PALUELLO DI STRA’
ESTATE DI SAN MARTINO 2020
Si chiama Estate di San Martino o Estate Indiana quel periodo dell’autunno inoltrato, in cui si danno giornate di sole e di temperature non fredde. Nel 2020 questa Estate fu generosa: i colori della campagna particolarmente variegati e vividi, come se la Natura ci volesse concedere un piccolo compenso, mentre ci attanagliava col Virus. In Riviera del Brenta, si individua con Brenta Bassa, o semplicemente la Bassa, il lato idrografico destro del Naviglio: si sa che destra e sinistra vanno considerate volgendo la schiena all’origine del fiume, che in questo caso fiume non è, bensì canale. Il vero Brenta, ormai, chissà quale è, dopo che per Secoli i Veneziani lo hanno “divertito” come gli tornava meglio. Ci sono rami che si chiamano Brenta Vecchia, Brenta Secca, Brentoncino. La “diversione” dei corsi d’acqua -spostarli dal loro naturale corso – era attività precipua della Serenissima, col proprio Magistrato alle Acque, sempre tesa ad evitare l’interramento della Laguna (causa i detriti che i fiumi vi avrebbero scaricato, senza riserve). A farla breve, quello che tutti chiamiamo Brenta è uno dei canali, anzi è il Naviglio: tanto artificiale che, il paese di Fiesso d’Artico, deve il proprio nome ad un flexum del Naviglio, un’ansa larga e dolce, progettata dall’ingegner Artico, nell’800. Ciò detto, il percorso lungo la Bassa, che va da Dolo -pochi passi da casa nostra facendo il ponte in direzione Camponogara- fino a Paluello di Strà, è uno di quelli che conosco meglio. Insieme al girolo che abbiamo fatto, in direzione opposta e che ho chiamato proprio Girolo Brenta Bassa, con le Signorine di pietra della Villa Velluti.
ALLA SCOPERTA DI:
OSTERIA DA CARONTE
Questa volta, passato il Ponte del Vaso, giriamo a destra (anziché a sinistra come nel Girolo verso Mira). Imbocchiamo via Dolo, dove si trova l’Osteria Da Caronte, osteriadacaronte.it un luogo storico della nostra vita in Riviera: la scoprimmo durante i primi lavori di restauro (1986), quando non avevamo ancora in funzione la cucina di Casadolo. Roberto e sua moglie -gli osti- venivano dalla Cooperativa La Ragnatela, originaria di Scaltenigo di Mirano, che aveva effettivamente tessuto una rete vasta di cuochi e cuoche, tutto intorno. Al tempo, Da Caronte, era veramente una osteria, dentro una di quelle casette che io amo, ad un solo piano, adattato alla meglio. Si mangiava benissimo, piatti che innovavano con garbo: secondo la scuola della Ragnantela. Sformato di verdure con la casatella, polenta con la luganega, pasta con un ragù di verdure o trito di olive e acciughe, la torta della nonna fatta in casa. Abbiamo portato tutti gli amici per anni: era un nostro luogo del cuore. Ci abbiamo pranzato anche il sabato che ci siamo sposati, noi due e Sandra, perché Andrea aveva un torneo di scacchi a Venezia. Ci è rimasto caro, anche dopo un radicale restyling e l’apertura della pergola, affacciata al Naviglio. Ancora oggi, se è aperto, mi fermo volentieri a fare quattro parole con Roberto, che ha ceduto quasi del tutto la gestione ai figli, si è preso tempo per laurearsi in Sociologia: è rimasto amabile ed interessante come era all’inizio. Dice che, nei testi universitari e nelle lezioni degli esperti, ha ritrovato molto di quello che aveva capito stando in osteria. Nell’ultimo girolo, Caronte era chiuso, anche se proponeva Moeche Fritte per asporto. Nell’estate di San Martino, i granchietti fanno la muta del loro carapace e, mentre sono molli e indifesi, li tuffiamo nella pastella e poi nell’olio bollente: non oso pensare la dannazione che ci attende, nell’inferno di Vega. Quando si oltrepassa Caronte cominciano le ville di Paluello, che è frazione di Strà, perché su questo lato del Naviglio, il comune di Fiesso non ha territorio: Dolo tocca direttamente Strà (comune della Villa Nazionale Pisani). Questo girolo l’ho fatto decine di volte, in 40 anni: a piedi e in bicicletta, che si andasse da Caronte o no. Ho parecchie fotografie e posso confrontare come sia cambiato, tra la fine degli anni Ottanta ed oggi. I miei primi 40 anni in Riviera: il fienile, in via Redipuglia, è identico nel 2020 al 1996. Nell’Estate di San Martino del 2021, per la prima volta, ho proseguito a piedi da Paluello fino a Strà capoluogo e valeva la pena: altre Ville, giardini, campagna ma soprattutto il Naviglio, che si allarga maestoso, folti canneti e un orizzonte quasi libero. A Strà, restando in tema gastronomico, ha aperto da anni (molto dopo Caronte), l’Osteria del Bacalà dove si deve andare se amate l’animale; io ho bevuto un bianco con fantastici cicheti caldi, bacalà mantecato, melograno, viole del pensiero e bacalà in saor con rosse di Tropea glassate. Un giusto premio al girolo, lungo quasi 7 chilometri (sono tornata in bus).
