STRASSOLT
CASADOGANA A NORD EST
Strassoldo, frazione di Cervignano del Friuli, entra nei miei atlanti nel 1971, quando con Paola, compagna del Ginnasio, andiamo in vacanza dalla Zia Fausta, una grande amica di sua nonna, settantenne. Fausta nata vicino a Vienna nel 1902, aveva avuto una vita movimentata, passando per il Veneto, Milano e Roma dove aveva lavorato al Campidoglio con Alberto Mancini (segretario generale della Capitale), che poi avrebbe sposato. Insieme erano approdati in Friuli e avevano deciso di abitare la Casa Dogana, comprata dal nonno materno di Fausta per sua mamma Dolores. La Casa si chiamava così perché, vicinissima al confine di un tempo tra Austria e Friuli, aveva ospitato i Finanzieri asburgici. Fausta era una donna speciale, un personaggio dal fascino poliedrico e il mio legame con lei è diventato forte, nonostante ci siamo viste poco, dopo i primi giroli a Strassoldo, negli anni Settanta. Conservo la lettera che mi scrisse, nel 1984, alla morte di Enrico Berlinguer, della quale le avevo parlato in diretta, dall’ospedale di Padova e poi dall’aeroporto di Tessera. Ci sono tornata qualche volta, senza Paola, e ci siamo confessate solo adesso che andavamo a farle conoscere gli amorosi, per vedere se approvava (lo ha fatto solo con i due che dopo abbiamo sposato!!). Non ricordavo di essere stata io a chiamare subito la Zia Fausta, Zifà.
Quello che non sapevo di Fausta, l’ho letto nel 2020 in cervignanonostra.it, sulla Rivista di quella Associazione, n.11/19: se volete farvene un’idea, potete consultarla online. Mi piacerebbe tanto avere qualcosa scritto da lei, qualcuno dei suoi libri introvabili o delle novelle che ho ascoltato una sola volta alla Radio, quando eravamo alla Casa Dogana e non riesco in alcun modo a ritrovare. Aveva una attenzione speciale per il Friulano: non un dialetto ma una Lingua, diceva, e credo che la usasse, per scrivere i suoi racconti radiofonici.
Così ho deciso di prendere come compagni di girolo scrittori, rigorosamente regionali: Maldini, Marin, Pasolini.
Se qualchidun, insoma,
al crodès di esprimisi miej cu’l dialet de la so ciera,
pì nuf, pì fresc, pì fuart si no la lenga nasional” imparada tai libris?
PASOLINI
Quando soggiornavamo a Casa Dogana, Zifà ci portava in visita dai suoi amici, alcuni appartenevano alla nobiltà friulana che pare ancora molto presente e diffusa, come racconta Sergio Maldini nel suo La Casa a Nordest, del 1991, (vent’anni dopo): abitavano in pertinenze rustiche di Ville, talmente morigerate da sembrare cascine, a Strassoldo a Persereano a Passariano, dove era vissuto persino Napoleone.
È indelebile, per me, la visita al grande poeta Biagio Marin, nella sua casetta di Grado. Avrei scoperto i versi di Marin molti anni dopo, grazie a Marco Paolini, ma il personaggio lo ricordo da allora: scontroso e solitario, parlava probabilmente solo con le proprie liriche.
Quel picolo orteselo che no hè buo
el sconde la gno pase:
e l’erba alta tase,
in ascolto d’un piangiussà minuo.
A vespro ‘l sol el rade le vanese
e luse l’insalata verdulina
e una rosa zalona sensa spina,
riùssa a un firmamento de sariese.
