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PER ORVIETO A VITERBO

Agosto 1982, fresca di patente, con la mia Ford Fiesta S (sfiga), decido temerariamente di portare Stefano nella pancia italiana: Viterbo, la Tuscia, i Volsini, i Cimini, posti etruschi come Tuscania e Tarquinia, paesi che al Nord sono quasi sconosciuti, come Bomarzo, Caprarola, Bagnaia, Vitorchiano, Ronciglione. Marco Mengoni nascerà 6 anni dopo, a Ronciglione: dove adesso c’è una sua gigantografia che incornicia la porta del Municipio “Guerriero”. 40 anni fa, l’impressione generale era stata di un pezzo di Italia fuori da tempo: piccoli centri che crollano perché il tufo si sfarina; vicoli dove è sempre ombra e buio; cornicioni di finestra aperti sul nulla; portoncini con le stampelle. Locali, dove bere e mangiare, nei quali si entrava con timore di disturbare: l’Osteria in piazza a Civita (le donne sedute fuori, in grembiule da casa), i Garibaldini a Vitorchiano, dove c’era un uomo con una scimmia sulla spalla, la Pizzeria di San Martino, 3 romane 3 birre 5 mila £. Le mie diapositive sono svampite, poche foto in bianco e nero aumentano l’effetto da neorealismo: un contadino cestino in spalla, torri smangiate dal tempo, i Mostri di Bomarzo, le fontane di Bagnaia. Io che parlo con un vigile a Soriano, Stefano che accarezza una gigantessa col seno percorso dai licheni: giovani da far invidia. Avevamo dormito chissà dove, a caso, rifacendoci con un paio di notti al Balletti Park con piscina, che ci pareva un lusso. Lì, avevamo incrociato Gianni, amico dell’università e lui ci aveva portati a cena a Tarquinia Lido, guida spericolatissima, pesce del Tirreno e stornellate romane.

Anche quella volta eravamo passati da Orvieto: un’unica diapositiva riempita di righe bianche e grigie. A me è sempre stata antipatica la facciata del Duomo: un capolavoro, sì certo, ma quei personaggi mosaicati mi disturbano, distraggono dal rosone dell’Orcagna, di una bellezza mozzafiato. Ricominciamo da qui, dalla facciata e dai fianchi gotico-pisano che invadono l’obiettivo, dai pavimenti in mosaico e dalla Cappella di Luca Signorelli, superba. Siamo invecchiati e ho prenotato un wine resort sui colli: paesaggio stupendo e si ha una vista di Orvieto molto arroccata, che non ricordavamo. Visitiamo anche il Museo dell’Opera del Duomo, MODO: ci sono mosaici così moderni che sembrano di Klee e una Libreria Albèri del ‘500, elegantissima, affrescata in bianco e grigio, geometria essenziale. La vorrei come studiolo

ALLA SCOPERTA DI:

CIVITA E BOLSENA

Tra Orvieto e Bolsena, dove soggiorniamo in una residenza d’epoca dentro Palazzo Cozza Caposalvi, la prima tappa amarcord è Civita di Bagnoregio: negli anni ‘80 la definivano città che muore, oggi è per fortuna salvata dal turismo. L’edificio dell’Osteria è completamente riattato, ospita un Museo. Il Borgo, dove si arriva soltanto a piedi e in salita, è isolato su una roccia, come allora. Una apposita Fondazione ne ha curato il recupero e ci sono ancora lavori in corso: moltissime facciate non guardano più sul vuoto, pullulano i posti di ristoro, qualche bottega di souvenir (Acqua di Civita?), un numero ragionevole di visitatori (molti orientali). Forse in estate Civita diventa infrequentabile, ma questo è il prezzo della sua sopravvivenza (c’è anche qualcuno che ci vive). Scelgo due fotografie del 1982, noto le ortensie (pallide, intonate al tufo). Andate a Civita a vedere come è cambiata (in meglio). A Bolsena non eravamo stati nel 1982: ci troviamo bene, ceniamo due sere da Picchietto, piatti tipici (carbonara, cacio e pepe, zuppa di tinca, pancetta e tartufo): padre e figlio (proprietari) sono cortesi senza smancerie, uno stile di qui. La mattina, colazione in Pasticceria 2.0. bignè deliziosi. Saliamo al borgo castellato (Rocca Monaldeschi) e visitiamo Santa Cristina (dove avvenne il Miracolo di Bolsena, l’ostia zampillò sangue addosso ad un Prete Boemo dubbioso sulla transustanziazione). C’è un Alimentari simpatico, che serve spuntini e aperitivi, vicino al Teatro S.Francesco e al Comune; beviamo un Orvieto doc del Podere Le Velette, che abbiamo ammirato strada facendo (si potrebbe anche cenare, consumando i prodotti in vendita: un uso di qui). 

