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OMBRE VENETE

Vi ho già detto, credo, che l’Astro Divino di Venezia genera un cono d’ombra lungo quanto la fila di città del Veneto, lungo la A4: arriva fino alla sponda del Garda, mettendo in scuro Verona, Vicenza e Padova. Le quali, senza Venezia, sarebbero stelle di prima grandezza nel cosmo del Turismo mondiale, senza dubbi. Siccome in Veneto l’ombra è anche il goto-de-vin (bevuto all’ombra del Campanile di San Marco, manco a dirlo), quale migliore miscela di ombre, per girolare le città venete, fuori Venezia. Dolo (Girolo IdoLove) è lo spartiacque, tra chi “gravita” su Padova e chi su Venezia o Mestre: i bus ACTV, a Dolo “cambiano viaggiatori”, chi va a scuola, al lavoro, chi fa shopping, happy hour, vede amici e parenti. Io, pendolare per una vita sulla città lagunare, ho sempre amato giroli padovani, Bastian Cuntrari. Mai come in periodo di Pandemia, però, ho girolato Padova disertando il mio itinerario essenziale: stazione degli autobus (vicino ai treni), Eremitani-Scrovegni, Piazze, via Roma, Santo. Raramente andavamo a Padova per cena, se non da Susi e Nicola: invece, modificando i miei giroli, ho scoperto una marea di posti da provare, di sera; anche Padova ha approfittato del consumo all’aperto per popolare i suoi chilometri di portici, le rive dei suoi Navigli, che la circondano per intero. Non tutti i morbi vengon per nuocere (adesso possiamo dirlo sorridendo). Quando i bus erano interdetti, ci sono andata anche in auto (protetta nel mio abitacolo, sola) e dirò che la ricerca di parcheggi, per paradosso, mi ha fatto scoprire punti di accesso diversi e ho attraversato per caso quartieri, isolati e vie “fuori dagli itinerari”. Insomma, la necessità ha rivelato le virtù di una gran bella città: oltre Giotto e Sant’Antonio, le sue icone. Il fatto che sia stata riconosciuta Città Unesco, va ben, ho già detto dell’inflazione orribile di questo “marchio”, dei rischi che può comportare oltre agli aspetti positivi, di fama e finanziamenti. 

ALLA SCOPERTA DI:

COMINCIO DA GIOTTO

Chi dice Giotto dice Assisi. Ma chi non vede la Cappella degli Scrovegni a Padova perde mezzo Giotto. Solo leggendo la Guida TCI Padova e Provincia, nel 2022, apprendo che il Palazzo della Ragione, detto semplicemente il Salone, fu interamente affrescato dallo stesso Giotto, un ciclo unico per soggetto e per dimensione. L’incendio di metà ‘400 ha costretto il rifacimento della decorazione, che rimane comunque straordinaria per conservazione e qualità; sopra di lei una copertura a carena di nave, unica al mondo (direi), di bellezza assoluta. È magnificente anche il soffitto della Chiesa degli Eremitani, ma credo sia rifatto dopo le bombe della II Guerra. Il Salone, vuoto, accoglie un cavallo ligneo rinascimentale, “da giostra”, di dimensioni sovrumane, che nemmeno a Troia. Inoltre, in onore a Galileo (Pisano naturalizzato Padovano), dondola perpetuamente un moderno pendolo, ipnotico ed evocativo dei perpetui moti celesti. Visita da fare e quando scendete, percorrete i due porticati di Piazza delle Erbe e della Frutta, dove restano le botteghe progettate all’origine, ormai passate di mano in mano, fino a contemplare una singolare soluzione di “supermercato in linea”, sotto il marchio Alì (per alcune di esse). Ad uno dei canti resiste il Bar degli Osei (anche lui ristrutturato recentemente): una istituzione padovana per i suoi panini caldi con la porchetta e i tramezzini piccanti. All’altro canto, in un palazzone Liberty, resiste il Grande Magazzino Alla Palanca (come dire: costa poco, un soldo), vicino a negozi di abbigliamento più raffinati. Di lì si passa in Piazza dei Signori, elegante, con la quinta bianca di fondo e la Torre con l’Orologio blu, segni dello Zodiaco dorati. Attraverso un arco si passa in Piazza Capitaniato, deliziosa e da lì al Liviano (Università), edificio di Giò Ponti, affrescato da Campigli.  Mi folgora la somiglianza dei muratori di Campigli con il personaggio sulla scala di Giusto dei Menabuoi, al Battistero; 900-300, 600 anni d’arte. Giotto, agli Scrovegni, lo dovete vedere, prenotandovi (dopo la Pandemia si trovava posto!!): non c’è foto che tenga, non ci dovremmo andare una volta sola e basta, ma tornarci spesso. È un’esperienza spirituale e sensuale magnifica, non fate senza!

