PARIGI 2003 (2)
CASA A PARIGI
L’errore che ho fatto con NYC (2013), l’avevo evitato con Parigi: per due estati, ci siamo stati un mese. Nel 2003 affittammo da Honorine, un piccolo appartamento in rue Tiquetonne, a sei passi da St. Eustache, dal Pont Neuf e dalle Halles, cento passi dal Pompidou. Nel 2004, fummo ospitati in zona Sorbonne, Rive Gauche, da Bianca Piero e Francesco (gli stessi del Pier 17 di NYC). Poi, sono tornata a Parigi nel 2013 e nel 2015, frequentando l’OCDE, nel 16° arrondissement, in fondo ai Champs Elysee: soggiorni “di lavoro”, brevissimi (Hotel Normandie, zona Operà). Non ho mai alcuna pretesa di guidarvi, né di dirvi cosa non dovete assolutamente perdere: men che meno a Parigi. La mia tesi è che a Parigi basta camminare a caso, come se non aveste nulla da fare: flanare, come suggeriva Baudelaire, uno del posto. Stefano sostiene che “Parigi è bella, continuamente”, cioè non è divisa in parti nobili e parti scartabili: voi andate, e lei continua ad essere bella. L’anno 2003 fu torrido, la canicule ci teneva inchiodati in casa, coi ventilatori a palla o dentro musei e centri commerciali con l’aria condizionata. La notte non si dormiva e dal balcone spalancato ho montato un film della Propreté che teneva pulite le ruelles, anzi le lavava, generando i rigagnoli d’acqua che avevano affascinato anche Saul Bellow “noi svitati, che non dormiamo alle tre di mattino”. Rue Tiquetonne appartiene al 2°arrondissement contiguo e simile al famoso Marais (Place des Vosge e il Carnavalet, per capirsi): in pieno Sentier, il quartiere dove è nata Naf-Naf (Girolo Paris Ouverture). È stato reame del tessile dell’abbigliamento: un ambiente di artigiani e di immigrati (africani), di locali con la bière pression, alcuni impensabili nei salotti buoni della capitale di Francia. All’angolo di Tiquetonne sfiocca la lunghissima Rue Montorgueil (che sale fino a Montmartre diventando de la Poissonnerie), un centro commerciale naturale, fila ininterrotta di negozi alimentari, niente di chic, molto di pop. Stare un mese in un appartamento cambia il punto di vista su Parigi, permette il ritmo della flanerie, si può tornare al Pompidou un pomeriggio sì e uno no, flanare tra Picasso e Brancusi (al fresco). Stefano scopre che i professori (come lui) NON pagano. A giorni alterni passa ore al BHV il Bazar de l’Hotel de Ville, che nell’interrato ha un reparto ferramenta serissimo, con annesso comptoire, dove fanno caffè e crostate, il Bricò che alla mattina offre bricollations. Tra l’Atelier Brancusi e gli scaffali di bricolage, Stefano si è acquartierato nel 1° arrondissement, perfettamente. Honorine ci scrisse una lettera di ringraziamento accorato per averle incollato diverse sedie, la gamba di un divano e rimesso le viti alle portelle dei pensili. “Non ho mai avuto degli ospiti come voi”: sicuro!!
ALLA SCOPERTA DI:
BRASSERIE, BIÈRE PRESSION, MOULES-FRITES, MI-CUIT, MOELLEUX
Avere casa non ha affatto significato disertare i locali parigini, che sono infiniti per infiniti gusti e borse. L’unica nota negativa è la qualità estetica molto discutibile delle seggiole nei (celeberrimi) dehor che loro chiamano terrasse: tutte simili e tutte orribili, plasticose, pretenziosamente intrecciate a imitazione del rattan. All’angolo di Tiquetonne c’era la nostra brasserie La Grille de Montorgueil (un tempo aveva una finestra con la grille), il cui comptoir era frequentato come al tempo di Maigret; in Montorgueil il mitico Rocher de Cancale (Girolo Paris Ouverture) dove scoprimmo il mi-cuit: esisteva una variante che era il moelleux.
