RIOGRANDE DO SUL 2
CAXIA CENTRO E BAIRROS
Una mattina, appena sgonfiate le caviglie, indosso le mie Superga bianche e girolo per le strade di Caxia, da sola: avenida Dezoito do Forte, Praça Dante Alighieri, rua Sinimbu, avenida Marechal Floriano e avenida Presidente Vargas: edifici art decò, fruterie colorate da Manga, Carambola, Abacaxi, Maracujà, Abacate, Goiaba; studenti con ombrello che entrano all’Istituto Lassalle; veicoli della spazzatura, gialli; camion azzurro cielo; contenitore di detriti edilizi, giallo, con scritta nera DETRITU’S. Non sono lontana dal mio Uruguay, mi ricordo le strade di Montevideo, che è più bella, più capitale, ma non meno europea. Fuggo una volta sola dalla Delegazione, con il tram e arrivo in due bairros periferici: a Cruzeiro le macchie di selva, verde denso, si vedono in fondo a tutte le strade, come nel centro di Caxia; al Planalto le case sono costruite dentro un barranco ancora largamente selvatico. La popolazione rurale è stata attirata qui dalle industrie; l’edilizia è povera di mattoni e legno, spesso ci sono lamiere ondulate. Le strade sono di chao (fango) e terra battuta. Le paraboliche, straordinariamente diffuse, sono corolle tecnologiche fiorite dentro la selva. Nel rientro dal capolinea, la bigliettaia Rosj mi dice che viene dall’Uruguay (!!), regione di Corrientes, ed è migrata in cerca di più soldi per vivere, una renda maggiore. La produzione di bus, camion e macchine agricole è un vanto del Riogrande (alacri veneti) e lo apprezziamo per lunghe ore nel Desfilo della Festa dell’Uva, una manifestazione a cui assiste Joaosinho Trinta, colui che ha trasformato il Carnevale di Rio nell’evento spettacolare che tutti conosciamo. Caxia mi sembra distante da Rio come da Aldebaran e il Trinta lo dice, il giorno dopo, venendo crocifisso dalla stampa locale. Con due compagni di delegazione, andiamo a visitare Ana Rech, un bairro quasi borghese, che prende nome da una migrante bellunese, nata Pauletti in quel di Seren del Grappa. Ana gestiva una pousada per i Troupeiros, i soldati, che transitavano dall’Iguazù, verso il traghetto di Porto Alegre. Ha lasciato di sé ricordo e segno indelebile: oltre che emigrata alacre, fu madre e vedova modello, imprenditrice di successo, adottò persino una piccola indios, non le bastassero i 7 figli naturali. Sul bus mi capita di fotografare un contadino meticcio, che potrebbe essere siciliano, col basco: il Sud del mondo si assomiglia? Lui mi guarda male e ha ragione, la foto non la pubblico. Proviamo a fare shopi ma a parte le scarpe nulla mi entusiasma, finisco per comprare dei libri, al Centro Culturale Filho, decidendo al momento che so leggere il Portoghese del Brasile. I sulini dicono di parlare portegnol, portoghese contaminato dallo spagnolo, ma nella Serra Gaucha (dove siamo), la lingua molto diffusa è il talian, un ibrido assoluto, derivante dalla nostra immigrazione. Difficile decidere quale dizionario acquistare! In fondo è la cifra simpatica di questa regione: un mestiço esponenziale, chi è nativo da quando, chi ha colonizzato chi, chi è ora il riograndese tipo. È gaucho, è sulino, è talian? E chi rappresenta chi? Mi è capitato di trattare l’argomento delle Eredità (Heritage) da proporre ai turisti: l’ho fatto in Israele e più spinoso di quello non esiste contesto. Compero un Jorge Amado sconosciuto: A Descoberta da America pelos Turcos, una rivelazione (leggete alla fine del girolo).
ALLA SCOPERTA DI:
SIAMO TUTTI GAUCHI?