GRAZIE AD ELENA BASSI
Da inizio anni Ottanta ad oggi, con qualche eccezione (come il fienile), ci sono stati e ci sono moltissimi recuperi dell’edilizia originale. Fa piacere che, ormai, l’idea di restaurare e riabitare l’antico -o semplicemente il vecchio- sia una abitudine consolidata. Ovunque, per decenni, si è costruito ex novo: magari la villetta moderna e presuntuosa, nel lotto libero accanto ad uno o più immobili del Settecento che stavano rovinando. La cultura del restauro bisticciava con l’economia delle nuove costruzioni e chi era stato “contadino e povero” voleva vivere nella comodità. Oggi, lungo la Bassa, moltissimo è stato ristrutturato, talvolta esagerando col belletto e volendo mettere troppo in evidenza un “rustico da rivista patinata”: troppi colori pastello, troppi infissi verdolini (colore che io chiamo Gae Aulenti ), troppe cornici bianche alle finestre, inferriate con gli arzigogoli, torri fumarie ridondanti. Ma meglio così che lasciar sfarinare tutto. Ci sono molte case, originariamente modeste, che sono state restaurate, curate, con i loro cortili e prati riordinati e i segni della vita che le abita. Le ville che avevo fotografato in stato di commovente degrado, con le trifore e le balaustre murate, le imposte divelte, i rustici sgretolati zeppi di scarti, sono state oggetto di restauri costosi ed oggi sono proposte sui siti immobiliari senza neppure il prezzo di vendita, da concordare. Con il libro di Elena Bassi, l’esperta di Ville Venete che preferisco (le ha catalogate tutte, esistenti e demolite), ho ricostruito quali erano queste ville, che conoscevo solo per le mie diapositive degli anni Novanta. Sono restauratissime Casa Marini, già Emo-Bembo con la propria barchessa; Villa Gritti con i casini di pertinenza e una imponente cancellata nobiliare; il Palazzetto Tosoni che io ricordo malmesso, con i materassi e le trapunto arrotolate alle finestre.
PALUELLO DOWNTOWN
Quando si arriva nel centro della frazione di Paluello, non mi sembra restaurata la Villa Marin, che ne è il fulcro, insieme alla Chiesa: né bella né brutta, con la sua facciata tipica, direi neoclassica; invece sono state completamente ristrutturate le pertinenze di Villa, diventate appartamenti. Sono state riutilizzate anche le parti agricole, attorno ad un cortile. Nel 1996 avevo fotografato un silos in funzione, con la meliga che cascava dall’alto, come una pioggia. Il recupero mi pare bello dalla parte sud, mentre quella a nord che si affaccia alla strada -via Dolo- con un notevole dislivello verso il basso, è troppo lezioso, da sembrar finto. Ma va bene così: lo stato di degrado era insostenibile e gli edifici sarebbero stati demoliti del tutto. Il compendio Marin si avvicina al mio ideale di villa minore, con il giardino e l’orto, il brolo. Confesso che amo la patina del tempo, mi infastidiscono gli scuri verde Aulenti e le travature di legno biondo. Ma bisogna scegliere: tra incuria e abbandono, e questi restauri non proprio filologici che lasciano troppo trasudare il benessere. Viceversa, sembra che la Villa sia molto degradata, dal mio precedente Girolo, a fine anni Novanta: forse al tempo era abitata e manutenuta, poi è stata abbandonata a sé stessa. Chissà.
