PADOVA (2)
VECIA PADOVA
Torno sui miei passi padovani, lungo il percorso d’antan tra gli anni ‘70 e ‘90: ci andavo da Venezia prima che da Dolo: quando l’Autostazione era ancora al Piazzale Boschetti, tra la Ferrovia e il Giardino dell’Arena, affacciato al Piovego. Erano isolati quasi-periferici, ancora terre di nessuno o di qualcuno poco raccomandabile. Passavo gli Eremitani-Scrovegni, consapevole che avrei dovuto visitarli, un giorno e tiravo dritto verso le Piazze, della Frutta e delle Erbe, dei Signori dove c’erano banchi ambulanti molto forniti, oltre che di alimentari, di stoffe, biancheria, maglioni. Quindi, per via Roma (o via S.Francesco o via del Santo), fino al Prato della Valle, dove il Sabato c’era (e ancora c’è) un Mercato imponente. Tappe gastronomiche obbligate: panino con porchetta (e ombra) al Bar dei Osei e gelato al cioccolato da Rocco al Ponte Molino (chiuso). Ho solo due o tre fotografie di quegli anni, segno che Padova non era considerata un Girolo, ma parte della “città metropolitana” dove abitavo. Esisteva una Pizzeria Vecchia Padova, buia, sotto un portico buio, dalle parti di via Zabarella, molto prima che restaurassero l’omonimo Palazzo e ne facessero un polo espositivo, facendo aprire le gourmetterie per visitatori di Mostre. Padova è mooolto cambiata, in mezzo secolo. Nel 2022 trovo una Vecia Padova, all’Arco Valaresso, dietro il Duomo: molto luminosa, con cibo creativo, due osti forse trentenni. Sotto i portici del Palazzo della Ragione, i Saloni sono ormai un altro mondo, rispetto alle immagini della mia Olympus ON-10. Manfrotto, egregio magazzino di tessuti, dove andavo con mia suocera Egle a comprare stoffe per i Costumi di Carnevale si è trasferito, in un’altra strada del Ghetto, vicino ad un raffinatissimo studio di Tattoo; si è spostato ed ingrandito anche Kamikaze, la boutique etno-chic scoperta da Susi nel 1983: oggi vende anche online, kamikaze-store.com. Frequentavo Feltrinelli (che aveva un reparto lingue straniere); mi svenavo da Prosdocimi di fianco al Pedrocchi, la Cartoleria padovana che teneva testa a Paperchase, di Londra (Girolo: An Absolute beginner). Al Caffè Pedrocchi non andavo, nemmeno parlarne, per ruggine politica: poi ho rotto i tabù (si dice l’ho sdoganato?) e mi ci fermerei volentieri, non fosse sempre troppo affollato di turisti stranieri, appena usciti da Zara. C’era anche la Rinascente, che era per il Veneto una rarità, si sarebbe dovuti arrivare a Milano (adesso c’è Nespresso). Resiste la storica e raffinata Pasticceria Racca; di fronte l’Enoteca Santa Lucia, luogo per universitari Millennials. Tornando verso il Bus, sostavo alle spalle degli Eremitani, in una stradina porticata (via Porciglia), che aveva poche botteghe, un baretto ed una pizzeria oscuri. Nel 2022 trovo tutto riforbito (Girolo Padova 1), un negozio di Home Design con Cafeteria, un fiorista scicchissimo, un largo dehors di Puro Latte e Puro Vino, gioiellerie alimentari, dentro la vecchia stazione Corriere, di fine Ottocento. Padova si è fatta un lifting strepitoso (effetto Unesco?!).
ALLA SCOPERTA DI:
PADOVA D’ACQUA
Ignorando il Giardino dell’Arena, bonificato oltremodo, seguendo a destra il Naviglio detto Piovego, si arriva al Portello, alta condensa Universitaria (oltre alle Sedi centrali): una bella Porta Venezia, Rinascimento militare. In autunno è tutto un brusio di feste di Laurea dotore dotore del busodél, rito che mi deprime e penso a tutta la sociologia sul Veneto Alacre, che “non può essere ricco e ignorante per più di una generazione”. Invece, può, perché una Laurea non vuol dire cultura. E, comunque, i boom Benetton, Dolomite, Luxottica, Diesel, Aprilia appartengono già al passato: il Veneto è un po’ meno ignorante e parecchio meno ricco, di una generazione fa. A proposito: sono Padovani alcuni degli scrittori che hanno segnato una stagione letteraria, al volgere di secolo. Romano Bugaro, Giulio Mozzi, Massimo Carlotto. Hanno descritto bene la società di quel tempo e di questi luoghi, aiutano a capire; un racconto famoso di Bugaro si chiama Select (Girolo Biella Spritzante). Carlotto ha creato il personaggio dell’Alligatore, portato da RAI fiction in una miniserie TV del 2020: un eroe discutibile, che si aggira tra Canali della Bassa, portici di Padova e Select; aiuta a capire. Piazza Portello e la successiva via Ognissanti, pur essendo porticate, sono diverse dalle strade del centro: siamo in una Padova quasi fluviale che prelude alle Alzaie, ad Adige e Brenta, verso Laguna (Girolo Foce del Brenta). Mi viene da pensare ci vivessero i “battellieri” e ho in mente l’Angelo che manovra la barca, dipinto da Altichiero al Santo; una iconografia rara, che qualche motivo deve avere. Superata la Chiesa di Ognissanti, seguendo un Naviglio, arrivo alla Riviera San Massimo dove mi affascina un Ponte con chiuse. Oltre quel Ponte c’era il fossato delle Mura; ora sono rimasti gli spalti, i bastioni sopra un vallo di erba. Poi si entra in zona Ospedali e Cliniche Universitarie (una icona della Sanità Veneta e non solo), si supera l’Odeon Cornaro, si è di nuovo in Piazza del Santo, con Gattamelata. L’odeon o Loggia è un edificio Cinquecentesco, sopravvissuto qui, nel tracciato medioevale, tra la Padova canalizia e il Santuario antoniano. Ai tempi, Alvise Cornaro, lo volle come luogo di ritiro, meditazione, convegni filosofici con i dotti del tempo. Mi auguro non intonassero cori goliardici, sul busodèl. Almeno per rispetto a Sant’Antonio.