Siamo tutti gauchi, sostiene qualcuno, anche se nel nostro Progetto c’è chi vorrebbe il riconoscimento di un primato talian, se non proprio veneto. Viva La bela Polenta!! A Flores da Cunha (un tempo Rua do Imperador) ci viene narrata, in veneto arcaico, la storia di un Galletto che avrebbe dovuto fare il miracolo, ma il Prete se l’è mangiato; penso a Cortazar che scrive “i racconti orali dei gauchos, al fuoco del galpòn, diventano orribili racconti scritti”. Mi astengo dal riportare la trama, ma aveva molto a che fare coi riti indios e l’offerta di animali sgozzati: la presenza del cattolico infingardo, rimescolava le carte. Saliamo per un breve girolo sulla Maria Fumaça, il trenino a vapore che costituisce una delle proposte turistiche della Serra Gaucha. Lungo il percorso, attori fanno rivivere i tempi andati (come succede in ogni angolo del mondo, anche al Palazzo Ferrero Fieschi, di Masserano). La serata viene chiusa alla Fiera della Vendemmia, con uno spettacolo Gaucho, Os Gauderios, flamenco, fruste, spade e frombole. Dovessi scegliere tra queste attrazioni turistiche e “normalità” locale, non avrei esitazione: bairros nella Selva, panini con la pecora, chamamè di Xerusinho, caipirinha di maracuja, samba con i compagni di Lula, riunioni sul bilancio partecipato, chiusi dentro a chiave. Para siempre. C’è una foto di noi ragazze della Delegazione, sedute sotto una palma: io col ditino alzato, da maestrina, sto spiegando qualcosa, come mio solito e le faccio ridere. Due dettagli: indosso un paio di infradito brillantati di Magli (portati dall’Italia, dove avrei fatto le rate, se si fosse potuto! Girolo Riogrande), tacco zero; li indossavo per poterli togliere, appena fuori obiettivo e sul bus di Celso. Rosi, in chiffon color tramonto, è l’addetta alle relazioni internazionali del Prefeito: la incarnazione della frase di Guevara, bisogna essere duri senza perdere la tenerezza. In un’altra foto, invece, sono seduta al posto del Sindaco, davanti alle bandiere del Brasile e del Riogrande (sono scalza, ma non si vede!). Poi c’è una foto bellissima (uno scatto da professionista), mentre firmo le copie del libro sui Roteiros da Imigraçao, dove ho scritto qualcosa. Per anni l’ho usata come mia foto ufficiale.
BOLLICINE
Il Rio Grande è un produttore vinicolo gigantesco, per tutto il mercato sudamericano e anche per gli USA. Oxum è una divinità nativa, che sovrintende alle acque dei fiumi, all’oro e allo champagne. Rio Guaiba, sandali da samba e Chandon. Devo dire che, rispetto ai tentativi malgasci (Giroli Madagascar) di mettere in pratica gli insegnamenti vinicoli ereditati dai colonizzatori francesi, quelli riograndesi sono un successo! Il Delegato Trentino, che io chiamo Muller Turgau, non è sempre soddisfatto e brontola: “meglio che questi vini li destinino al mercato interno”: magari include anche l’America del Nord (o no?). Talvolta diventa brusco “sì, lo champagne si vende molto al consumatore femminile, perché le donne amano il perlage e non capiscono niente di vino”: trentino, intenditore e maschilista. A parte lui, siamo tutti bendisposti alle degustazioni in Cantina: il barman di Casa Chandon (il socio di Moet) sfida i maschi ad aprire lo champagne con la spada (ci vorrebbe uno dei frombolieri gauchi). Il maggior successo arride a Rosi, che avevamo capito essere una guerrillera: chiede di tenerle, per favore, la sciarpa di seta verde berillo e zac, apre di netto la magnum, il tappo rotola come la testa di un dittatore. Non voglio cadere nel melò, ma Rosi la immagino come portavoce di Guevara, sottofondo di milonga o chamamè. Tra le degustazioni, ci sono visite quasi culturali, come quella