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VIENNA D’ANTAN

Nel 1972, feci un girolo lungo il Ring (Girolo Eumondo Praga): Vienna era una delle destinazioni del viaggio- regalo della Zia Fil, per la mia maturità anticipata: avevo passato l’esame di stato alla fine della II, come privatista portando tutte le materie e uscendo con 48/60. Ero una secchiona e volevo fuggire da Biella, con la scusa dell’università. Tutto quello che avevo visto di Vienna, erano le carrozzelle a cavalli (ci sono ancora), i tetti smaltati di Santo Stefano e l’aeroporto (Girolo Budapest). Tornai a Vienna, con mia mamma Giò ad inizio anni Ottanta, col treno da Venezia (oggi c’è un ipercity: 7 ore, 37 euro). Dormimmo in un albergo centrale economico, una camera minuscola quanto due letti singoli, tra i quali era difficile mettere i piedi per entrare e uscire: faceva un caldo fuori misura, opposto al gelo esterno. Mia mamma si era comperata un piumino color argento, come i suoi capelli, con il cappuccio bordato di pelliccia: io la trascinavo, a piedi, per mercati (Naschmarkt?) e Hof e lei si lamentava appena. Dopo che, a Limone Piemonte, si era smarrita oltre il confine Italia-Francia, l’avevo redarguita sonoramente: me l’aveva riportata in albergo la Gendarmerie, dopo che li aveva affabulati sul suo girolo, usando un francese d’antan. “Se ti perdi un’altra volta, ti abbandono” le avevo intimato e, dopo allora, mi seguiva mansueta come fossi stata la Guida Amato Bich (Girolo d’antan Cogne). A Vienna era contenta quando trovavamo una gasthaus con la tagessuppe, bollente, come a Grinzing. “Dobbiamo proprio vederli tutti, questi Hof?” mi chiedeva sommessa, ma poi si rammentava della Gendarmerie e fingeva di obbedire. Per compensarla del gelo, avevo preso i biglietti per un Konzert, nella Sala che vedevamo in Tv a Capodanno: gran valzer, qualche mozartino per gradire e immancabili lieder. Con la sua ironia signorile, la Giò disse “siamo state belle al caldo, col Mozart”. Magari ne avessimo fatti di più di giroli, io e la mamma, prima che si ammalasse, nel 1994: siamo andate a Maribor, Bled, Salisburgo, al tempietto di Cividale, sul Collio sloveno, in Val Varaita, in Val Lessinia, sul Lago di Lugano e Maggiore, a Machaby e Kaberlaba (Girolo). Di questi giroli d’antan ricordo più lei che i luoghi e Vienna, sì vabbè il Jugendstil, ma non mi aveva appassionata. Con Stefano andavamo in Austria abbastanza spesso: a Linz, a Graz, a Salzburg, a Innsbruck, a Bad Gastein. La passione di Stefano è il gulasch, come lo faceva una sua zia acquisita, che era ‘striaca, con la paprika dolce; non disdegna gli champignon impanati con la salsa tartara e, ça va sans dire, la wiener schnitzel che va cucinata nel burro. Dico per i non architetti: gli Hof sono casermoni di appartamenti popolari, il più celebre si chiama Karl Marx e spiega tutto della cosiddetta Vienna Rossa, prima dell’avvento nazista.

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RITORNO A VIENNA

Già. Finalmente un vero lungo soggiorno a Vienna, l’ultimo viaggio nel 2019 prima del regime Covid. Ci andiamo per un Open di Scacchi, con l’intera famiglia. Un albergo “di design” (The Levante), vicino alla sede del torneo che è la Rathaus (enorme palazzo neogotico). Quando arriviamo, Stefano ed io cadiamo subito il Café Landtmann, tra Il Teatro Civico e il Parco del Municipio, dove si svolge un curioso Festival di Musica-sullo-schermo: per 65 giorni proiettano all’aperto e per tutti, Concerti, Opere, Musical di ogni genere possibile (dalla Carmen ad Amy Winehouse, da Cole Porter a John&Yoko). Così ci immergiamo subito in quel nockerl imperialpopolare che è Vienna: per un verso magnificenza e raffinatezza, per l’altro sagra di paese. Un attimo sei di fronte all’oro di Klimt o di Joseph Olbrich e un secondo dopo hai in mano un vassoio di polistirolo con wurst e crauti, che se ti vedesse Margarethe Wittgenstein non vorrebbe frequentarti mai. Gli orari degli scacchisti costringono a cercare locali per la cena che siano aperti fino a tardi: non si sa quando finiscono; per ultimo sempre Andrea, perché spesso vince.  Così scopriamo la Gasthaus zur Stadt Paris: poco più di una birreria, ci sono viennesi maschi che giocano alle carte, abitualmente. Siccome non è in centro ci sono pochi turisti e il menù mantiene piatti locali, veraci: lo riporto dal web, perché spiega molto. C’è il gulasch ma anche il brasato, sempre serviti con una specie di rotolo di pane raffermo, tagliato a fette spesse: mezza via tra nockerl (gnocchi), knodel (canederli) e spatzle, ideale per pucciarlo nei sughi densi e aromatici. Veniamo adottati: i camerieri sono bruschi di modi, ma ci sfamano fino alle ore piccole e ci trovano un tavolo anche se il locale è pieno. Nel triangolo Rathaus, Paris e Parliament si genera un temporaneo vicinato, che ci piace: un po’ come con STAV a Berlino (Girolo Berlino). Girolo anche lungo la Josephstadt Strasse, che è un  vero mesclun tra paese-e-metropoli: ci sono cafè eleganti (come Eiles), casette a due piani, negozi tipo Loos, un Teatro; da lì si raggiunge Maria-Treu, una piazzetta incantevole con una chiesa bianchissima. Mentre gli scacchisti giocano, posso fare la girolona e non mi risparmio, né viaggi casuali sui tram (fino a Hietzing e all’Inceneritore di Unterwasser), né dentro i musei (doppio sogno, perché ci sono quelli del Belvedere e il Quartiere MQ), né in cafè e birrerie. Mangio il gulash da sola da Alt Wien e scopro la Wirsthaus Zatti. Escludo di farvi una guida di Vienna, seguo le mie fotografie (tante): naturalmente vado in cerca dei luoghi dove sono già stata (con mia mamma), i top dello Jugendstil (che trovo restauratissimi), gli Hof e gli Heurigen, i mercati con le montagne di crauti.  Poi, quando ci raggiunge Mara, ripassiamo le confetterie principali a cominciare da Sacher e Demel, anche se c’è la coda. Le nostre chiacchiere viennesi sono fantastiche, degne di una novella di Schnitzler. Essì, perché se a Praga vi accompagnano Kafka e Kundera (oltre che Apollinaire, ISPIRAZIONI), a Vienna non potete capire l’atmosfera imperial-borghese senza Gioco all’Alba, Doppio Sogno, la Signorina Else e soprattutto Amoretto. Ci vorrebbe il dottor Freud per spiegare cosa si scatena tra due signore, sedute in un cafè viennese.

Un attimo sei di fronte all’oro di Klimt o di Joseph Olbrich e un secondo dopo hai in mano un vassoio di polistirolo con wurst e crauti, che se ti vedesse Margarethe Wittgenstein non vorrebbe frequentarti mai.

KLIMT

Adoro Gustav Klimt. A Vienna vi potete beare di un suo lavoro giovanile insieme ai fratelli (Museo di Belle Arti, nei pennacchi tra colonne) e capire come sia passato dal figurativo classico, storicista e greve, alla essenzialità delle sue dame borghesi fino ai nudi quasi stilizzati di sensualità ieratica. La ricostruzione del Fregio Beethoven è un’icona assoluta. Basterebbe Klimt, ma ci sono anche Otto Wagner e Joseph Olbrich, che per decori non sono secondi a nessuno (la Cupola d’oro della Secessione, le Stazioni di treni e metro). Loos sarebbe sbalordito da tanti meravigliosi ornamenti-delitti (Girolo Praga): a Vienna trova spazio anche lui, nel centro del centro, con alcuni negozi (Maze e Knize) e nel suo American Bar, uno scrigno piccolissimo, geometrie raffinate in prezioso alabastro, la coda per sedersi, ma vale la pena; lo stesso per i Bagni Pubblici progettati da lui, sul Graben. Ci sarebbero due quartieri, esterni, dove girolare tra le Ville di Wagner e di Loos, ma sarà per un quarto ritorno a Vienna. E poi, non vi bastassero le due collezioni del Belvedere e quelle dell’Albertina, c’è il nuovissimo MQ che raduna le nuove proposte museali viennesi. Una ubriacatura di capolavori (oltre a Klimt, quasi tutto Schiele), cui si aggiungono ricostruzioni degli arredi Jugendstil. Letti, tavoli, scrivanie, seggiole, divani, tendaggi; e poi gioielli raffinatissimi, come i vestiti: il legame tra Klimt e Fortuny, diventa palpabile (Recall Fortuny). Già: Venezia e Vienna. È del 1984 un Catalogo imperdibile della Mostra Le Arti a Vienna, una collaborazione tra Biennale e Fondazione Palazzo Grassi (prima che passasse alla FIAT). È stato per anni una fonte di ispirazione per i miei disegni tessili, di cui un giorno vi dirò. Da sola, mi spingo lungo il viale con le cosiddette case smaltate (Linke Wienzeile) dove ci sono anche un mercato delle pulci e le stazioni del metro originarie, belle in superficie, magnifiche nel sottosuolo.

IMPERIAL-POPOLARE

A 18 anni ignoravo chi fosse Hundertwasser, quando Harley mi regalò un suo manifesto: a Vienna esiste un quartiere tutto progettato da lui, con le case come fossero suoi quadri, coloratissimi e strambi. Lungo il Donaukanal sta pure il suo Inceneritore, decorato a quel modo: assai interessante. Sul fiume, girolo con Stefano (quando non gioca) e scopriamo un’altra anima viennese: quella street art (Girolo IdoloVE) che si è mescolata profondamente con quel che rimane di imperiale e di Jugend, come le ringhiere o la elegante Casa delle remiere). Sicuramente fa parte della Vienna pop, quella del Festival-musica-sullo schermo, in versione frangia. Le Guide consigliano il Donaukanal, ma io ho prediletto l’Alte Donau, la parte vecchia, lontana dal centro e un po’ abbandonata, sembra una Vienna non-turistica, mi interessa. Tuttavia, sono stata per lo più nella Innerstadt, sul Ring, a Josephstadt dove c’era il nostro vicinato, a Neustadt dove c’è MQ e hanno casa Andrea e Mara (in Lindengasse, zona elegante). Ho finito per girolare ogni giorno attorno al Dom, nei Cortili imperiali (Hofburg), al Burgtheater e all’Albertina, a Stadtpark e in Linke Wienzeile. Ritrovo l’Apotheke Jugendstil accuratamente restaurata rispetto ad inizio anni ‘80: la donna angelica brilla il giusto, come il decoro a girasoli. Le guglie del Duomo si specchiano in un edificio di Hans Hollein (quello della Torta a Francoforte), che rompe l’idillio imperiale. Una city verticale sembra nascere lungo il Donau, come lungo il Meno: svetta la DC Tower di Dominique Perrault. Ma direi che la Vienna imperiale non abbia furia di edifici archistar: sbaglio?