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LECCO

A fine 2024, decido di mettere ordine delle mie fotografie sui Laghi Lombardi: sono sparse in tanti giroli e diversi anni, molte non so nemmeno di averle. In Vista Lago 1 vi ho parlato di Cannobio, l’ouverture di trent’anni fa. Non vi ho detto che, con Stefano, ad ogni ritorno sui Laghi, ci facevamo  la domanda “perché non facciamo sosta a Lecco, ché non siamo mai stati?!” E ogni volta, arrivati nella piazza lunga (XX Settembre), alle spalle del Lungolago, abbiamo riconosciuto di esserci già stati (come ci capita con l’Abbazia di St. Gilles in Provenza). Certi luoghi hanno questo karma: non sono icone imperdibili perciò pensi di averli trascurati e che non sia giusto. E dire che, se c’è un ramo del Lago di Como impresso in tutte le menti italiche, è quello che volge a Mezzogiorno, quello di Lecco, appunto. Alle spalle c’è il Resegone e lungo la riva Pescarenico, luoghi manzoniani per eccellenza. Ed ecco che, andando da Dolo a Biella (lungo la Dolla), decido una deviazione larga, prenoto un hotel a Lecco (anche se non capisco che è Lecco, perché il Comune è Malgrate). Si chiama Promessi Sposi e mi sento a postissimo. Dico subito che è un albergo molto raccomandabile e il suo ristorante anche di più: ho mangiato spaghetti ai missoltini (pesce alosa lacustre), assolutamente memorabili. La mattina, dalle finestre, si indovinava il Resegone, dentro nebbie cospicue, con apparizioni di casette, comignoli ed antenne evanescenti. Il Lago, a corso e figura di fiume, è bellissimo al calar del sole: verso i monti velature rosa-perlate, riverberi di bronzo e mercurio sull’acqua, pescatori immersi con stivaloni inguinali, un sistema di canne, reti, secchielli, ceste, tutt’intorno a sé. Faccio a piedi, volentieri, il tragitto dall’albergo fino in centro (da Malgrate a Lecco): scopro che la (solita) piazza lunga è solo una parte del passeggio commerciale urbano, che congiunge (un chilometro o poco meno), la Basilica (non bella) alla Piazza Manzoni, lungo Corso Roma. Oltre, ci sarebbe Pescarenico, ma è buio, un’altra volta. Vedo un Cafè Hemingway che mi mette un tarlo: non sapevo che Ernest praticasse queste zone. Cerco di documentarmi, ma direi che si confonde il Verbano di Stresa con il Lario di Lecco, dato che lui alloggiava al Des Iles Borromees, del quale era diventato old client. Decido di non cascare nella seduzione degli “ospiti illustri” e mi seggo al Commercio, vicino ad un Museo denominato Palazzo delle Paure (ci stava La Finanza!), che andrà visto senz’altro, nella mia scoperta del Novecento italiano (adesso è chiuso). Scelgo un cocktail al rum bianco, Papa Double, tra i preferiti di Hemingway e lo sguardo stranito della cameriera mi conferma che, qui, lo scrittore americano non era di casa. O, quanto meno, a lei non è stato detto. Non arrivo a consigliarvi Lecco come via dello shopping, ma io che non sono fanatica delle vetrine o incline all’acquisto compulsivo, sono tornata in hotel con diversi shopper, tra cui intimo che non ho mai voglia di provare, una Guida TCI della Lombardia (che mi serve), una scheda fotografica perché l’ho dimenticata a Dolo. Ho scritto sopra le mutande (col pennarello da stoffa) Lecco novembre 2024, così escludo di pensare che non ci sono mai stata.

ALLA SCOPERTA DI:

LOMBARDIA ROMANICA

È la Verde del TCI (mi serviva) ad indicarmi due monumenti romanici, molto pregevoli: San Vincenzo con San Giovanni a Galliano e la Basilica di San Pietro e Paolo ad Agliate, frazione di Carate Brianza. I due compendi sono diversi, ma ugualmente notevoli e meritano l’attenta ricerca delle deviazioni per raggiungerli. Troppo scontato pensare che l’Italia è disseminata  di meraviglie persino nella “Brianza velenosa” cantata da Lucio Battisti (1980), il quale aveva deciso di viverci comunque (a Molteno). La mia generazione abbina la Brianza a Seveso (simbolo dell’inquinamento ambientale) o al “mobile brianzolo”. Artigiani e poi industriali alacri, ingegnosi e fortunati (a lungo, prima di Ikea), magari inquinatori (ancora inconsapevoli) di acqua, aria e terra. La Brianza, no, non posso dire di rivalutarla: la marmellata edilizia di villette-e-capannoni supera addirittura quella veneta, e non vedo redenzione. Eppure, resistono questi compendi bellissimi, di una Lombardia che fu, ai tempi dei monaci e dei signori, nei secoli che definiamo bui e che rifulgono di tesori. Non c’entrano i Laghi, ma siamo molto molto vicini. E poi, devio verso Erba che sarebbe sul proprio Lago, non ho la minima speranza di ritrovare la trattoria delle carote in saor (Vista laghi 1): faccio due passi, bevo un caffè, fuggo. 

compendi bellissimi, di una Lombardia che fu, ai tempi dei monaci e dei signori, nei secoli che definiamo bui e che rifulgono di tesori

Mi do appuntamento con Ale e Alfredo (che vengono dal Verbano) a Busto Arsizio dove, in pandemia, ho mangiato un gelato superbo di fichi. Questa volta stiamo a pranzo Dal Tarlisu, una maschera del Carnevale bustocco. L’Osteria rivisita le tradizioni, come si dice, e lo fa molto bene. Da Busto a Biella, scelgo di allungare i chilometri (+22), prendendo l’autostrada invece della SS142: la nebbia è tornata fittissima, quasi quasi non vedo il casello di Carisio. 20 secondi dopo, mi appare nitidissima la chiostra biellese, senza neve (nevicherà 3 giorni dopo). Queste deviazioni lungo la Dolla (Dolo-Biella), sono studiate per rendermi il viaggio meno ripetitivo e, anche se finisco per raddoppiare i chilometri e le ore di guida, mi portano in luoghi improbabili dove mai penserei di girolare. Come la Brianza velenosa, per dire. Ah: il libro è ovviamente di Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi. Ma considero un testo anche Una Giornata Uggiosa, LP del 1980, del non meno grande Lucio Battisti.