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MILANO TURISTICA?

In una famiglia dove la capitale del regno è Torino (girolo Torino), io Bastian Cuntrari le preferivo Milano: tra il 1968 e il 1973 ci andavo a fare le manifestazioni; dormivo a Cinisello, in Vettabbia o Curtatone; facevo colazione da Taveggia lungo i “bastioni spagnoli” (il tracciato poligonale che chiude il centro tra il Castello e la Ca’ Granda). Andavo da Venezia, tessendo improbabili liaison, tra case di ringhiera e Navigli, che non erano di moda: sentimenti e gorgonzola. Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano! Ma, in quella stagione beata, non badavo a cosa c’era intorno: concentratissima su di me. Ho cominciato a considerare Milano una città con delle “cose da vedere” al tempo delle Stelline (centro convegni), negli Ottanta da bere: ho eletto a luoghi del cuore via Magenta, la Pasticceria Marchesi, il Cenacolo Vinciano, che non serviva prenotare con anni di anticipo. Ma, il vero colpo di fulmine milanese fu San Maurizio, col ciclo pittorico di Bernardino Luini, inattesa e sommessa meraviglia. Sono trascorsi tanti anni, sono stata a Milano tante volte per lavoro, per mostre, per stare con amici: San Maurizio rimane la mia icona milanese. Al Cenacolo, dopo il restauro, non sono più tornata: l’unica volta è stato un colpo al cuore e lì dentro rimane. Basterebbero questi siti a fare di Milano una destinazione turistica, ma in verità ne ha 100 volte tanti.

Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano!

ALLA SCOPERTA DI:

OLTRE SAN MAURIZIO  

Dichiaro i miei luoghi prediletti a Milano, in ordine confuso: la Cappella Portinari (scoperta per caso nel 2000); Piazza Vetra e Sant’Eustorgio; la Triennale; la Pietà Rondanini al Castello Sforzesco. Mi piacciono i Navigli, ma mi ci trovavo meglio prima della fama (ho letto da poco Lorenza Gentile, Le cose che ci salvano 2023 Feltrinelli). Mi piace la zona di Corso Buenos Aires (pop), e mi piaceva Corso Lodi, con le sue mercerie e ferramenta d’antan: bottegai/e che sapevano fare il proprio mestiere. Mi affascinava la fermata della metro Lodi-T.I.B.B.: l’acronimo di Tecnomasio Brown Boveri l’impresa che faceva i tram, altra icona milanese. Nata a fine ‘800 fuori Porta Romana, non esisteva più quando io ventenne frequentavo Milano, se non nel ricordo archiviostorico.fondazionefiera.it. Mi piacciono le case Novecento attorno alla Stazione Centrale (le foto sono del 2021) e il Liberty, verso la Fiera (vecchia). Mi piace moltissimo il Museo del ‘900 a Palazzo Reale, rivisto nel 2019 con Bebe (una mostra sui tempi di Margherita Sarfatti). Mi piace la zona di Brera, abbastanza: il Museo è uno dei più preziosi in Italia, basterebbe il Cristo Morto di Mantegna: mi ricordo che, finita la prima visita, l’ho rifatta da capo; ci sono tornata nel 2006. Mi piacciono le case private rese visitabili, oltre alla storica Bagatti-Valsecchi e mi piace il Poldi e Pezzoli. Un tempo, mi piacevano la Galleria e via Manzoni, girolavo soprattutto in centro-centro tra il Duomo e la Scala, perché c’era la Rinascente, c’era la Feltrinelli e il delizioso Bar Camparino, mosaicato liberty. Avevo due negozi abituali, che “svendevano” le mie marche predilette: Magli e Blunauta, prezzi da realizzo per pezzi unici. Ho ancora una casacca alla coreana di seta operata, che ha mezzo secolo; ho dovuto gettare degli stivali di camoscio panna, fa-vo-lo-si, risuolati all’infinito. Mi piace, senza esagerare, la zona Garibaldi, dove abitava Elena in ringhiera, negli anni in cui diventarono di moda le Cantine Isola. Una volta, mi sono regalata una notte al Gallia, premio di consolazione per transitare tra il natale veneziano e quello biellese (troppe famiglie). Una volta ho dormito da Glam, che è all’angolo opposto del piazzale stazione: tutto un altro stile e prezzo. Nel 2021 ho trovato un buon hotel Charlie, vicino ai treni e che costa il giusto; tra Settala e Boscovich ho scoperto una panetteria Vailati, l’Osteria Papà Nicola e un posto “da bere”, veramente glamour, Moebius. Negli anni Ottanta ho anche frequentato il quadrilatero, quando cercavo di disegnare tessuti: sono andata da Naj Oleari e da Meroni (?), con pieno insuccesso: addirittura, mi dissero, era il pittore Dova a disegnare per loro, e io chi ero?!! Del resto ero salita fino a Golasecca, per farmi dire da Rosita Jelmini Missoni che non ero originale. Avevo preferito via Bigli a Spiga a Montenapo: ma ci sono tornata, dopo la sbornia del Made-in-Italy e le ho trovate insopportabili, con le code per svendite inarrivabili comunque. Mi piace molto l’hotel Mercure in Conca dei Navigli oppure il Canada, non lontano, che si è completamente rinnovato. Nel 2000 ci ero rimasta qualche notte, ho fatto la turista, ho visto Sant’Ambrogio (imperdibile il Ciel d’Oro), le vetrate del Duomo, ho scoperto Vetra e Portinari e Santa Maria sopra San Satiro, dell’adorato Bramante. Poi, per andare in pari con tanta storia, sono arrivata fino a Sesto San Giovanni, nelle officine Falck dismesse, a vedere Maurizio che recitava in “Boxe”, un monologo. Il ritorno, all’alba, sola in metrò fin dentro i bastioni spagnoli, mi è parso un altro pezzo di teatro, surreale ed inquieto.