a Villa Fitarelli, un compendio rurale trasformato in ecomuseo, con rustici, tessitura, forno, stalle, mulino ad acqua, tutto quello che può rimandare ai coloni immigrati: e poi vigneti, per non sbagliare. L’albergo di Flores dovrebbe essere di lusso, ma la piscina sul tetto lascia insoddisfatto O Pre, il presidente della Delegazione, che è uno sportivo salutista, ogni mattina va a correre, nelle vie deserte, su e giù per i morros. Se O Pre la vedesse oggi, online, la piscina coperta del Dall’Onder, sicuramente apprezzerebbe: sembra una spa del Trentino. Mi fa piacere che in vent’anni, la Serra Gaucha si sia adeguata al turismo internazionale. Dalle tessitrici di Fitarelli ho comperato una sciarpa lavorata a mano, rossa, morbidissima (alpaca?): non manca occasione di sfoggiarla, con abbinato sandalo rosso, pietre topazio citrino, zaffiro e acquamarina. I brillantini di Magli, che costano 20 volte tanto, impallidiscono di fronte alle pietre brasiliane; mi sono comperata anche due anelli, in pendant. Sono adeguata per la cena in un Bistrot (!), adiacente all’atelier di una pittrice parigina. È un esperimento: usando come tavolini vecchie botti, Madame serve esclusivamente tortellini di frango (pollo) e Chandon; non riporto i commenti di Muller Turgau.
LA BANDIERA DEL BRASILE
Ha a che fare con il tortellino, l’ombelico della Candida Erendira, che si esibisce per gli ospiti italiani in un samba spettacoloso. È la figlia di un magnate dei liquori: noi le diamo 16 anni, ma la madre ci giura che ne ha 22. Si presenta al centro di una tavolata a ferro di cavallo, scende da un piccolo podio tondo e usa lo spazio intercluso come scena, percorrendolo in una vera maratona di ballo. È naturalmente molto avvenente e molto svestita: una minigonna inguinale che lei finge di allungarsi sulle cosce con mosse sinuose, ma ritorna come un elastico dov’era. Il top è ugualmente luccicante e ridotto. Ma. Il vero fuoco di attrazione sta nella bandiera, Brasiliana, che la Candida Erendira usa come attrezzo di scena, quasi fosse la clavetta da ginnastica ritmica. Per lo più la tiene appoggiata all’ombelico, che mai come in questo frangente è quello del mondo, se pensiamo che è il globo il simbolo del Brasile. La sventola con grazia, al ritmo di Samba, in una versione erotico-nazional-musicale, offerta ai genitori (orgogliosissimi) e agli illustri ospiti. Dopo Brazil e Ragazza di Ipanema, la Candida Erendira, si inchina: per fortuna il suo lato B è rivolto al podio, deserto. Viene servita una strepitosa mousse di maracuja, per distrarre i sensi. Durante i liquori dopo pasto, Erendira riappare e, vestita (si fa per dire), potrebbe davvero avere i 22 anni asseriti dalla madre. Il discorso che segue sulle “inibizioni” delle donne europee (così sostengono le nostre ospiti riograndesi) è censurabile. Mi pare giusto chiudere questo girolo brasiliano, fatto di personaggi e bozzetti, con due righe di Amado
Di Scoperta parlano i discendenti degli impavidi che trovarono l’altra sponda del mare; di Conquista i discendenti degli Indios massacrati, dei negri schiavizzati, delle culture messe a ferro e fuoco dal passaggio di mercenari e missionari con la Croce di Cristo. Ecco il mestiço brasiliano, frutto di Scoperta e Conquista, della mistura […] molte amalgame composero e compongono la nazione Brasiliana.
Perdoneranno i cultori della letteratura latino-americana se ho preso a prestito il nome della Candida Erendira da Gabriel Garcia Marquez che non era Brasiliano e nemmeno sulino. Autori riograndesi, sconosciuti ai più, sono nei libri in fotografia: Machado de Assis, Lopes Neto, Tabajara Ruas, Assis Brasil. O Alienista mi è piaciuto.