VITRA CAMPUS
Come sia successo di scoprire l’esistenza del Campus Vitra a Weil am Rehin, non lo ricordo. Avendo per consorte un designer operaio, che pensa, disegna e realizza mobili, l’ispirazione su questi temi è di casa. L’anno 2007, però, mi fa sospettare una congiunzione astrale: nel 2005 eravamo stati a Bilbao, finalmente, a visitare il Guggenheim Museum progettato da Frank O’ Gery e potevo aver seguito le sue tracce nel resto d’Europa, approdando a Vitra. Oppure, nel 2006, recensendo un libro sul Design nei distretti industriali del Veneto, avevo ripassato alcuni testi base su quell’argomento ed ero incappata nella sedia DCM Dining Chair Metal di Charles e Ray Eames (1946), una icona. Può suonare bizzarro che siano stati due economisti (Bettiol e Micelli) ad ispirarmi un Girolo nell’universo del Design, ma in verità è appropriato, poiché questo termine indica proprio il tentativo di progettare oggetti funzionali, esteticamente curati, con innovazione di forme e materiali, per la produzione industriale in serie. Adesso chiamiamo a sproposito “oggetto di design” qualunque cosa bella, di marca e costosa, ma l’idea originaria era diversa: unire il bello all’utile, nell’industria di massa. Le solite utopie: una DCM costa quasi 700 euro! Sta di fatto che, in qualche modo, una ispirazione ha mulinato per un po’, finché è arrivata l’occasione, a Pasqua del 2007, di andare apposta fino a Weil am Rehin, vicino a Basilea.
ALLA SCOPERTA DI:
FUGGIRE IN SVIZZERA
Nel 1993 mi era capitato di entrare in aspro conflitto con le alte cariche del consorzio veneziano, dove lavoravo come ricercatrice. Le conseguenze furono brusche: a tratti riuscivo a prenderla sul ridere, a tratti meno. Ritenni fosse meglio “rompere l’aria” per qualche tempo e fuggii in Svizzera, portando l’unico capitale che possiedo, cioè il mio intelletto. A Basilea, nel centro ricerche della Ciba Geigy, lavorava un amico israeliano che avevo conosciuto a Cambridge, nel 1987: abitava lì con sua moglie, una ragazza svizzera, che faceva meravigliose torte di carote. Il campo di studio alla Ciba era “il dialogo tra i nervi” e mi sembrava un tema adatto, alla mia situazione. Basel me la ricordo poco, come uno sfondo non importante: avevo altro per la testa e volevo farmi coccolare, da due amabili persone, come accadde. Ero arrivata fin là, in automobile, facendo tappa a Lucerna e a Zurigo, dove mi ero resa conto che il denaro svizzero ha fatto incetta dell’Arte Contemporanea, europea ed americana, allestendo superbi Musei. Ho giurato che ci avrei portato mio marito, una volta o l’altra. Pur essendo così vicina, per argomento e per localizzazione, non mi accorsi di Vitra. A volte il meglio ci sfiora, ma noi siamo distratti.
Progettare oggetti funzionali, esteticamente curati, con innovazione di forme e materiali
SUL PRATO DEI MELI
La Vitra produceva arredi in Svizzera dal 1934 e ha preso sede a Weil in Germania dal 1950. Ad inizio anni Ottanta lo stabilimento di Weil fu distrutto da un incendio e dalle ceneri nacque il Campus. Non mi azzardo a farvene la storia, né il repertorio di progettisti: vi rimando a vitra.com per sapere e vedere tutto. Le mie immagini sono soltanto uno stuzzichino che spero solletichi appetito d’arte. Ne metto molte, perché parlano da sole.