BIAGIO MARIN
ALLA SCOPERTA DI:
PASOLINI, ZIGAINA, PICCOLE DONNE E MACBETH
Sono già due gli scrittori che mi accompagnano, in questo Girolo friulano. Ma, come non aggiungere il Pasolini di Un Paese di temporali e primule (Guanda 1993) che parla proprio di quelle pianure, del Tagliamento e della Lingua furlana. Se rivedo la Casa Dogana, ripercorro i corridoi saturi di libri e mi fermo nello studio dove Zifà dipingeva e scriveva a macchina, come la baronessa Blixen (Girolo Le ragazze danesi). Ho ritrovato online alcuni dei quadri che vedevo a Casa Dogana: nel sito dei Beni Culturali Friuli un disegno di Treccani e le biciclette di Zigaina (che sono anche sulla copertina di Pasolini); in una Collezione privata un ritratto dipinto ad olio di Guttuso. Stavano, affollati, sulla parete del caminetto di Zifà , di fronte a due poltroncine capitonnè, in pendant con un divanetto due posti che lei chiama l’utero, per la comodità impareggiabile. Fausta era strenua paladina di tutte le minoranze, dei diritti civili e dei monumenti negletti. In primo luogo la sua Strassoldo: la glisiuta di Santa Maria in Vineis, il Mulino ad acqua con la ruota ancora di legno. Con i suoi amici radicali festeggiammo il Referendum sul Divorzio, era maggio 1974, mangiando fiori di Sambuco fritti, dalla Germana che era l’ostessa di Strassoldo, poco distante dalla villa Vitas, oggi sede di una Winery lussuosa. A Casa Dogana, Zifà cucinava poco, perché era anziana ed affaticata anche se, fuori casa, guidava ancora disinvoltamente una Topolino Giardinetta, in perfetto pendant con lei: pratica ed originale. Quando non andavamo da Germana, o non veniva lei stessa a portare pasti caldi -in anticipo di mezzo secolo sulle mode Deliveroo– Fausta buttava letteralmente in pentola quello che veniva dai picoli orteseli e faceva il Minestrone Macbeth, con tutti gli odori dell’Oriente, come se fosse una Strolega, una strega. Quando il budino le veniva male, lo chiamava Rosmini perché per il filosofo cattolicissimo non avevamo simpatia. Ho scoperto a Casa Dogana le tisane liofilizzate, come la camomilla e le cent’erbe, che arrivavano dalla Jugoslavia, Paese che nel 1971 c’era ancora. Lei le comprava quando andava oltre confine a fare la benzina, che costava molto meno. Un altro mondo!! Nel bagno di Casa Dogana, grandissimo e affacciato sul giardino, troneggiava una tazza da toilet di porcellana austriaca a decori floreali blu, che spiaceva utilizzare, sporcandola. Zifà metteva a disposizione due rotoli di carta igienica: appositi cartelli, scritti a mano con la sua bella grafia da scolara di inizio Secolo, spiegavano che uno era per i proletari e l’altro per i miliardari, (precisamente per i loro sfintèri). Faceva parte del suo stile, dissacrante e signorile. Accanto al letto teneva Piccole Donne della Alcott: diceva che per la sua generazione era stata una bibbia di emancipazione e riscatto.
I CASTELLI DI STRASSOLDO
Sono tornata a Strassoldo, 21 maggio 2021. Sarebbe contenta Zifà, perché il restauro è globale, accurato e d’effetto, borghipiubelliditalia.it. Per la glisiuta di Santa Maria in Vineis lei non aveva risparmiato gli sforzi, per salvarla dal degrado, con dentro il suo ciclo di affreschi medioevali, sulla vita della Madonna. La chiesa in Vineis è oggi circondata da un anello di mura e di strade a ciottoli, perfette. L’Osteria della Germana non esiste più: ci sono due locali, prima di svoltare nella strada che conduce ai Castelli. In uno dei locali, il Barbagianni, noto una stufa di ceramica, alla maniera austriaca: mi pare di ricordare che ci fosse nella sala della Germana, ma non sono sicura. Dall’altra parte della strada, rispetto alle osterie, c’è Villa Vitas (albergo e Tenuta Vitivinicola), restauratissima ed invitante. Spettacolari sono i due Castelli di sotto e di sopra, circondati da belle mura e fioriti con dovizia garbata. Ci sono le due Porte, alcuni tratti di muro merlato, ma per il resto non troverete castelli, bensì dimore del settecento, una Chiesa, le case del borgo e parchi curatissimi e privati, con rigoglio di rose. Ai miei tempi non era visitabile nulla di tutto questo, eppure i siti erano certamente già quelli e in quel sito: potenza del recupero e dei moltissimi denari profusi sul patrimonio della Regione autonoma Friuli VG.
LA BASSA FRIULANA
Quando ero ospite di Zifà, girolavo con Paola nella Bassa Friulana, terra di risorgive e di prati. Arrivavamo a Cervignano, fino a Palmanova -città a pianta di stella– e a Grado, con la Giardinetta guidata da Fausta (noi non avevamo la patente). C’è lei tra i pini marittimi verso il Mare di Grado, uno scatto polaroid, mentre sta fotografando noi due ragazzine, che fotografiamo lei. Da sole ci avventuravamo a piedi o meglio in bicicletta, una vecchia da donna ed una Graziella modernissima. Raggiungevamo la Latteria di Joannis che è tuttora un caposaldo della zona; andavamo anche a Castions, a Muscoli, a Visco ad Aiello, forse a comperare qualcos’altro o semplicemente per pedalare. Girolavamo anche nel giardino della Casa Dogana e nei terreni adiacenti, coltivati. Leggo che nella vasca di pietra del giardino, in origine, erano ambientate addirittura piante acquatiche del Congo (volute da Dolores): ai miei tempi rimaneva un mosaico di muschi ed alghe, come nel rio dei Castelli, cose più indigene e spontanee. L’asina Susanna era il massimo delle attrazioni, aveva una propria stalla minuscola e galoppava nei campi di proprietà della Casa, facendo frusciare le foglie secche del mais. La Paola osava cavalcarla come una Maria in fuga per l’Egitto, io schiva di ogni ardimento fisico anche mooolto modesto, mi limitavo a carezzarle il muso ispido e tenerissimo. Dal terrazzo del primo piano, tra le fronde della magnolia italica, del cedro del Libano, dei platani sulla strada, si potevano ascoltare veri e propri concerti di uccelli, soprattutto nelle albe estive, quando ancora non era arrivato il caldo. Pasolini dedica un racconto alle foglie, fuejs, che cantano. Scrive “fuejs cantavano le foglie, aghis le acque”. Se c’era un idealtipo del luogo dove avrei voluto abitare, quella era Casa Dogana, le sue foglie e la vasca col muschio; se c’era una Donna che avrei voluto essere, da grande, era Zifà.
JOANNIS DI AIELLO E PALMANOVA
Non posso non girolare fino a Joannis e anche qui trovo una piazza con Chiesa di Sant’Agnese ed una via centrale festonata da belle case antiche, mediamente restaurate. Quello che non lo sono, resistono: ricordano alcuni palazzetti minori di Grado e in qualche corte occhieggiano meridiane dipinte sul muro e fienili con le chiusure in forati, quelle che piacciono a me. Non avevo notato, negli anni Settanta, questi dettagli, presa dalle pedalate e dalla missione di fare acquisti alla Latteria; oppure è il recupero che ha fatto miracoli anche qui.
C’è una importante Villa, che scopro essere degli Strassoldo-Frangipane: restaurata ed inaccessibile. Leggo che, nei dintorni, le Ville si sprecano, come se sfidassero quelle del Veneto, ma non è per questo che sono qui. Bevo un ottimo vino rosso (siamo in Friuli!!), con piatto di “formaggio latteria”, che l’ostessa mi garantisce essere locale. Purtroppo è domenica e lo Spaccio è chiuso. Tornando verso Venezia, dopo praterie con i papaveri, ho un brevissimo flash di grande fascino: il perimetro fortificato di Palmanova, a forma di stella, è completamente rivestito di prati, un mare verde con dei grandi cavalloni, che lambiscono le tre porte di Vincenzo Scamozzi.
Loro sembrano bastimenti, bianchi, resistenti ai marosi dell’erba. Una visione, difficile da comunicare, perché ci vorrebbe un filmato, tutto intorno al fossato, o dall’anello alto dei rivellini. Molte volte, in Pasolini ma anche in Maldini, ci sono descrizioni della pianura di queste parti, la Bassa. All’orizzonte, non si profilano montagne: c’è un biancore luminoso che “pare risucchiarlo nel vuoto, slabbrarlo, nel mistero di una cerea lontananza”. Così scrive Pasolini e, altrove, aggiunge:
Il Nievo non poteva esistere che qui, in questo Friuli non troppo Friuli, le grandi campagne illeggiadrite dalla chiara civiltà adriatica
PASOLINI
Così gli scrittori sono 5: Zifà, Maldini, Marin, Pasolini, Nievo.
E, ad onorare la creatività di Fausta per i nomi dei cibi, vi anticipo un Girolo “La frittata di Aglaura”, nei Luoghi Nieviani.