MADAGASCAR III
GONDOLA DI EBANO ED OSSO
Quando riprendiamo la N7, verso Tanà e Moramanga, a Nord, il fady del vomito, ci porta a numerose soste che JB assume come occasioni imperdibili di acquisti: anitre vive e agrumi, tralci di orchidee, pesci dei Pangalanes. Ormai non ci stupiamo più del suo divertissement: fare acquisti in giro in giro, come se avesse vinto un premio a tempo all-you-can-buy. Vorrei addentare una arancia, per placare l’arsura, ma un divieto corale si leva dal gruppo: non si può assolutamente mangiare frutta non lavata!! Al mio desolato Obbedisco! L’Angelo sentenzia: Madama Skar è una delle rare donne che non fanno pesare quando stanno male. La Girolona si dice che se vuoi viaggiare ‘da sola’ allora devi saperlo fare, non ti perdi d’animo nemmeno quando l’animo lo stai vomitando. La mia sete, mora-mora, ci suggerisce una sosta sulla N7, al Motel Violette di Ambositra, cittadina che sarebbe raccomandata dalle Guide per turisti, anche per il suo artigianato in legno. Ma noi niente, dritti (si fa per dire) alla meta. Dentro la sala ristorante, che sembra trasportata qui da Gressoney, ci sono molti oggetti scolpiti e intarsiati, anche belli: la specialità del popolo zafimaniry, i cui villaggi si dovrebbero raggiungere a piedi, inoltrandosi nel paesaggio. Nemmeno parlarne: Madame est malade! Da un minuscolo terrazzino del Violette si gode la visione delle risaie, altra specialità degli Altipiani, a perdita d’occhio. I bucati sono stesi al suolo, sull’erba, in prossimità del fiume o dell’acquitrino dove li hanno lavati: la campagna risulta macchiata di colori anomali, come in un grande collage infantile, fatto con ritagli di riviste illustrate. Addosso o al fosso, i tessuti hanno una parte importante nell’ecosistema malgascio. Ci domandiamo, noi europei, se verremmo ad invecchiare in uno di questi villaggi rossi, fuori dal Mondo: io dico che no, mi mancherebbero troppo le librerie e i cafè, la quintessenza urbana. Il gentiluomo di Verona dice “te lo apro io, qui, un cafè letterario”, la quintessenza del garbo. La tisana di citronelle del Violette mi pulisce finalmente tutto lo stomaco e alla successiva sosta, fuori da Antsirabé (da visitare, ma non abbiamo tempo), riesco a mangiare qualcosa all’improbabile Pizzeria Venise. Le pareti sono tutte decorate con scene veneziane, che richiamano il neorealismo sovietico più che il vedutismo settecentesco. Il proprietario ha fatto confezionare, dagli artigiani del legno, una serie di saliere ispirate alle gondole. A parte il colore nero non c’è somiglianza alcuna con l’imbarcazione veneziana ma l’oggetto è bellissimo, un vero gioiello del design malgascio. Devo portarla a Stefano e tratto con la proprietaria, per 1 euro. Il buio, calato repentinamente dopo le cinque, ci coglie ancora lontano dall’Hotel de France (che consideriamo quasi casa): siamo in prossimità della Capitale, zona Ivato, ma ci imponiamo una sosta per cena e pernottamento a Le Cheval Blanc: il suo aspetto è pienamente coloniale, senza nessuna pretesa moderna, come aveva il Soafia, orrendamente kitch. Forse è stata quella l’origine del mio vomito. Quando, all’inizio del girolo, ho parlato di “organizzazione”, non sapevo quale versione di questa parola avrei conosciuto nel Mad-Mad: organizzati ma senza forzare mai i Fady e rimandando a domani, mora-mora, quello che potresti fare oggi. Non è più molto chiaro quale sia il nostro programma ufficiale, quali gli appuntamenti d’affari, le tappe obbligate. Azafady.