Gli edifici inconfondibili di Frank di O’Ghery sono del 1989 e non si può non notarli, bianchi sui verdi prati di meli, improvvisi e alieni. Poco prima siete ancora immersi nelle casette di Hansel e Gretel, con rustici orti. Sia Basel che Weil sono in un crocevia internazionale complicato, tra Francia, Svizzera e Germania: un intrico di autostrade e zone industriali, residui di campagna con le vigne, dove è molto facile perdersi. La prima volta (a Pasqua del 2007) ci è capitato proprio così, finché le nivee costruzioni di O’ Gery ci hanno inchiodati. Giocattoli di un bambino gigante, che la mamma contadina ha lasciato solo, mentre zappava i cavoli o coglieva la frutta. Sul prato ci sono anche martello, tenaglia e cacciavite per giganti, che aumentano il senso di balocchi dimenticati (sono di Oldenburg e della moglie van Bruggen). Sono passati tutti quanti, gli architetti famosi, a giocare tra i meli. Prouvè, Bauckminster Fuller, Jasper Morrison, Renzo Piano, Tadao Ando, Herzog e De Meuron, Alvaro Siza e Zaha Hadid, lo studio SANAA (oltre a scultori e designer). Il Campus è diventato un Open Museum dell’architettura contemporanea: una Icona imperdibile. Continuano ad aggiungersi oggetti e bisogna continuare a tornarci.
LA FONDAZIONE BEYELER
Confesso che il secondo Girolo da Vitra, nel 2011, è stato determinato da un’altra emergenza espositiva, non distante da Weil, nel crocevia di Basilea: a Riehen ha sede la Fondazione Beyeler, ricchi mecenati che hanno investito in arte (come avevo capito nel 1993). Mi ero innamorata di Richard Serra, il laminatore, proprio al Guggenheim di Bilbao (nel 2005), quando avevo girolato attorno alle sue Ellipses e dentro lo Snake. Ho deciso che DOVEVAMO andare a vedere la Mostra a Beyeler, dedicata a lui e a Costantin Brancusi, uno scultore del Novecento che adoro (a Parigi c’è il suo Atelier Brancusi, disegnato da Renzo Piano). Per capirci, Brancusi è quello delle teste di pietra o di ottone, oblunghe e senza troppi segni di naso, bocca e occhi, posate in orizzontale, cosi dove capita. La coppia del laminatore e del decollatore era, per me, imperdibile.
Così siamo partiti per non so quale destinazione delle vacanze estive (poteva essere la Bretagna), ponendo come prima tappa il carrefour delle arti franco-svizzero-tedesco. La Mostra era bella: alla Villa Berower sede originaria della Fondazione, un Settecento severo ed elegante, è accostato il nuovo edificio di Renzo Piano. Tanto per non farsi mancare nulla.
Il Vitra Campus è sempre meritevole di un ritorno: c’era la nuova VitraHaus di Herzog&de Meuron (2010), che ospita tutta la produzione Vitra Home, oltre ad una gigantesca Cafeteria (con le sedie della ditta). L’interno è molto bello e rende significativi i bow-window a casetta, che dall’esterno sembrano messi lì solo per animare la facciata. Gli scaloni di legno e la luce conferiscono una atmosfera calda e dorata; fuori si vedono i prati.
Ordinando le mie fotografie del 2011, la scala di Herzog&de Meuron, nella sala di ingresso della Vitra Haus si è associata alla immagine recentemente scoperta della cosiddetta Palestra del Duce, all’EUR (architetto Luigi Moretti 1937). Identiche, a distanza di 74 anni.
BASEL
Anche se andrete nel crocevia di tre Paesi per Vitra e Beyeler, non trascurate Basilea.
È una città piacevole, ricca, ospitale, ci si sta volentieri: abbiamo girolato a piedi e con i modernissimi tram, abbiamo visto strade e piazze restauratissime, il lungofiume ed anche il Museo della Carta, dentro un antico Mulino. Non ricordo particolari posti per dormire o mangiare, a parte delle coloratissime uova sode, servite con il boccale di birra e l’immancabile pretzel: un simpatico rituale di Pasqua, anche nei locali senza pretese.
Mi viene in mente che l’innovazione di Vitra risulta più forte in rapporto alla Tradizione sempre viva, come capita spesso in Svizzera e anche in Germania ed Austria. Ho scelto di accostare alcune immagini della vecchia Basilea con l’edilizia del Campus. Sono sicura che qualcuno non ama il naif delle casette a graticcio e i restauri un po’ leccati, a colori pastello; ma sono molti molti di più quelli che dicono “io l’architettura moderna non la capisco”, per non dire mi fa vomitare. Il Campus Vitra potrebbe essere l’occasione per allargare i confini del gusto.