Frequentammo molte catene: Léon de Bruxelles, con le sue oneste moules-frites e Chez Clement, dove Francesco trovava i suoi poulet o saumon rotì; e poi Le Pain Quotidien e Paul. Andammo con loro allo storico Polidor, una trattoria parigot, rimasta com’era nonostante le Guide Routard. La palma d’oro dell’improbabile spetta ad un bar del Pont Neuf, dove pareva di disturbare il proprietario che, dietro una tenda precaria, stava guardandosi la TV. Oggi, cercando quel bar (che sicuramente ha chiuso!) scopro che pochi passi oltre, dove c’erano le vetrine di Kenzo, ha aperto una succursale della milanese pasticceria Cova, marchio comperato da LVMH, mannaggia. Abbiamo cenato in tanti locali melì melò: niente di inoubliable, nella discreta media parigina. Ho anche acquistato una Routard Restos&Bistro che però abbiamo seguito poco: giusto gli imperdibili, come Bouillon Racine perfettamente art nouveau e Bouillon Chartier verso Montmartre, locale vastissimo dove si fa sempre la coda (andate nel suo Sito web, merita). Coda anche fuori da L’As du Falafel di Rue de Rosier, addirittura garantito dal Beth-Din il tribunale rabbinico. Siamo stati anche alla brasserie ebraica Jo Goldenberg (boh) e per un brunch a Le Loir dans la Théière cafeteria alternativa, con poltrone e divani dismessi, clienti en pendant. Ho messo il naso, da sola, in qualche locale modaiolo (mentre Stefano era al comptoir del BHV), come Barbara Bui (che sarebbe una stilista) o a La Closerie de Lillas a St.Germain, al Cafè de la Paix all’Operà. Mah. Al Grand Colbert ho cenato da sola, nel 2015, premiandomi di una presentazione all’OCDE, come rappresentante dell’Italia (tensione somma, col mio inglese non proprio d’ambasciata). Sono stata colpita dai camerieri (nulla, rispetto a quelli del Cambio di Torino!!!), ma del menù ho dimenticato tutto e del vasellame d’antan pensai che andava rinnovato. Sulla cucina francese, sono d’accordo con mia Zia Filippa (Girolo In viaggio con la zia): ha una rinomanza esagerata. Forse bisogna andare fuori Parigi, per trovare qualcosa di inoubliable.
ARTE CICLADICA E LE CORBUSIER
Nella mia ouverture parigina del 1988 avevo visto gli operai sulla Piramide di Pei. Dopo 15 anni tutta l’area esterna al Louvre (Carouselle, Piramide, fontane, Petit palais, Grand Palais) sono in rinnovamento, grand traveaux alla maniera francese, sotto il vigile sguardo di Giovanna D’arco, sul suo cavallo dorato. Dentro il Louvre e nella food court sotto la piramide passiamo del tempo (anche mangiando) perché c’è un bel fresco. È uno di quei casi in cui l’Arte ti salva la Vita. Nelle gallerie di negozi (il grand Louvre, lungo Rue de Rivolì) vedo delle statuine Decò che ritroverò, in originale, al Labirinto della Masone, di Franco Maria Ricci (Girolo Parma). Del Louvre (dove andiamo almeno 4 o 5 volte) vi raccomando il sito online, in special modo la collezione Egizia (Giroli Sul Nilo). Nel 2003 è lontana e imprevedibile la nostra crociera sul Nilo, ma già qui è un’immersione tra hyppo turchesi, meravigliose labbra unisex, profili strambi di guerrieri, schiave nubiane, divinità con la testa di civetta o lupa, tombe arredate di tutto punto. Io vengo travolta dall’arte cicladica, proto greca: le sagome super stilizzate di uomini e donne in pietra chiara, ruvida. Francesco, che è un amore di ragazzino, coglie il mio colpo di fulmine e mi regala un libro di sculture, dedicandolo: ho visto come lodavi le statue nelle teche e le avresti rotte, per portartele a casa. Un giorno ci chiede di poter entrare