MANIERISMO CUBISTA
Nel 2020 sono tornata a Dolo, da Paluello, a piedi: senza proseguire per Strà; ho seguito la Rive Gauche, sulla SR11. Passato il Ponte Alto, da cui si vede il campanile di Dolo (imitazione sfacciata quello di San Marco), il Naviglio ha alcuni scorci maestosi, tra quello che chiamiamo Casello 9 (una casa cantoniera) e il bivio per l’Ospedale, (Girolo Serraglio). Questo tratto di Strada Regionale è molto infestato dall’edilizia qualunque dello sviluppo novecentesco (villette e capannoni), ma conserva qualche apertura improvvisa sui campi. Inoltre è il tratto in cui si possono apprezzare alcuni guizzi di contemporaneità architettonica benauguranti. Comincerei, anche per dimensione, dalla fabbrica di calzature Ballin, un marchio prestigioso del Distretto della Calzatura del Brenta, famoso nel mondo (si producono le scarpe degli stilisti). Alla Villa Foscarini Rossi di Strà, subito dopo la Nazionale Pisani, esiste un Museo della Calzatura museodellacalzatura.it. La fabbrica Ballin appartiene ai tentativi imprenditoriali di costruirsi immagine anche grazie agli edifici: un modello che mi rimanda sempre a Vitra, la famosa fabbrica di arredamento a Basilea (Girolo Vitra Campus). Senza raggiungere il potere e la levatura dei Maestri di Vitra, in Riviera qualche “scarparo”, presa confidenza col design internazionale, ha provato ad investire in architettura contemporanea. Si vedono anche esperimenti di edilizia residenziale: piccoli emuli che stanno diffondendo una nuova tipologia di ville e biville. Si intravedono in mezzo ai campi e sulle rive del Naviglio e potrebbero essere recuperi molto creativi di vecchie casupole o annessi rustici, oppure edifici del tutto ex novo. Dopo aver assistito all‘Era degli Arconi (Girolo Serraglio), quando ad inizio XXI Secolo ancora girolavo per i Comuni del veneziano, direi che si sia aperta una nuova fase. I recuperi con arconi, prendevano vecchi fienili o stalle -in facciata avevano grandi archi a tutto tondo e tutta altezza- e li chiudevano, facendo un portico a piano terra e ballatoi al primo piano (o verande), lasciando in vista il disegno originario della facciata. Ce n’erano di belli e di meno belli (pasticciati) e ce n’erano di fasulli: arconi fatti dove non c’erano, ad imitazione del Passato. Adesso sembra iniziata una nuova Era, che definisco Manierismo cubista: sui prati vengono buttati là dei solidi geometrici, bianchi, come giocattoli assemblati da un bambino (come han fatto O’ Gery e Oldenburg nel Campus Vitra di Basilea). Alcuni sono del tutto nuovi, come quelli nel prato della Casa Marini a Paluello; altri sembrano il recupero di rustici, con annessi di varia foggia, altezza, utilizzo. Non so se gradisco i pannelli solari sui tetti: e prevedo una punizione nell’inferno ambientalista. Meglio la soluzione di Casa Marini: i pannelli sulla copertura dei car-port ex novo, nero su nero, tutto metallo, niente mesclùn con le tegole. Ma non son qui a fare l’Architetto Sapiente! Completo il mio Girolo con il tratto da Paluello a Stra, in una giornata da Estate Indiana, del 2021. Colori straordinari, nessuno che passa, silenzio e paesaggio: l’ideale di queste passeggiate fuori porta, domenicali. È un percorso che, in automobile, conosco a menadito ma, stupisco, non direi di averlo mai fatto a piedi! Difficile da credere ma è differente da quello precedente, tra Dolo e Paluello (lungo via Dolo): molto meno costruito, più aperto e più verde, mi verrebbe da dire più signorile. Il Naviglio si prende un sacco di spazio, domina il paesaggio, con le sue rive di alberi e canne. Oltre l’acqua si vedono alcune Ville importanti come la meravigliosa Soranza, tutta dipinta in facciata da Caliari, fratello di Paolo Veronese e, alla fine, la Nazionale Pisani, con l’imponente recinzione del Parco e la Foscarini Rossi, ormai in centro a Strà. Ma le vere sorprese sono lungo questa parte della Bassa: devo definirle riconoscimenti perché le ville le conosco bene, ma non le ho mai fiancheggiate a piedi. Vi garantisco che è diverso, come se di una conoscente, vedeste improvvisamente qualcos’altro! Sono la Villa Benzi, piccola e nascosta nel suo giardino (nella Ghiacciaia ho visto per la prima volta A come Srebreniça di Roberta Biagiarelli, Girolo Ponte di Mostar) e soprattutto la Barbariga, che si allunga per decine di metri, dentro il proprio parco, modesto residuo di un dominio che era sterminato. Nel libro della Bassi vedo alcune statue della Barbariga, tra cui una Venere molto in carne, come si vedono raramente: un manifesto contro l’anoressia e perciò simpatica! Poi, la riva del Naviglio si apre del tutto all’orizzonte: vedo il ponte che porta al centro di Strà e all’Osteria del Bacalà. Sulla sinistra una pizzeria paninoteca, dove abbiamo mangiato più di qualche panino con la birra: sull’angolo sfiocca la strada verso Vigonovo e Saonara. Alla mia sinistra una bella villa minore ed una Scuola, col giardino. L’immersione teatrale si dirada, sto emergendo nella vita normale: ci sta bene un cicheto di bacalà. osteriadelbaccaladalinda.it
Colori straordinari, nessuno che passa, silenzio e paesaggio