PRATO DELLA VALLE
Al Prato siamo già arrivati, dal Santo, per via Orto Botanico (da vedere). Qui entriamo in Santa Giustina, che con San Prosdocimo divide il patronage della città. I due sono effigiati in Duomo da uno scultore contemporaneo, Giuliano Vangi (toscano), parte di una decorazione contemporanea corposa, che ha incontrato moltissime polemiche. A me non piace (come non mi piacciono le sculture novecentesche nelle nicchie esterne di Santa Giustina!), anche se salverei la Giustina di Vangi, che pare una ballerina con la sua massa di capelli color zenzero, sul corpo di neve. In molti aspetti l’interno del Duomo richiama Santa Giustina: bianco e grigio, cupole ed archi, fughe di prospettive rinascimentali. Ma la vera attrazione di Santa Giustina al Prato sono gli altari: una serie cospicua, posizionati lungo le navate laterali della croce latina, in uno spazio immenso e vuoto, suggestivo. Questi altari sono tutti barocchi (credo), adornati da una statuaria eccellente, angeli, santi, madonne e personalità dei tempi. Si sprecano nomi della Scultura veneta, che io non conosco. Io mi fisso sui paliotti, in tarsie marmoree. Direi che a Padova ci fosse una Scuola di questi intarsiatori, perché ne ho trovati anche a San Nicolò e ad Ognissanti. Sono fiori, principalmente, nei vasi, nelle cornucopie, nei cesti; ma ci sono anche uccelli, pavoni, pappagalli e cardellini e strumenti musicali. Ci sono scenette, con personaggi identificabili (o no), con edifici e paesaggi; talvolta una inscrizione spiega “La Fragia dei molinari, del proprio suo dinaro a’ fabricato, 1688”. Le fotografie più suggestive, però, sono quelle degli scorci prospettici: Santa Giustina diventa un fondale schiacciato, come nelle incisioni dei Maestri Lombardo, all’Arca del Santo. Grazie alla Guida TCI verde, so che devo cercare un sacello defilato (navata destra) dove si conserva una rara iconostasi bizantina. Mi addentro per cappelle, corridoi e volte, finché la trovo: effettivamente stupenda, nella assoluta semplicità, marmo greco lavorato a niello. Non può non ricordarmi quella Istriana di Sigàri (Girolo Luce Dalmata Istria Dentro). Un signore che somiglia a Enzo Bianchi (di Bose), mi spiega che il luogo era tutto affrescato, ma negli anni ‘50 hanno pensato bene di rivestire ogni parete di marmo grigio, togliendo il contrasto tra l’iconostasi e i colori delle pareti. L’hanno spenta, dico io e lui plaude alla definizione. Quando esco, chiude la cappella a chiave: non mi ero resa conto di averla trovata aperta per caso (proprio come quella Istriana). Quando ci diamo la mano, salutandoci, lui si presenta, Giovanni; semmai chiedete di lui per farvi aprire. Anche le Cupole di Santa Giustina, viste dal Prato, al tramonto, sono bellissime: ruota panoramica di Aperol a parte, la scenografia che le due Basiliche regalano a questo strano “bosco di platani, zirà in ovale da un canale tra statue bianche, fermà da ponti de piera”. Capiamo al volo l’idea del Memmo di costruire, ai bordi della città, un salone elegante e arioso, che rimandasse alle acque veneziane. Mentre la poesia della scena ci illanguidisce, noto prosaicamente un supermercato Despar, assortimento urban-chic, nel vecchio Foro Boario del ‘900, restauratissimo (2019); sul suo tetto, si sente la musica jazz di un locale urban-chic, che si chiama Ex Foro. Stefano ed io ci ripromettiamo di tornare e andiamo a cena sulla Terrazza Carducci, lì presso, dove mangiamo bene.
TRECENTO, NOVECENTO, DUEMILA
Per la quinta volta in un mese, torno a girolare per Padova con Stefano: è davvero diventata parte del nostro contesto metropolitano. Andiamo a vedere la Mostra sul Futurismo, gli esordi fino al Manifesto di Marinetti: è a Palazzo Zabarella (sull’asse dagli Eremitani al Santo). Sorpresa: ci trovo il mio adorato Carrà Meriggio a Sagliano (dal Museo Civico di Biella!) e altre cose interessanti. Il Palazzo stesso è elegante e piacevole (ci siamo venuti spesso): sullo scalone c’è un trompe l’oeil garbato. Stefano ha alcune osservazioni severe sull’allestimento (che deposita nel questionario): la collocazione del bronzo di Boccioni (famosissimo, arriva dal Brasile), l’illuminazione dei grandi quadri simbolisti (sbagliata). È una delizia poter parlare di Arte, con un interlocutore che ne sa, anche più di me e che non si accontenta mai. Poi andiamo da Lob’s agli Eremitani a mangiare una Clam Chowder. Padova-Mondo!!
È una delizia poter parlare di Arte, con un interlocutore che ne sa, anche più di me e che non si accontenta mai.