MANTOVA
LA CAMERA PICTA
A Mantova ero stata, in gita scolastica negli anni ‘60; o, forse, c’ero passata con i miei per un Congresso Enigmistico, che si teneva a Viadana e si chiamava La Sibilla del Po. Mio padre, super nome Il Bruco e mia madre, La Farfalla, costituivano il gruppo biellese Gli Ignoranti (simbolo due asinelli), insieme agli inseparabili amici Villa et al. Partecipavano ai raduni, dove c’erano gare Autori e Solutori, per sciarade, crittografie mnemoniche e sinonimiche, indovinelli, e rebus; c’era una gara per giochi poetici, che non so spiegare cosa fossero, ma ci volevano le rime. Quando qualcuno diceva “ah, si, i giochi della Settimana Enigmistica”, gli Ignoranti storcevano la bocca: loro avevano riviste riservate Penombra, Il Labirinto, Aenigma, guai a confonderle con parole crociate di Bartezzaghi. Con gli Enigmisti ho girolato in luoghi improbabili, come Locri, Russi, Recco e Levanto (Girolo Vernazza), Carimate, Belgirate e Caravaggio, Luni, Viadana. Oggi, posso dire che i gruppi enigmistici locali promuovevano, consapevoli o meno, una Italia fuori dai riflettori turistici e dalle vacanze massive. Anche questo ha contribuito alla mia formazione di girolona. Quella volta, ci eravamo imbarcati sulla Motonave Andes ed eravamo stati a Sabbioneta, la Versailles dei Gonzaga e sui Laghi di Mantova. Un decennio dopo, la capitale dei Gonzaga, ricompare nei miei atlanti come città della Mara, una delle Donne Oneste con cui dividevo l’appartamento a Venezia, durante l’università. La consideravo il Ducato della sua famiglia, larga e generosa, con innato sapere conviviale; a Mantova non andavo per visitare qualcosa o girolare, ma per stare ospite dalla Ines, mamma di Mara, che tirava la sfoglia per gli agnolini e i tortelli di zucca. Mia madre, la Farfalla, in frigorifero teneva il Causit e il Siero Antivipera, per quando il Bruco andava in montagna d’estate: una padrona di casa cuoca era per me una favola. Andavo a Mantova rigorosamente il mercoledì, perché il giovedì era giorno di Mercato e si comprava benissimo: vestiario, scarpe e accessori “di marca”, prima che diventassero di moda griffe e stock. Oppure c’era qualche matrimonio, che durava tre giorni, di libagioni e danze, proprio come dai Gonzaga, in qualche salone affrescato, coi soffitti a cassettone. Mara, quando arrivava a Venezia, aveva sempre con sé stracotto per i maccheroni e torta Sbrisolona, made by Ines. Dalla Mara ho imparato a fare la pastafrolla e ad usare il Vialone Nano per i risotti: due capisaldi della mia cucina. La prima volta che ho portato Stefano, alla corte dei miei amici, ha voluto tornare alla Camera Picta, detta degli Sposi, capolavoro assoluto del (veneziano) Mantegna. Correva l’anno 1980 e ci siamo tornati a fine pandemia, nel 2022, prenotando per le 8.05 del mattino. Lo stupore si è ripresentato intatto (incluso quello di poterla fotografare): il guardasale, data la scarsa presenza a quell’ora, ci ha concesso un tempo adeguato, per rimirare tutti i Gonzaga, gli angioli con le ali di farfalla, i paesaggi e i cieli di sfondo. Alloggiavamo in Piazza Erbe (Hotel San Lorenzo), finestra con vista sulla Rotonda, la Torre, Sant’Andrea dell’Alberti e Cafè Sgaravatti, un must d’antan dove prendemmo l’aperitivo con Mara. Un’altra volta c’ero stata nel 2015 da sola, in un lussuoso B&B Ca’ delle Erbe, vicino a Sgaravatti e avevo mangiato i tortelli di fronte, invece che al ristorante di Piazza Sordello, dove mi portava la Mara, chiuso per sempre.