MILANO LIBERTY 

Nel 2000, girolando molto a piedi e da sola (di solito andavo a Milano a trovare qualcuno/a), sono stata affascinata dai cortili, non quelli delle case a ringhiera (tipiche e famose), ma quelli delle palazzine eleganti, alto borghesi: cercavo di fare foto, e venivo fermamente respinta dalle “portinaie”, istituzione emerita che conoscevo per sentito dire. Avevo qualche vaga nozione del Novecento milanese e mi sono dedicata al Liberty, ma senza metodo (nessuna guida o itinerario). Nel 2021, senza cercarle, ho trovato tante case novecentesche: se non liberty, assimilabili e, invece dei cortili, ho scoperto la bellezza degli androni. Ma le portinaie sono ugualmente vigili e indefesse: ho rubato qualche immagine, qualche vetro piombato, qualche pavimento geometrico, qualche ferro battuto; prima di essere allontanata come persona non gradita. Nello scrivere i giroli,  ho notato una assonanza tra le vetrate del Dom a Francoforte (Girolo Francoforte) e una porta divisoria nella Casa Boschi Di Stefano, in via Jan. Le Case del FAI (Crespi, Necchi, Grandi) fondoambiente.it sono interessanti e le raccomando perché, oltre all’arredo e ai quadri, troverete un’atmosfera particolare, il benessere senza smancerie che mi pare un tratto milanese. L’assortimento dei quadri (Casorati, Modigliani, Picasso, Morandi, Dova ma anche nature morte del ‘600, per non farsi mancare nulla) è superlativo; gli oggetti raffinati (vasi, flaconi, boiserie, piastrelle, maniglie, piantane, capi di sartoria); e, poi, la macchina da cucire, i barattoli di vernici colorate coi pennelli usati, segni di operosità “con le mani”.

MILANO SENTIMENTALE

Prima del Covid, ero andata a Milano per un’amica veneziana, che lì si curava allo IEO. Le avevano prestato un appartamento tipicamente milanese: un enorme spazio, diviso tra madre e figlia, con due unità indipendenti. Si utilizzava la presenza del doppio-ingresso, requisito peculiare del benessere borghese urbano: un accesso padronale e uno per la servitù e i fornitori, vuoi mai si incrociassero. Ne avevo visti parecchi, a Milano di appartamenti con i due ingressi (anche a Biella, a dirla tutta); e avevo visto anche le  opportune divisioni, quando il benessere dei padri passava ai figli. La casa prestata era in zona Triennale (detto Palazzo dell’Arte, in Parco Sempione) ancora in centro certamente, ma con un’atmosfera diversa da quella entro i bastioni spagnoli: mi viene da dire in una scala esplosa, da grande metropoli, senza nessun sintomo di periferia. Proprio lì, non a caso, c’è la sede della Triennale, che appartiene a questa idea di gran-milano e di contemporaneità (dalle date si capisce che era una idea maestosa del regime, anche se Mussolini aveva già rotto con la Sarfatti). C’ero stata, nel 2006, ad una Mostra su Keith Haring, molto bella. In quella occasione, con Roberta, Rodolfo e Stefano avevamo fatto i turisti: dormito in Conca Navigli, visitato il Duomo, fino alle guglie; Santa Maria delle Grazie (preziosa anche senza Cenacolo), e le Civiche collezioni del Castello, la cui Pinacoteca compete con Brera. Marina era la mia Musa della Rigenerazione Urbana audis.it , ma a Milano mi ha portata a vedere il Design Italiano, e poi nel Parco, che ha una amabile terrazza bar. Ricordo un caldo torrido e Marina affaticata: stavamo a chiacchierare, sotto gli alberi, come in un quadro di Hopper, lei sempre molto colorata di abiti, accessori e rossetto, la spremuta di arancia in pan-pan (come diceva, irridendo il pendant): due donne in confidenza di pensieri. E’ un bellissimo ricordo, che mi fa amare ancora di più i giroli milanesi. Ho pensato che è abbastanza da Bastian Cuntrari, legare amicizie sentimentali a Milano (Cinisello, Sesto, Corso Lodi, la ringhiera, il doppio-ingresso, la Triennale, la Statale), invece che a Firenze o Venezia. La città anti-romantica per eccellenza, topos dei miei sentimenti. E, a proposito di Parchi: emerge dalla notte dei tempi, una Milano d’antan quando ancora girolavo la zona Statale, la pizzeria di piazza Santo Stefano, via Laghetto, via Festa del Perdono, Piazza Fontana. Camminando Paola, Zuma ed io (già compagni di Liceo) in confidenza di pensieri, fino all’alba, quando riprendevano i tram per Cinisello. Negli anni Settanta, sarebbero venute le Feste di Re Nudo al Parco Lambro, ma io ho memoria di un Parco Ravizza, notte finita all’alba girolando in moto fino al Gallaratese di Carlo Aymonino, che era il mio Rettore a Venezia. Nel 1977, nella mia Tesi di Laurea avevo esaminato il caso del Parco Ticino, allora agli albori: prototipo di campagna-parco che sarebbe diventato di moda, dopo. Milano, intorno a Milano. Negli Ottanta, invece, andavo ogni anno alle Fiere (vecchia sede): il Salone del Mobile, lo STAR per il tessuto di arredamento. Una faticaccia: ma ero giovane e accompagnavo Stefano, che faceva il designer. Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano.