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Castellon de la Plana – Grao

Nel 2010 mi hanno invitata a tenere una lecture alla Università di Castellon Jaime I, Comunidad Valenciana. Talvolta i miei interventi si basavano sul libro di testo Inventare i Luoghi Turistici (Cedam) del 1993: non vi venga in mente di cercarlo, per leggerlo perché è andato al macero. In altri casi, mi chiedevano di presentare Il Caso Venezia, assai interessante per chiunque si occupi di destination managment (gestione della località turistica). Ѐ da poco iniziato il sistema di prenotazione onerosa degli accessi a Venezia (2024), sul quale con i miei colleghi del Coses ho studiato una vita (era pronto nel 2008, prevedeva sconti invece che oneri): osservo questo test con curiosità, felice di esserne fuori. La mia presentazione per la Jaime I è preparata in power point, con belle immagini accattivanti e poche righe sintetiche: l’illustrazione e il dialogo avveniva in un inglese molto basic. Come dice Federico FDP, si “faceva a capirsi”, che è un esercizio di democrazia. Non posso dire che li stupivo i miei discenti, ma che li incuriosivo sì: ero preceduta dal fascino di Venezia, che mi garantiva la loro attenzione. Naturalmente, fuori dalle mie poche ore di aula, ero libera di girolare, sola soletta, come piace a me (Girolo Volos). Castellon, ad essere sincera, non è straordinaria, altrimenti non l’avrei fatta così lunga sulle mie lecture!! Ha qualche edificio modernista, qualche azulejos piazzata qua e là, in una città sicuramente non turistica. Una studentessa mi prestò la sua bicicletta per una mezza giornata (la presi e la riportai al Campus della Jaime I) e andai dritta filata al mare, nella località di Grao. Era inizio maggio, clima felice; lungomare c’erano le spiagge sabbiose ed un paseo maritimo appena ridisegnato, col recupero delle strutture portuali (un Casino’?) e statue giganti stile Mirò, che evocavano il Beaubourg. Una gita fuori porta, come fossi stata a Pietrasanta e fossi arrivata a Fiumetto (Girolo) o da Pisa a Marina di Pisa (avrei potuto trovare un Bar Lume, per dire). Non ricordo altro di Castellon: né dove cenai (due sere), né dove dormii, né come fossero la Jaime I o i suoi studenti. Le fotografie mi mostrano qualche casa modernista (nessuna veranda!!) e molti manifesti del Plan B il nuovo film con Jennifer Lopez e Alex O’Loughlin (Hawai Five 0), alle fermate dei bus (ecologici). Una città molto normale, non turistica. 

ALLA SCOPERTA DI:

Valencia

Naturalmente approfittai per passare una giornata a Valencia (mi pentii di non aver cambiato albergo ed essere rientrata a dormire a Castellon, potevo ben permettermi di rinunciare ad una camera pagata, acci): ci andai col treno e arrivai in una bella Estaciò del Nord (sì, anche Valencia scrive le cose in catalano), decisamente Art Nouveau (1917): un accesso invitante ad una città piacevole, luminosa e innovativa. Se guardo la mia Guida TCI della Spagna 1992 (Giroli Lo Espagnol) non trovo traccia di quello che vidi a Valencia nel 2010 e che mi piacque parecchio; credo sia un effetto della Coppa America, che coinvolse Valencia nel 2007 e ne ridisegnò drasticamente il volto (con cantieri da inizio 2000). Nei primi anni Novanta non vi era né traccia né sentore del rinnovo urbano incardinato sul Rio Turia, che percorreva tutta la città, sottile come uno spago d’acqua, costretto dal cemento, quasi interrato: era straripato nel 1957 e, quindi, allontanato dalla città e ridotto a una canaletta. Sta proprio lì la geniale trasfigurazione valenciana (disegnata da Bofill): il vasto letto (asciutto) del Turia è diventato un grandioso parco urbano, lunghissimo e importante, che attraversa tutta la città e conduce al mare, nel Puerto dell’America’s Cup. Vedere per capire: forse sarebbe stato educativo aver visto il rigagnolo cementato, prima: per una che insegna l’invenzione dei luoghi, sarebbe stata tanta roba. Oggi Valencia è raccomandata e gradita come destinazione turistica, in virtù della trasformazione del suo rigagnolo in uadi delle archistar, a cominciare dal solito Santiago Calatrava, che già nel 1995 aveva gettato una passerella sul uadi, il Ponte de Alameda. Seguendo il Turia, dopo ciclovie, ippovie e campi per ogni sport, prati e boschetti, giochi per bambini ispirati a Mirò, si giunge in vista di edifici contemporanei, rigorosamente bianco-metallo-vetro. Visitandoli o meno (come ho fatto io)  si raggiunge il Puerto. Sembra che loro stesse, le architetture dentro lo uadi, stiano scendendo verso il Mediterraneo, loro vero e ultimo destino; sono bestioni marini, balene, squali, foche, mostri; qualcuno di altre ere geologiche è spolpato, scheletro bianco pieno di lische aguzze, ganasce, cartilagini trasparenti e fanoni. Di Valencia ho amato la zona Portuale (dove di bianchissimo c’è un edificio di Chipperfield) e la spiaggia lungo la quale ci sono molti ristoranti di paella, ci mancherebbe. Questa è la Comunidad delle risaie, dove cresce l’arroz bomba e la paella alla valenciana è forse la più classica. Basta vedere i negozi normali di casalinghi (e ferramenta) che espongono un assortimento di padelle mai visto altrove, in tutta la Spagna. Io l’ho mangiata, direi, a Le Caravelle, scelto a caso: un posto popolare, senza nessun lusso da America’s Cup, Louis Vuitton Cup, di Luna Rossa e di Alinghi (team svizzero, pensa tu). Il quartiere del Puerto mi piace: è qualunque ma genuino, con qualche tocco antico, modernista, chiese e arsenali (atarazans del XIV secolo restauratissimi). Mi sarebbe stato spontaneo associare Valencia soltanto alle architetture del Rio Turia e invece, nelle fotografie, c’è molto di modernista (oltre alla Estaciò, un Mercato coperto bellissimo) ed addirittura qualche dettaglio di chiesa romanica o barocca, una porta con decoro isabelino (Puerta del Serrans?), un portale tutto d’oro. Testimonianza che, in mezza giornata, ho girolato tantissimo a piedi, in centro (Ajuntamento, San Nicolau, Plaza Redonda), lungo il Turia e al mare. Clima mediterraneo perfetto, luce totale, bouganvillee trionfanti: stesso colore della mia camicia di seta (outfit da insegnante). Que Viva España! A Valencia mi sono fatta i migliori selfie della mia vita (avevo una digitale tascabile, l’ideale): stavo per compiere 56 anni ma non si direbbe (alla faccia di J-Lo).

Sembra che loro stesse, le architetture dentro lo uadi, stiano scendendo verso il Mediterraneo, loro vero e ultimo destino