GIUSTO E ALTICHIERO

Ed ecco che Padova spiazza il turista “banale”: oltre a Giotto, vi propone altri cicli pittorici strepitosi, di alta levatura e ingiustamente meno noti, il Trecento Veneto, che a Venezia non è tanto presente. Si tratta del Battistero, per il ciclo di Giusto dei Menabuoi e dell’Oratorio di San Giorgio, per Altichiero da Zevio. Per non dire di Jacopo da Verona all’Oratorio di San Michele o di Guariento che è andato largamente perduto. Poi c’è Jacopo da Montagnana nella Cappella dei Vescovi, ma siamo già nel ‘400. Io sono Bastian Cuntrari e riconoscendo a Giotto di Bondone la primazia assoluta, torno più facilmente a godermi Altichiero da Zevio, che ha una raffinatezza di tratti e di composizione sublime. Giotto (come Giusto) “scrivono” le loro scene sulle pagine di un quaderno, incorniciato da “greche”. Altichiero si lancia in vere e proprie narrazioni, compone scene in grandi quinte teatrali, gruppi corali percorsi da un movimento, meno ieratici. I suoi gruppi di teste e i suoi volti sono già rinascimentali, non so spiegarmi meglio. Nella Cappella del Beato Belludi, al Santo, Giusto rappresenta un prigioniero, liberato da San Luca, inclinando una torre bianca: capolavoro di efficacia, di modernità assoluta, la Torre potrebbe essere di Giò Ponti. In somma, basterebbero questi tre frescanti per fare di Padova una Capitale d’arte: Unesco, o no. Al Santo è proibito fotografare, ma tutti hanno cellulari e i-pad alla mano (e non sono videoguide!). L’Arca di Antonio emana una luce estatica, che rimbalza sui marmi: uno scrigno intarsiato e scolpito dai Maestri Lombardo, special guest Jacopo Sansovino. Dentro, l’aura è davvero speciale: mi ricorda il Santo Sepolcro, anche per le figure dei devoti, immobili come le sculture, rapite. Rubo qualche immagine, anche se dubito di potermele scordare. Di fronte all’Arca, con toni del tutto diversi (rosso spento e oro cupo), un’altra enclave, che non coinvolge i richiedenti miracolo: la Cappella di San Giacomo, affrescata da Altichiero. Io, miscredente, non saprei scegliere: mi trovo letteralmente in mezzo a due fiumi di arte e, di fronte, avrei l’Altare di Donatello. Per fortuna non è accessibile, perché verrei colta dalla Sindrome di Stendhal e potrei non sopravvivere. Nel fondo dell’abside, dietro il Presbiterio, ci sarebbe pure la Cappella delle Reliquie, una cateratta Barocca, da annegarcisi. Esco e il Gattamelata di Donatello, che a cavallo va verso le Piazze, mi sembra una “cosetta così”, giusto per non lasciare la piazza vuota. Il Santo fa mezzo milione di comunioni, mezzo milione di abbonati al suo Messaggero, tre milioni di visite per anno: un crogiolo di Fede, che io posso solo assumere come dato. Ma, per quanto riguarda la concentrazione d’arte, posso dire che il crogiolo è da estasi. Passando per l’Orto Botanico (da vedere), arrivo al Prato della Valle, dal quale le Cupole e i minareti del Santo appaiono meravigliosi, insieme a quelle di Santa Giustina. Una scena imperdibile, soprattutto al tramonto. 

L’Arca di Antonio emana una luce estatica, che rimbalza sui marmi

PADOVA  INATTESA

Devo riprendermi dall’Arte, mi serve un tonico: al Prato della Valle, Aperol ha alzato, tra molte polemiche, una specie di giostra panoramica, che promuove lo Spritz. Percorro via Umberto (che poi prosegue in via Roma), pochi metri e devio a sinistra, verso la Padova più intima, tra qui e il ramo del Bacchiglione che costituisce Naviglio. I canali e le Mura (con 2 o 3 porte superstiti delle 19 originarie) sono elementi inattesi per chi visita Padova e le conferiscono un volto meno monumentale e scontato. Già da via dei Rogati la città storica si fa minuta, residenziale e defilata, tutt’altro che popolare. Girolare è il verbo adatto: via XX settembre, poi via Gregorio Giustiniani; Oratorio di San Michele, Torre Astrologica, la Riviera Paleocapa, il Ponte Sant’Agostino quello di S. Giovanni alle Navi. Una sosta a San Michele, che trovate soltanto cercandolo. Jacopo da Verona ha affrescato l’Oratorio con varie sacre vicende: ne resta larga parte, mirabile; in alcuni muri sono sovrapposte pitture posteriori, molto meno valide. Ci sono particolari che impressionano: un gruppo di mani sul sepolcro della Madonna; una seggiolina che pare Van Gogh; una donna che fa mangiare delle galline (padovane?), un bellissimo angelo annunciante, ma Maria non c’è. Usciamo e siamo immersi nella Padova dei Portici; palazzi di diversa epoca, cotto e marmi; molti locali dove fermarsi a bere o cenare. Tutto gradevole, quasi tutto curato. Alcune facciate splendide come la Casa degli Specchi. Alcuni slarghi inattesi, come fossero scene teatrali: piazza San Nicolò (bella chiesa con affreschi interni ed esterni), via Selciato, via Da Carrara; strada Santa Lucia (Chiesa e Oratorio di San Rocco, chiuso!!). Mi siedo all’Eroica caffè, ottimo spritz e cicchetti. Proseguo per via Dante: passo il Teatro Verdi, I Carmini (Pasticceria Viennese), la Passeggiata Conciapelli (Enoteca Mediterranea), le Porte Contarine (bar Atipico). Siamo alle spalle del Museo Zuckermann (un V&A padovano) e in prossimità degli Eremitani. Dove, per vincere facile, possiamo vedere la Cappella Ovetari affrescata da Andrea Mantegna (purtroppo bombardata a morte nel ‘44).

Attorno agli Eremitani Padova è molto diversa da come la girolavo negli anni ‘80, sembra risentire del marchio Unesco, si riconoscono diversi turisti e c’è un rinnovo modaiolo dei locali, vagamente internazionale. Con Stefano pranziamo da Lob’s una catena inventata nella provincia padovana, che promette aragoste alla maniera della West Coast. Non è costosa, il cibo è originale e buono. Nel prossimo Girolo, ripartiamo da qui (fanno anche happy hours 2 al prezzo di 1).