro. C’è una vaga aria di abbandono ma può essere che sia la stagione; qualcuno sta facendo lavori con gli scavatori. Però gli autoparlanti mandano  Incessantemente musica dei Beatles. Cammino ancora e arrivo ad una improbabile cestovia che porta dalla Spiaggia alla parte collinare della città. Il clima è solare, ma ho capito che basta poco perché torni il maltempo. La neve è ancora fresca, sulla Spiaggia di Arkadia (dove pare si concentri la vita notturna, che io non faccio). Mentre torno nelle braccia del Londoskaya, lungo la uliça Puskinska medito di salire su uno dei tantissimi marshrutka (minibus) che hanno numeri e cartelli di destinazione ridondanti, come i passeggeri. Non si capisce affatto dove siano diretti e che percorso seguano: sembra tutto molto caotico e contrattato. Ogni poco, l’autista (uomo o donna) aggiunge un cartello con una nuova destinazione, relativa a chi è appena salito: tutti insieme riempiono il parabrezza e quasi impediscono di vedere la strada. Io non saprei proprio in che lingua spiegarmi. Quanto al cirillico, mi accorgo che mi aiuta aver studiato greco, perché riesco a distinguere qualche consonante, come la д e la Ф oltre all’omega e ai diversi tipi di E. Per il resto è una questione di allenamento: dopo qualche ora di insegne, manifesti e pubblicità mi familiarizzo con la translitterazione e mi ritrovo con parole di cui non so il significato ma riesco a leggerle. Farò molto esercizio con i Menù, che talvolta sono anche tradotti in inglese. La prima sera, pertanto, scelgo il Kumanet che si presenta turistico e in quanto tale permette di non andare del tutto alla cieca e capire cosa ordini. Scopro i vareniky, ravioli variamente ripieni molto simili ai nostri (ai pelmeni russi e ai pierogi polacchi). Male che vada li riconoscerò anche in cirillico e non morirò di fame.

PRYVOZ E PUSKINSKA

Il mio secondo giorno lo dedico al Mercato del Pryvoz, con una seconda camminata robusta, di qualche chilometro. Attraverso molta parte delle città, lungo la Proebrazenskaija uliça che unisce il mio quartiere a quello oltre la Stazione Ferroviaria. Sono ancora in centro (Primorskij Rajon), ma fuori dal cuore turistico, quello che frequento di sera, vicino all’hotel. Mi comporto prudentemente, come mi hanno detto. Camminando camminando scopro un aspetto di Odessa che mi affascina molto e che rileggerò in Babel: i cortili. La città ha un impianto di fine Ottocento e primo Novecento, molto forte, che ha resistito al tempo e alle guerre e non è stato contaminato o sostituito dai crudi interventi sovietici. Gli edifici sono spesso privi di manutenzione e di restauro, se si escludono i grandi lavori che coinvolgono il cluster turistico tra Opera, Scalinata, Gogolya, Gorsad (giardini) e Pasazh. 

Ma, ovunque, si coglie una bellezza passata, sfiorita, a tratti decrepita eppure sontuosa.

Ci sono facciate molto decorate, con residui di colori pastello, che si sfarinano; ci sono finestre e balconi importanti, con cariatidi, colonne, capitelli, cornici di fiori e frutta e poi un bucato qualunque steso sulla corda o direttamente sulla ringhiera. Retaggio delle requisizioni di palazzi nobiliari per alloggiare i proletari. Però il ferro battuto è ben lavorato, disegni di fino, per cancelli che si aprono su cortili decadenti, ma vividi, con attività varie, persino gli studi di advokat, talvolta con i fiori, spesso con i cani, le automobili e i camion, i panni stesi. Alcuni balconi restaurati sono di rara leggiadria. Poi ci sono quelli chiusi a veranda, con fini lavori di legno o con orribili lamiere a tinte forti.