al Ritz, in Place Vendome, per vedere com’è. Poi, solo noi due osiamo entrare al Buddha Bar, perché io sono rimasta ragazzina e quel gioco mi prende: le entreneuse raffinatissime, tubino nero e tacco, si divertono a portarci in giro, prima che apra buddhabar.com (valutate voi). Vediamo un sacco di Musei, a Parigi: il Marmottan (detto Museo Monet), la Gare d’Orsay (restauro Gae Aulenti), il Jacquemart André dove si conservano gli “strappi” fatti da Napoleone a Villa dei Leoni, Mira. Sotto un soffitto di Tiepolo, c’è la cafeteria, col vapore delle tostiere e delle caffettiere che ascende verso angeli nudi. Dalla Gare d’Orsay (meravigliosa collezione di Impressionisti e d’altro) colgo una delle poche visioni tollerabili del Sacro Cuore, che detesto. Andiamo sicuramente al Museo Picasso e alla Fondazione Le Corbusier, ma a lui dedicherò un girolo speciale: andiamo a Roissy alla Ville Savoye (imperdibile), alla Maison du Brésil, alla Maison Roche-Jeanneret. Tutte da vedere, assolutamente.
ho visto come lodavi le statue nelle teche e le avresti rotte, per portartele a casa
LE VETRINE
Chiudo questo primo Girolo di Parigi, con uno degli elementi che, per me, la rappresentano di più e che fanno pendant naturale con la flanerie: le vetrine. Non solo quelle dei marchi famosi (che al tempo di Baudelaire non c’erano), o dell’haute couture francese (Chanel e Dior per dirne due), ma tutte. Quelle delle brasserie qualunque, quelle delle alimentation generale, le latterie, le boulangerie, le epicerie fine. Fotografo persino un Syndicat de l’Épicerie, insegna mosaicata come quella delle Toilette Pubbliche, nei sottoscala. Vetrine di artigiani, di cartolerie, di libri, di tappezzieri, colorerie, arte, guanti, cappelli, ricami e rammendi, musica, farmaci, quello che volete voi. I brocantes e i marché aux puces addirittura prendono nome dai francesi e costringo Stefano, una domenica, a flanare a Porte de Clignancourt in una citè dell’usato, del vecchio quasi mai antico, di quello che volete voi. Non c’è Portobello che tenga (Giroli Londra): ne usciamo frastornati, accaldati, perplessi senza aver neppure ipotizzato di comperare. Le vetrine raffinate nei Passage e nelle Gallerie (la Vivienne sopra tutte), quelle dei rossetti messi in fila come soldatini, si mescolano a serrande abbassate per sempre con sopra i graffiti.
Le vetrine Liberty con sinuose signorine avvinte alle spighe di grano e alle bottiglie di latte, si alternano a locali scassati privi di fascino, ma magari utilissimi perché aperti h24. Con la canicule poter comperare acqua o frutta per strada è provvidenziale. Negli arrondissement di prima periferia (non ancora banlieue), trovo addensamenti di tessuti a bon marché, come a Ménilmontant e dalle parti di Belleville dove vive la tribù di Malaussène, inventata da Pennac. Compero lì, metri e metri di seta cruda bianca e nera, che mi ricorda i gandurrah algerini, che mi aveva regalato Marino. Una visita alla Fondation Cartier, edificio del 1994 di Jean Nouvel, dove c’è una temporary exhibition di Jean Paul Gaultier, Pain Couture: manichini “vestiti di pane” strepitosi, corpetti di crackers, sottane di casereccio a fette, crinoline imbottite di pagnotte. Geniali le marionette snodate, fatte di baguettes. Francesco accarezza i mosaici col dorso della mano, come fosse velluto, la sua postura manifesta stupore. Mi chiesi come diventasse grande un ragazzino che ha questa “esposizione all’arte” come fosse pain quotidien. Oggi mi rispondo: Francesco è un amore di trentenne.