ALLA SCOPERTA DI:
RINASCIMENTO PRIVATO
Rivedendo le fotografie sono confortata dalle medesime inquadrature 2015 e 2022, dentro la dimora dei Gonzaga (quelli veri), Palazzo Ducale: ho le idee chiare su quello che mi piace di Mantova. Fuori città mi piace il Mincio che forma i suoi tre laghi: bellissima passeggiata nei crepuscoli e, nel 2022, ho colto una colonia di garzette (o aironi?) nel Rio che attraversa il centro, unendo Lago Superiore e Inferiore, dalle parti di Porto Catena. Non distante, ai tempi dell’università, c’era la Trattoria Due Cavallini, che era d’obbligo per i maccheroni con lo stracotto di cavallo; anche se quelli della Ines erano insuperabili. Piazza Sordello è molto bella (tutta a ciottoli) e dovete vederla, come San Marco a Venezia, prestissimo la mattina o tardi al crepuscolo, senza turisti. Le sue quinte sono eleganti e la cupola di Juvarra, aggiunta a Sant’Andrea, fa ottima mostra di sé. C’è un Duomo, che soccombe alla fama del Palazzo Ducale e rischiate di non entrarci nemmeno, invece merita. Il complesso delle dimore Gonzaga è sterminato e solo in uno dei percorsi si visita la Camera Picta (fate attenzione al biglietto che acquistate, si chiama Castello di San Giorgio): rischiate di vedere “solo” le altre stanze ed opere, comunque bella roba. Nel 2015 (Camera Picta in restauro) mi sono goduta gli appartamenti o gabinetti di Isabella d’Este Gonzaga (per sapere tutto di lei, leggete la Bellonci. Rinascimento Privato): la mia omonima si circondò di belle cose, affreschi floreali delicatissimi ed essenziali, tarsie lignee superbe, pitture leggiadre e motti latini. Speciale è anche la sinopia di Pisanello e la parte poi affrescata, di cui rimane poco: una gigantesca battaglia di rara composizione, col fascino dell’incompiuto. Se Pisanello non dovesse competere con Mantegna, la sua Battaglia sarebbe il perno delle attrazioni mantovane: chi girola con me conosce la mia tesi sulla relatività del bello-da-vedere; non ci fossero gli stelloni turistici, le opere che definiamo minori brillerebbero di più. Dentro il Ducale di Mantova non mancano corridoi barocchi, saloni dipinti, specchiere come piovesse e giardini d’inverno, rustici, decoratissimi e vagamente pacchiani, con rocce, conchiglie, sirene e tritoni di gesso dipinto. Non ho molte immagini dei monumenti mantovani, perché in decine di soggiorni, raramente avevo con me la macchina fotografica: solo nelle visite più recenti (tra 2010 e 2022) ho fotografato qualcuno dei capolavori mantovani. Sant’Andrea di Leon Battista Alberti (è suo anche San Sebastiano, monumento UNESCO, spoglio), ha magnifiche volte a losanghe e preziosi decori di stucco. Nelle mie foto emergono fregi tardo rinascimentali che si legano all’apparato decorativo di Palazzo Te, appena fuori città, sede da tempo di importanti esposizioni. Sono in molti a non gradire il periodo delle grottesche, che spopolano in quasi tutti i complessi di villa italiani, e qui a Mantova: oltre ai ghirigori geometrico floreali, le pareti si riempiono di animali antropomorfi, di ninfe e di satiri, chimere e altri ibridi, di volti smorfiosi (grotteschi, per l’appunto). Poi ci sono gli affreschi manieristi di Giulio Romano, nato nella capitale ma sposato, vissuto e morto a Mantova. Di Palazzo Te si possono apprezzare anche le architetture, soprattutto esterne e nelle parti a giardino, dove ancora domina un esplicito e pulito classicismo, di sapore palladiano. Nel 2015 Palazzo Te ospitava una Mostra su Mirò, nelle sue Frutterie: io indosso una spilla in plexiglas, molto Mirò, anche se è di un artista torinese, regalo della cugina Criz, collezionista di gioielli insoliti.