I marciapiedi sono popolati da donne spazzino, attivissime, con i loro strumenti differenziati per vari utilizzi: rifiuti, cartacce, fogliame, acque di scolo. Anche alla guida dei tram e dei bus, spesso, ci sono le donne in divisa. Invece, al Pryvoz,  le donne sono vestite da matrioske, panni contadini a strati e fiori; vendono il sir (il formaggio molle) per terra: esposto su pezzi di lenzuolo, che sono serviti come sacco per portarlo qui dalla campagna. Questo commercio è ancora distante dall’Europa in cui viviamo noi occidentali. Al Pryvoz ho qualche rifiuto dello sporco e della decadenza, mi trattengo dal comperare una tazza di sir da mangiare all’impronta, in un contenitore di plastica riutilizzato chissà quante volte e lavato chissà come. Entro in un centro commerciale nuovissimo, né brutto né bello, con diversi militari di guardia; dall’alto ho la visione dei banchi alimentari, forniti e ordinatissimi e penso alle file per il pane dei tempi andati. Mi sembra che Odessa accolga una ondata di benessere vistoso, chissà quanto diffuso e profondo, quanto solido. In Deribasoskaya ci sono boutique occidentali lussuose, molte griffe e marche italiane: entro in un negozio che espone un giaccone di astrakan, nero. La commessa mi guarda scettica, mi soppesa scostante e mi dice che costa molto: chissà chi sono i suoi clienti abituali. Poi per una questione di taglia, non se ne fa nulla: il molto caro erano 1.200 euro, che per una pelliccia non mi sembra irragionevole. Avessi con me il corteggiatore della Zia!! Quando al Pasazh vedo una flessuosa odessita che si aggira con i suoi stivali bianco-neri, morbidi, che la fasciano fino al ginocchio, abbinati ad una strepitosa borsa coi fiori, capisco a che tipo di cliente si rivolge alla venditrice di astrakan. Dal manifesto mi guarda algida anche Nicole Kidman, che propone Omega. Cercando di entrare in quella sfumatura odessita, i nuovi ricchi, scendo in un seminterrato per bere un aperitivo in un Club, di cui non ricordo il nome. Locale di notevoli pretese e di rara pacchianeria, però il Moscow Mule è squisito. A seguire sperimento un ristorante russo, il Kasylysa, nessuna traduzione dal cirillico e mi tocca andare a caso, ma sono onnivora e fortunata.

EKATERINA, PASAZH, SANTA TROICKAJA, GRIVNE

Terzo giorno. Decido di approfondire il cuore del centro. Passeggio sul mio boulevard Primorsky, dove il clima è autunnale, ma poi dal Mar Nero arriva il vento e porta il sole. Nel viale i ferri battuti, meglio conservati che verso il Pryvoz, si fanno apprezzare, con una eleganza Liberty decisamente mitteleuropea. C’è anche un edificio colonnato che pare sia dello stesso architetto italiano (di Orosei), autore della Scalinata. Il sole fa brillare le facciate ridipinte della Gogolya, che si chiamava Italyanskaja in quanto popolata di artisti e imprenditori edili, venuti per la grande costruzione di fine Settecento. Ekaterina è lì, svettante in bronzo, sotto di lei, piccolissimi, gli altri fondatori (Deribas, Potemkin e Co.): a ricordare che tutto ciò che vedo “l’ha voluto Lei”. L’interno del Pasazh, una vera galleria di negozi come a Londra, Parigi, Lipsia, è restauratissimo, ridondante e glassato come una torta di Salisburgo. Entro in un bazar e compero uno scialle nero di lana, con magnifiche rose, che mi costa una cifra, artigianato Bielorusso. La sera ceno da Klarabara, che si affaccia sul Gorsad: ordino un borsch per capire che non mi piace, troppo acido, ma lo mangio tutto perché “non si avanza”.  Se faccio mente locale su cosa ho “visitato” a Odessa, a fatica ricordo due siti: una Chiesa Ortodossa (Santissima Trinità) dipinta di verde menta ed una Casa-Museo (Bleschunov, forse). Nella prima assisto, defilata, ad un rito suggestivo oltre l’iconostasi (dove il celebrante è solo) mentre al di qua, vicino all’ingresso, si srotola incessante la processione di fedeli, i quali scrivono le proprie richieste ai santi e le posano sotto le rispettive immagini. Mi sembra lo stesso criterio delle destinazioni, richieste e aggiunte sul parabrezza dei minibus collettivi. 

Nella Casa-museo ho dovuto contrattare il prezzo del biglietto con due babuske odessite, imbarazzate perché metà della Collezione non era visitabile e non volevano pagassi il prezzo intero. Alla fine ho preso il foglietto con la planimetria della casa, l’ho piegato a metà e lo stesso ho fatto con un biglietto da 200 Grivne. Le babuske si sono rasserenate, e mi hanno fatto capire che, sì, 100 Grivne sarebbero andate bene per metà museo (poco più di 3 euro). Ma poi sono tornate tristi, perché non avevano il resto delle 200 Grivne. A quel punto ho preso in mano la contrattazione, ho offerto un biglietto da 5 euro e anche il loro rigore sovietico ha ceduto. Non ricordo nulla di ciò che ho visto, arredi domestici, teche di oggetti e forse Icone. Però le due bigliettaie odessite sono per me un’icona indelebile, veri personaggi di Babel’.

Santissima Trinità
Ekaterina
200 Grivne