VITERBO

Il logo di Viterbo, per noi, è la Loggia papale, in Piazza S.Lorenzo (io controluce, 1982). Per il resto ho un ricordo assai cupo, di case medievali con strane logge (profferli?). Mi domando come ho fatto, fresca di patente, a non scoraggiarmi con tutti questi saliscendi, per stradiole strette e in mezzo ad un traffico “romano”. Non parliamo dei parcheggi che, a seguire la logica, sarebbero ben distanti dai luoghi turistici (infatti ci sono ascensori): noi, siamo baciati dalla sorte (raramente, ma accade) e salendo lungo le Mura, troviamo un nostro posteggio (a pagamento, 9 euro tutta la giornata), di fianco alla scaletta della foto 1982, da non credere. Il campanile è vistosamente restaurato e tutta la Viterbo turistica mi sembra riforbita alquanto, incluso il giro delle Mura con tante porte e torri. Girolando due giorni, con calma, troviamo anche molte parti non turistiche che non riesco a definire: né belle, né brutte, con molte Chiese da visitare (fossero aperte!!) con interni essenziali, NON contaminati da aggiunte barocche. Fatto assai strano. Dentro ci sono alcune opere bellissime, come il Polittico di Balletta nel Santuario di  Santa Rosa (che bello non è). Visitiamo anche il Museo Archeologico nella Rocca Albornoz: quanta “roba etrusca” c’è in Italia!! Il cosiddetto Quartiere Medioevale, via S.Pellegrino e dintorni, è ben tenuto e molto particolare, austero e signorile. Troviamo due Piazze simpatiche: quella della Fontana Grande (avevo una diapositiva del 1982) e quella Del Gesù, tra S. Maria della Verità (Cappella Mazzatosta chiusa!!) e San Lorenzo, il Duomo

BAGNAIA, LA VILLA SENZA VILLA E LA PIZZA DOLCE

È un ritorno anche quello a Vitorchiano, tempo di una passeggiata: I Garibaldini non ci sono più, ma il paese è molto migliorato, col restauro. Anche a Ronciglione, lunga passeggiata con sosta e acquisto di nocciole squisite, specialità della zona. Il confronto tra le foto del 1982 e i giroli di oggi conferma l’impressione che si siano presi cura dei luoghi, non solo per i turisti e per il Guerriero Mengoni. Lo stesso si nota a Bagnaia dove Villa Lante continua ad essere segnalata, anche se oggi siamo in 4, finché non sopraggiunge una scolaresca. Se, filologicamente, villa significa podere e abitazione legata alla campagna, si resta un po’ a bocca asciutta delle sole due stanze aperte al pubblico, decorate a grottesce e trompe l’oeil: tutta qui la Villa?! Forse confondiamo Villa Lante con Palazzo Farnese a Caprarola (dove non torniamo) e ci sembra che il grande Giardino all’Italiana, oltre al Barco di Caccia, siano “troppo poco”, anche se gradevoli da girolare in questa primavera già estiva. Ritrovo perfettamente le immagini delle mie foto in bianco e nero: forse il degrado in alcuni punti è avanzato, ma è stato rintuzzato in altri. La manutenzione del verde domina sicuramente su quella delle fontane, delle scalinate e delle statue. Poi, a Bagnaia scopriamo una Pizza di Pasqua che sarebbe dolce (con cannella, agrumi, rum, alchermes, rosolio) MA viene mangiata coi salumi: ce lo spiega Il Nostrano, un alimentarista di via Garibaldi (il nonno di Vitorchiano, la nonna di Bagnaia), dove pranziamo col baccalà pastellato, all’impronta. Una pizza che ha la forma di un panettone-cotto-in-un-vaso, dolce ma si mangia col salame: mi pare una sintesi di queste terre viterbesi, un po’ severe e robuste anche quando sembrano morbide. Il verde pratoso dell’Umbria ha ceduto all’aspro dei calanchi, cascine essenziali in mezzo a poderi di ulivi e cipressi, un po’ di Marche dell’interno, un po’ di Toscana prima di arrivare alla Maremma. E tufo ovunque: raramente chiaro (bianco e poroso come una pomice), più frequente il giallo-grigio sabbioso, talvolta nerastro (peperino). I paesi si arroccano, si tengono stretti attorno ai tracciati medioevali, slarghi a imbuto e torri con le bifore; improvvisamente, si spalancano su terrazze e scalinate o addirittura finiscono di brutto, sul dirupo.

ETRUSCHI

Non mi sono mai entusiasmata alle tombe etrusche con le figure ricombenti di pietra o terracotta, alle necropoli (c’erano anche a Populonia, Girolo Baratti): le avevamo visitate a Tuscania nel 1982 e non ci torniamo. Però, il Museo nazionale Tarquinese, dentro Palazzo Vitelleschi merita assolutamente: una rassegna che cattura anche noi, scettici sugli Etruschi. Particolarmente bella la collezione di vasi attici a figure nere (commerci con la Grecia); strepitosi i cavalli alati (che erano colorati, ma bianchi ci guadagnano), resto dell’Ara della Regina; meravigliose le tombe affrescate (qui ricostruite) delle Olimpiadi e del Triclinio. Tornando verso Bolsena, ci fermiamo anche a Tuscania: passeggiata fino a Piazza Basile, dove le figure recumbenti ornano la balaustra panoramica, in giro in giro. Ne abbiamo talmente tante, devono essersi detti, massì, mettiamole all’aperto, che finiscano il loro ciclo guardando il panorama (dopo essere vissute in una tomba!): restaurarle avrebbe avuto un costo sproporzionato, rispetto al loro valore documentario. Troviamo un Cafè, La Meridiana, dove avevamo sostato piacevolmente, serviti da giovani: adesso è abbandonato, coi vetri rotti e i giovani saranno in pensione. Non riusciamo a vedere i due gioielli di Tuscania S. Maria Maggiore (fotografata dal cancello chiuso) e S. Pietro, inaccessibile. Accidenti! 

Strepitosi i cavalli alati

PISTOIA

Una tappa non prevista, per spezzare il rientro: scegliamo Pistoia, dove non siamo MAI stati: che vergogna!! Città preziosa e speciale, che merita un ritorno, con calma e un suo girolo dedicato.