San Gaetano
Per oltre 10 anni il mio lavoro era fare Piani Commerciali: uno dei mestieri che non riuscivo a far capire a mia Zia Filippa. Diciamola semplice: dovevo aiutare i Comuni a decidere dove era opportuno lasciar aprire dei negozi e dove no. Questo mi ha portata a diventare una Girolona professionale, a conoscere tutte le frazioni e le case sparse della provincia di Venezia. Negli anni Novanta sono passata ad occuparmi di Turismo: dove ce n’era troppo e dove si sarebbe potuto portarne un po’, sempre per farla breve. Si cominciava a parlare di arriere pays, cioè del territorio che stava alle spalle della costa veneta, già ampiamente conosciuta per le sue destinazioni balneari, troppo affollate. Si provava a mettere in valore altri luoghi, minori o sconosciuti, per quei viaggiatori che fossero stufi del sole-spiaggia-sesso, estivo. Così ho fatto molti Giroli, alle spalle dei luoghi noti, come Jesolo e Caorle e ho scoperto un patrimonio rurale ed una costellazione di siti che erano perfetti anche per il visitatore di prossimità, vicino a casa sua. Pertanto, la Clausura non mi ha colta impreparata. Per stare alle ispirazioni letterarie, come non citare Hemingway e Di là del fiume e tra gli alberi, che parla proprio di San Gaetano e delle Valli lagunari, del suo amico, Barone Nanuk Franchetti. Ma non è merito suo se trovo imperdibili questi luoghi.
ALLA SCOPERTA DI:
SAN GAETANO
San Gaetano, frazione di Caorle, l’ho scoperta allora, nei miei sopralluoghi di lavoro. Fu una rivelazione, per me che amo i siti dismessi, usciti dalla Storia e dalla Geografia dominanti, con tutta la poesia dell’Abbandono. Poi, documentandomi ex post, scoprii che proprio lì era stato Hemingway, ospite del Barone Nanuk Franchetti, proprietario del borgo. Si intuiva facilmente la tipologia del l’insediamento rurale, annesso alla Villa: la dimora padronale, l’oratorio dedicato a San Gaetano di Thiene, le case per i lavoranti, i depositi, le fattorie. Tutto ben organizzato sulle rive dei canali, che governavano terre di bonifica, in prossimità delle Valli Lagunari. Un paesaggio che adoro e nel quale vi porterò spesso. Era ancora tutto riconoscibile ed apprezzabile, anche se il Degrado si acquattava tra i muri, irridente e inesorabile.
Era la fine degli anni Ottanta e San Gaetano è rimasto nel mio ricordo come un posto incantato.
Tornarci, nel 2020, è stato un piccolo dolore. Nonostante Hemingway e nonostante molte Guide raccomandino questo sito (una per tutte: Pauletto e Supino, 1995 In bicicletta tra Veneto e Friuli, Ediciclo), gli edifici sono implosi: a parte qualche raro recupero abitativo, il Degrado ha trionfato. Ci sarebbe da chiedersi perché, data la vicinanza di Caorle, con i suoi milioni di vacanzieri e dato che altri siti (come i casoni lagunari) sono stati proposti con successo, ad integrazione dei soggiorni balneari. Perché?! La magia che ricordavo è sovrastata dal dispiacere, leggermente attenuata dal fatto di esserci stata “in tempo”, aver fatto qualche fotografia di un luogo che potrebbe scomparire. Vi suggerisco di andarci comunque (voi non potrete avere una delusione!): godetevi gli ultimi fotogrammi di un bel film.
MAR MAIS
Una piccola consolazione è venuta subito, ritornando da San Gaetano fino alla Provinciale SP59, verso Santo Stino di Livenza, luogo natale di Romano Pascutto un cantore di queste Campagne. È stata la veduta dei campi di mais, color oro antico, contro un cielo straordinariamente blu e animato da nuvole nordiche. Questa campagna, il latifondo delle bonifiche, la chiamavamo Mar Mais quando ci occupavamo di pianificazione territoriale per la Provincia di Venezia (il nome è stato inventato dall’architetto capo).