ALLA SCOPERTA DI:
LA TARTARUGA STELLATA
Nei dintorni della Capitale, andando verso la Costa dei Pangalanes, conosciamo la Moglie di JB, nella loro abitazione familiare, al centro di una tenuta che da noi si definirebbe agricola. È una giovane Madame, che ci riceve in tuta e non capisce perché le voglio regalare delle perle di Murano. È la prima volta in vita mia che Venezia e le murrine non suscitano oh e ah di meraviglia. Forse Madame JB è imbarazzata, mentre sceglie le collane, con l’aiuto del marito e di JS, che forse ne vorrebbe anche lui una, per la sua signora (alla fine abbiamo ceduto e gliela abbiamo regalata). Siamo seduti su divani in pelle di zebù, bianco sfumato oro, in un salone zeppo di vetrinette e arazzi, cuscini di raso lucido intrecciato e lampade a gocce di cristallo. Immediatamente fuori da questo salone c’è lo sterrato dell’aia, dove razzolano gli animali da cortile. Mangiamo sotto una tettoia di lamiera, su tavolo di legno nudo, con stoviglie assortite e bicchieri di plastica, sotto gli occhietti attenti di un lemure domestico. L’unico che vedrò in dieci giorni: gioca con le banane, quelle piccole e dolci che JB ha comperato sugli Altipiani, vivace e beato dentro la sua enorme gabbia, sotto la nostra stessa tettoia. Mi rendo conto soltanto al ritorno (leggendo la Lonely Planet) di aver visto, anche, due Tartarughe malgasce, specie Astrochelys Radiata, diventate rarissime dopo che nativi e bracconieri le hanno sterminate, per gustarne la carne proibita e/o per utilizzare l’elegante carapace. Le due addomesticate mangiano grandi foglie di insalata, mentre noi mangiamo riso con un buon ragù di anatra. Dalla tenuta di JB, ci avviamo lungo uno sterrato catastrofico, alla volta di Vakona. Si tratta di un villaggio tipo ecolodge (sì! per turisti), disperso nella foresta, con un edificio centrale e tutte le accomodation intorno, in finte-capanne con veranda in legno. I sentieri porterebbero nel cuore della foresta medesima, dove abitano lemuri, camaleonti, ary-ary e le tartarughe radiate, tutte le varie specie endemiche malgasce. Le cose, insomma, per le quali i turisti veri vengono fin qui. Noi, dopo aver gustato birra THB e whisky JB, torniamo sulla N2, direzione Toamasina, ultima destinazione del nostro girolo. Ma prima, finalmente, visiteremo i siti dove sviluppare il turismo balneare con i nuovi fondi della Banca Mondiale: tocca a Madama-skar dare pareri esperti, o almeno così credo. Imbocchiamo strade laterali alla N2, lungo i Pangalanes, il Canale costiero voluto dai francesi per trasportare le merci e le persone con sicurezza, al riparo dall’Oceano. Se capisco bene, oltre ad una navigazione sicura, i colonizzatori volevano bonificare il sistema di marecages retrostante, zona senza dubbio malarico, magari con endemici coccodrilli. Nel pick-up di JB viene caricato anche un piccolo iguana vivo ed è la prima volta che Madama-skar è contenta di viaggiare sulla 505 che parla (risanata): sia mai che mi ritrovi fra i piedi l’amabile endemico!! Riflettendoci, gli animali nativi li vedo volentieri nei cartoons.
BUNGALOW E PALME SULL’OCEANO
Se siete venuti con me in Aquitaine (Girolo: La Duna del Pyla), capirete come mi venga in mente di proporre ai malgasci un sistema turistico “retro-oceanico”, al sicuro da tornado e squali e basato sulla balneazione protetta in specchi d’acqua interni, laghi costieri ottenuti con grandi lavori pubblici di bonifica ed ingegneria ambientale. Non oso proporre una Duna del Pyla, ma forse dovrei: la Banca Mondiale potrebbe apprezzare. Nel villaggio turistico che visitiamo, invece, si riproduce il formato stereotipo di bungalow in muratura con tetto a falde spioventi di bamboo e foglie di banano, dispersi in un palmeto, a pochi metri dall’Oceano. La spiaggia appartiene alla tipologia tropicale: arco di luna, sabbia, palme, onde argentee che si frangono rumorosamente. I colori sono affascinanti, solo a patto di non entrare in acqua! Gli squali, in assenza della barriera corallina, possono arrivare a riva quando gli pare. Ma, dice JS, basta fare una difesa artificiale (la sua formazione nel KGB lo rende risolutivo). Piuttosto, sono un problema i cicloni, dice la proprietaria del villaggio, ma JS precisa che la stagione dei cicloni non è quella turistica. Voilà! I maschi parlano di cifre, investimenti e affari: ho la percezione, da alcune frasi in francese, che l’Angelo evita di tradurre, che si convenga equivocare tra consulenti (noi) ed investitori. Se l’olezzo del vino diventa bouquet, figurati le sfumature che passano tra un esperto e un promotore di sviluppo. Sorseggio il delizioso succo di fragole e corasol, e mi affido al mora-mora. Ci riceve anche il Sindaco del luogo, nel suo studio che sembra una cabane per riporre chaise-long e ombrelloni: la porta spalancata su una verandina che ha una balaustra di legno malconcio, dipinta di blu dilavato. Lui è un altro personaggio da film sulla Frontiera: ma dopo i Sindaci del Rio Grande (Brasile) che chiudevano a chiave la porta dello studio, onde evitare entrasse qualcuno a spararci con la pistola, il mora mora malgascio mi sembra preferibile. Non tutto il mondo è lo stesso paese.
Arco di luna, sabbia, palme, onde argentee che si frangono rumorosamente