MADAGASCAR II
MORA MORA, LUNGO LA RN7
La prima sosta lungo la N7 è per fare un dejeuner ad Antsirabé, sono circa le 10 e ci siamo svegliati alle 4: si tratterebbe di una stazione termale (Girolo La Banda Oriental), che le Guide definiscono elegante. La cafeteria dell’Hotel Imperial, vicino alle Poste, è una icona di Desolazione; fuori scorrazzano i pousse-pousse, risciò a due posti, coloratissimi. Al posto dei cavalli, umani rigorosamente maschi, per lo più scalzi e in braghette corte, li trascinano svelti e silenziosi: molto asiatico, se ci fosse bisogno di ribadire. Li troveremo anche a Toamasina, dove i porteur camminano sull’acqua: venti centimetri di pioggia australe, che forma torrenti nei viali urbani.
Se i maschi portano gli adulti, le donne portano merci e bambini: sul capo hanno ceste grandi e piene, che reggono con talentuoso equilibrio; attorno al busto hanno strisce di tessuto, annodate saldamente, in fogge diverse, a contenere figli, ancora troppo piccoli per scivolare scalzi accanto a loro. I port-enfant di tessuto fanno tutt’uno con i panni delle donne: anche dopo essere venuti fuori, questi bimbi, sono ancora parte del corpo materno. Passata Antsirabé lasciamo le terre dei merina per entrare in quelle dei betsileo, i vinificatori: le case tipiche sono ad Ambalavao, dove non abbiamo tempo di arrivare (NON siamo turisti). Prima di scendere nelle conche dei vignobles, ci riempiamo gli occhi di un paesaggio stupendo di alpeggi tropicali. In lontananza montagne prossime ai 2000 metri; sul lato sinistro, nascoste, dovrebbero esserci le foreste, che degradano verso la costa orientale: ci sarebbero le riserve e i parchi naturali famosi, con lemuri, indri, aye-aye, camaleonti vestiti da Missoni, orchidee mai viste: sono i siti ‘per i turisti veri’, non per noi. In lontananza, i nativi stanno lavorando la terra, nell’acqua fino alla cintura, tirando zebù, o portando sul capo balle di fieno. Figurine di un grande affresco etnico, solo in alcuni momenti appaiono sulla N7, tangibili, con un carretto di banane o di legna, con enormi sacchi di erba, con le falci o i coltelli in mano, con ceste sul capo, con un ombrello rigorosamente chiuso o un lambà che sembra la collezione estiva di Kenzo.
ALLA SCOPERTA DI:
IL PRESIDENTE MOTOCICLISTA
Non bastasse il tragitto lungo la N7, con le frequenti deviazioni per lo shopping di JB, il mora-mora viene rispettato alla grande per un guasto importante alla voiture parlante, di JS. Dopo il pranzo in un Ristorante dei Testimoni di Geova, soddisfatti da costolette di maiale impanate e pesci freschi fritti, col pesto di peperoncini verdi, il rumore che proviene dal lato sinistro anteriore comincia ad allarmare lo stesso JS. Alle nostre caute interrogazioni, azafady, aveva risposto che non c’erano problemi: la macchina sarebbe andata, finché andava. Un capolavoro di fatalismo. Dopo la sosta da Geova, il rumore diventa fragore: JS si arrende all’evidenza e ci dice di doversi fermare. Siamo nel Nulla della selva. La diagnosi, piuttosto facile, è la rottura di un cuscinetto della 505: imprudente proseguire fino a destinazione, impossibile. I cellulari non hanno campo e nessun villaggio all’orizzonte: ma le usanze sono quelle di fermare il primo camionista che passa e lui sarà sicuramente attrezzato per intervenire. “Attrezzato”, come “organizzato”, ha qui un significato diverso rispetto al Nord del Mondo. Si ferma un gigantesco camion, con due autisti e una moglie: decidono di aiutarci e la loro performance è genuinamente caratteristica, fuori da ogni messa in scena per turisti. Mentre assistiamo due neri giganteschi che, a mani nude, tentano di provvedere alla riparazione del cuscinetto (mission impossible), ci sfila davanti un vero e proprio corteo di bikers, anticipato e seguito da motociclisti della Guardia Nazionale. JS, che ne sa, spiega che è inutile chiedere loro aiuto, perché si tratta di un girolo privato del Presidente Marc Ravalomanana, l’elegante giovane imprenditore di Tiko, del Partito TIM, il quale ama andare in moto con gli amici, debitamente scortato. Questa apparizione dal nulla, come se il Presidente fosse uno spirito hasina, ci stordisce: sublima in qualche modo la preoccupazione di non arrivare più a Fianarantsoa. Nel Mad-Mad tutto è possibile. Infatti il gentiluomo di Verona prende in pugno la situazione, garbatamente avvisa JS che le nostre strade si dividono, niente di personale, ma. Fermiamo un SUV che transita, praticamente vuoto (2 passeggeri) rispetto ai taxi-brusse e chiediamo ci portino all’Hotel Soafia. Non ho pensato nemmeno in quel frangente che avrei preferito essere a Nosy-Be, nel resort dei VIP.
C’E’ UN CINESE CHE FA IL VINO
Mora-mora, sugli Altipiani abbiamo anche svolto una laboriosa ricerca dei vignerons disponibili a farci visitare le loro Cantine: l’organizzazione ha un sacco di intoppi e solo dopo parecchi dinieghi, troviamo un Cinese (ecco di nuovo l’Asia!), in fondo ad una pista di fango duro, con calanchi spaventevoli e tornanti da voltastomaco. La visione è strepitosa, da vera Africa australe, all’ora ruffiana del tramonto: ci ripaga del percorso avventure Fuori dal Mondo. Alla bellezza mozzafiato del paesaggio si oppone l’odore acre e nauseabondo delle cantine, presentimento di vinaccia che intride vasche di cemento, pavimenti quasi di terra, muri muffosi. Solo gli dei del Veneto, che ne sanno, mi preserveranno dal diventare astemia. Il Cinese si dispone con gentilezza e zelo a farci visitare l’edificio della vinificazione e Madama-skar si dilegua nei campi a fotografare il tramonto. In questo modo evito la degustazione, azafady, del vino betsileo, un grigio giovanissimo e a seguire un rosè, che il gentiluomo di Verona, produttore di un superbo Valpolicella, annusa, assapora, beve, con inossidabile professionalità. Segue un fitto dialogo col Cinese, mediato dall’Angelo; JB ascolta molto attentamente. Il giudizio desolato sulla puzza che emana dal vino, si perde nella traduzione: l’Angelo afferma, con serietà garbata, che secondo Monsieur (il gentiluomo di Verona), il vino presenta un bouquet tres particulier. Voilà. In ogni caso, sia stato il bouquet du vin o il gratin de gambas del Safia, la notte la passo a vomitare. Magari è l’effetto collaterale del Malar-one, la profilassi antimalarica che ho fatto in Italia. Quando mi presento nella hall, alle solite 5 del mattino, puntuale per il rientro a Tanà, sono pres’que mort. Il Fady del gruppo, da quel momento, diventa Madame est malade: il mora-mora raggiunge livelli estremi, tra riguardo e cautele per me.
La visione è strepitosa, da vera Africa australe, all’ora ruffiana del tramonto