ATMOSFERA
La mia consuetudine con Mantova, vista dai “gruppi di famiglia in un interno”, mi lascia convinta che i monumenti non facciano la città: se mai succede con qualcuna. Mantova è graziata da una propria atmosfera piacevole, un po’ signorile ma anche un po’ brusca e schiva, memore delle campagne padane, di cui è stata centro focale. Gli avi di Mara, provenivano dall’intorno e io sentivo nomi come Gazoldo degli Ippoliti, Villimpenta, Bozzolo, e Marmirolo e li riferivo alla storia che Bertolucci racconta in Novecento; ho scoperto solo adesso che ci sono stati diversi set mantovani, in quel film. Non sono mai andata a Mantova per il suo famoso Festival della Letteratura, nemmeno negli anni in cui frequentavo i Corsi di Scrittura Creativa (al Circolo Tobagi di Mestre): girolando nel sito ho riconosciuto il cortile dei miei amici, non lontano dalla Pescheria di Giulio Romano. Negli anni Settanta, entravano e uscivano da lì i furgoni, dal laboratorio del Glauco, papà di Mara, che sovrintendeva il viavai: ricordo il suo grembiule da lavoro, color segatura, l’odore dei legni, il rumore delle seghe. Le città cambiano: non so di cosa vivesse Mantova ai tempi della mia università (c’erano le Cartiere Burgo, progettate da Nervi, la Marcegaglia, la Belleli); oggi, l’industria turistica è una carta che si deve giocare, con le materie prime di Mantegna, Pisanello, Alberti, Giulio Romano. A me piace ancora girolare a Mantova, senza meta e senza tappe, come in un luogo un po’ mio. Solo nel 2015 ho scoperto che San Francesco (vicino a Palazzo Arco) conserva un ciclo mirabile di Tommaso da Modena. Invece, sono tornata spesso al Teatro Scientifico o Accademico detto del Bibiena dal nome del suo progettista d’interni. Lo associo a mia mamma, La Farfalla, e forse c’ero stata con lei, la prima volta. È una vera scatola da carillon, minuto ed elegantissimo, con i palchi barocchetti e il soffitto a forma di campana, circondato da balconi trompe l’oeil. Non lo ricordo, ma sono sicura che ci sia un teatro anche a Sabbioneta, di Vincenzo Scamozzi (veneziano), un Olimpico in do minore, rispetto a quello di Vicenza (che è di Palladio). Guardando la mappa, realizzo che Viadana e Sabbioneta siano più vicine a Parma che non a Mantova: un ottimo pretesto per un girolo dalla capitale dei Farnese, dove andiamo spesso (Giroli Parma). I legami tra corti padane sembrano ovvi; meno scontato quello tra i Cartoni di Mantegna, Trionfo di Cesare, e il Regno Unito: ma la Girolona vi ha già portati ad Hampton Court, dove quelle opere sono esposte, in una frutteria Girolo Londra 2010. Vicino a Mantova, con Stefano, siamo stati a Le Grazie, un Santuario strampalato, molte statue di tessuto e un coccodrillo imbalsamato appeso al soffitto; uno dei set di Bertolucci. Ad Asola Mantovana ci sarebbe una Chiesa con pitture interessanti di Romanino, ma la troviamo chiusa. Ed è chiuso anche il Cafè Liberty del 1915 in piazza. Valeggio sul Mincio è da vedere: non resta molto delle sue duecento torri, erette a partire da Nogarole Rocca, ma è ugualmente un borgo suggestivo già appartenente agli Scaligeri veronesi; secondo me merita il resto del Ponte Visconteo (incompiuto) a Borghetto sul Mincio: traccia di un’opera grande.
Mantova è graziata da una propria atmosfera piacevole, un po’ signorile ma anche un po’ brusca e schiva