In effetti in quegli spazi molto vasti, tra i piccoli centri da San Donà a Latisana, c’era una volta il Mare ed era stato asciugato dai diversi cicli delle bonifiche, tenuto asciutto da un sistema ammirevole di Idrovore, di cui restano molti edifici (restaurati), ma soprattutto molti Consorzi di Bonifica attivi. Non ci fossero i Consorzi, invece del Mar Mais avremmo in poco tempo il Mar Adriatico, ovvero le sue paludi non proprio salubri. I colori bellissimi che il paesaggio mescola, mi fanno pensare a Mar Bronzo, Marrame, Maroro. Ma la consolazione quasi completa mi viene da Ca’ Corniani, fino a qualche anno fa una tenuta agricola delle Assicurazioni Generali, chiusa al pubblico. Generali, attraverso Genagricola SpA, ha fatto quello che avrebbero dovuto fare a San Gaetano, secondo me. Il Borgo agricolo -aperto ai visitatori- è stato parzialmente ma molto accuratamente ristrutturato.
CA’ CORNIANI
Sono già completate le vecchie Cantine, destinate ad esposizione ed eventi: un edificio imponente, con dei singolari camini che servivano alla circolazione d’aria necessaria per il vino. Poiché -come ho detto- siamo sotto il livello del mare, non erano possibili cantine, scavate nel sottosuolo: si sarebbero trovate acqua salata e sabbia. Così i Corniani degli Algarotti, nobile Famiglia, si sono inventati un clima artificiale, utilizzando il vento, incanalato nei camini: l’aria veniva catturata, fatta circolare e ricambiata, tramite le canne fumarie. Un utilizzo ingegnoso, opposto a quello ordinario. Un secondo edificio, di uguale dimensione è coperto dai teloni di un cantiere, in attesa di recupero. Accostato alle cantine, dopo i parcheggi, un edificio postmoderno, un gigantesco container, a vistosi scacchi colorati, che potrebbe essere in Danimarca. Funziona da Stazione biciclette, per il cicloturismo di tutto l’arriere pays. Mi dicono che funzioni bene: ricovero, noleggio, bici-officina, partenza di itinerari e visite su ciclopiste. Quello che pensavamo: talvolta si azzecca a prevedere, anche se bisogna attendere con pazienza chi investa per realizzare.
Da questo spazio si accede alla Tenuta vera e propria che si organizza in tre corti collegate. Nella prima (non restaurata e abitata) ci sono edifici per la residenza dei lavoranti e per il ricovero degli animali e delle macchine. Sulla porta di una casa, un gatto bianco e rosso sta facendo toeletta, al sole.
Un bellissimo edificio incornicia il paesaggio piatto del latifondo, a perdita d’occhio: la Tenuta può essere visitata in bicicletta o a piedi, per 10 chilometri di itinerario, che diventeranno 32. La seconda corte viene chiamata Campo delle Procuratorie, e suggella il legame intimo con Venezia: attorno a San Marco ci sono le Procuratie, Vecchei e Nuove. In questa specie di Piazza Rurale si stipulavano i contratti agrari, attraverso i procuratori. Oggi è uno spazio residenziale, molto suggestivo, più e meno restaurato (a seconda dei privati che vi abitano), con portici su due piani e davanzali fioriti. Il prato, con alberi, che riempie la piazza, mi richiama l’atmosfera che c’è nel Campo di San Giuseppe di Castello, a Venezia. Ca’ Corniani mi piace un sacco perché non sembra un museo della Bonifica, ma un luogo vivo e vero, anche se il Tempo sta sospeso, come in Laguna. L’ultima corte è decisamente agricola: sotto i portici ci sono macchine moderne, probabilmente attive; non c’è restauro, solo qualche manutenzione, con mani di colori accesi sugli intonaci, mentre i forati tendono a sfarinarsi. Chissà, per quanto ancora l’attività di Generagricola terrà in vita questa parte della Tenuta, prima di cedere completamente alla funzione di soggiorno ricreativo. Il Turismo, sappiatelo, riempie i vuoti e diventa l’attività sostitutiva di quelle che finiscono: è un grande riciclatore di luoghi, coi suoi vantaggi e i suoi rischi. Uscendo dalla Tenuta mi sento vagamente risarcita dal dolore di San Gaetano: Ca’ Corniani è un bellissimo sito e non andrà perduto. Anche se non ha la medesima magia, che sta anche nell’aleggiare dell’Abbandono, permette di vedere come erano questi luoghi prima dello sviluppo turistico, come si lavorava ed abitava, nel paesaggio del Mar Mais.
Tornando verso Venezia, scelgo di non fare la SS14 (Trieste-Venezia) ma la cosiddetta Jesolana o Litoranea o Triestina Bassa. È la strada che unisce tutte le stazioni balneari veneziane, da Bibione a Cavallino: ha diverse discontinuità (bisogna risalire gli argini, passare dei ponti e ridiscendere verso il Mare), tra cui un suggestivo ponte di barche (a pagamento) tra Eraclea e Jesolo Lido, costo 0.90 euro. Lungo il percorso possiamo vedere reti da pesca a bilancia, gli argini rialzati sui canali, le Idrovore, alcuni crocevia d’acqua scenografici come in località Brian (Girolo Livenza), a cavaliere tra Caorle ed Eraclea.
È un itinerario che consiglio senza riserve, per godere del paesaggio speciale di questo arriere pays, dove c‘era una volta il Mare. Negli anni Ottanta non chiamavo ancora queste terre Mar Mais, ma avevo descritto la percezione del Mare, quello vero, che si avvertiva anche senza vederlo. L’immagine che avevo usato era quella del tuffatore che si è già staccato da terra, sapendo che cadrà in acqua. Così era viaggiare nella Venezia Orientale: si presentiva l’Adriatico, sapendo che ci saresti finita dentro.
CA’ COTTONI
Risalendo lungo un argine, verso la SS14, ho un ulteriore ristoro, dopo la delusione di San Gaetano: è il sito di Ca’ Cottoni, dove una casa colonica (sulla sinistra), un oratorio ed una villa veneta minore (sulla destra), segnano il paesaggio piatto e senza sfondo del Mar Mais. Anche da questo sito partono percorsi molto ben segnalati del GiraLivenza, una rete di ciclovie dentro il Mar Mais, lungo il fiume che porta a Santo Stino, a Motta (Santuario), alla stessa Caorle. Ma di Caorle e dei suoi Casoni vi racconto in altro Girolo.
Non ricordo il nome del ristorante di Caorle, dove incontrai anche un vero personaggio locale, che sarebbe piaciuto moltissimo ad Hemingway e viceversa. Raccontava di aver inventato e realizzato un sistema di ceste subacquee per “coltivare” crostacei. Avrebbe voluto brevettarlo, ma temeva non fosse del tutto “a norma”. Insieme a lui pranzava un imprenditore agricolo del Mar Mais, che non era un Barone ma forse soltanto Cavaliere del Lavoro: per non essere da meno dell’Inventore, fantasticava di allagare parte delle proprie terre bonificate e farci un villaggio turistico di (finti) casoni. Al tempo, si diffondevano tesi ambientaliste secondo cui la tecnica del “lagunaggio” poteva funzionare, oltre che per il disinquinamento agricolo, anche per la difesa idraulica. Magari sarebbe stato un progetto d’avanguardia, basato sul ripristino delle paludi originarie, su itinerari nautici a remi, sulla caccia in botte, come ai tempi di Hemingway e di Nanuk Franchetti. I cosiddetti Ecolodge, se si adattavano alla foresta del Madagascar, sarebbero andati bene anche per le ex Valli di Caorle.
Nota Bene: esiste un sito molto interessante per chi voglia approfondire le terre del Mar Mais, si chiama terrevolute.it. Le più belle foto di quelle zone, secondo me, le fa Francesco Finotto e sono accessibili al suo sito e su Instagram.