Credo sia il poeta veneziano Mario Stefani ad aver scritto che se Venezia non avesse il Ponte (della Libertà), L’Europa sarebbe un’isola: voluto dal fascismo, il ponte (littorio), collega l’isola di Venezia con la sua Terraferma. La quale, per i nativi delle isole, rimane campagne, fino a NY e Shanghai. Nel mio ultimo lustro di lavoro in isola (2012-2017) ho voluto fare dei giroli immersivi, attorno a Venezia: Laguna Nord, Marghera, San Giuliano, il Ponte. Lo percorrevo 5 giorni su sette, 50 settimane all’anno, da oltre 20 anni, sui bus di ACTV: ho voluto, un pomeriggio, percorrerlo a piedi, partendo da Piazzale Roma e arrivando ai Pili, dove il Leone alato marca un limite (la Gronda Lagunare, Girolo Bosco a Mestre). Sono stata graziata da un tramonto lunghissimo, colori sensazionali, un coro del paesaggio. Lo so, le foto dei tramonti diventano subito cartoline, banali. Ma non ho altro modo per raccontare la mia immersione, una camminata di oltre un’ora (il ponte è lungo 4,2 chilometri) senza sapere se erano più belle le montagne che si stravedevano (girolo Chioggia) da un lato, oltre San Giuliano e Tessera o le sagome di Porto Marghera, stagliate nettamente verso sud-ovest, con all’orizzonte i Colli Euganei. Io adoro lo skyline del Petrolchimico e quindi non mi stupivo del suo fascino; ma diventavano maliosi anche i profili dei tralicci ferroviari, dalla parte opposta. E persino la sagoma del people mover tra Piazzale Roma e Tronchetto, una lisca di pesce spolpato, sparata contro strisce color pesca e poi sull’inchiostro cristallino, tra fanali e stelle. Si può dire “bere il paesaggio”, come fosse un whiskey-sour o un orange sunset? Ho persino superato senza rabbia le difficoltà di arrivare alla prima fermata agibile dei bus ACTV: hanno fatto una pista ciclabile, sul Ponte, ma accedere e uscire, resta un percorso avventura. O forse lo era nel 2012.