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A VEGLIA CON LA PANDA A GAS 

Anche l’Istria, come la Dalmazia, ha colori splendidi e panorami a perdita d’occhio, la stessa sponda dell’Adriatico, molti marmi lucenti (si chiama pietra d’Istria, mica per niente), conchiglie lapidefatte, virate di oro rosa, come i tramonti cangianti.  Il mio debutto Istriano lo devo ad Anna Qu ed è stato nell’isola di Krk, Veglia (1986). Per oltre 10 anni ho abitato a Venezia, in Calle dei Ragusei (premonizione?!), nella Casa delle Donne Oneste. Eravamo 5, Cecilia che avete già incontrato ad Arzachena e a Parigi, Mara e Grazia le Mantovane ed Anna Qu, biellese come me. É stata lei, nel 1986, a portarmi oltre cortina, nella Jugoslavia di Tito. Per i veneziani andare al mare in Jugoslavia era come usare la “piscina di casa”, dominio della Serenissima per sempre, sotto l’Ala del Leone Marciano, (Giroli La Luce Dalmata). Per noi biellesi era diverso, ma ci consideravamo ormai naturalizzate serenissime. Partimmo con la Panda di Qu, famosa per avere un impianto a gas, fatto installare apposta: scegliemmo (anzi scelse Anna) Krk perché si accedeva (dal 1980) senza traghetto, con un comodo ponte. Ci accomodammo a Stara Baska o a Punat, in una camera d’affitto, con la doccia in comune: mi pareva di essere tornata bambina, a Bellaria, Adriatico occidentale. 

[…] secondo una singolare dottrina dell’Adriatico, chiamato addirittura Golfo Veneziano, veniva considerato dalla Repubblica Veneta come sue acque territoriali, che concedeva agli altri […] 

la politica delle coste era una vera e propria politica dei confini

DALMAZIA VENETA E ROMANA, 1941

Ho diverse diapositive della baia di Punat, con al centro un’isola monastero: era così invitante che mi cimentai in una vogata, da sola, noleggiando una canoa monoposto. Ero del tutto digiuna e gatta di piombo, ma mi avventurai fino alla sponda opposta e tornai appena in tempo per scansare un temporale minaccioso: posso annoverarla tra le mie audacie sportive! Anna Qu rimase stupitissima, ma io più di lei. Azzardai anche una mezza scalata sulle colline pietrose, sopra la baia, per fare fotografie: mi acclimatai a quel Mare selvatico. Era come se non te lo dovessi aspettare, il mare, in una terra montagnosa, di rocce: fu il mio primo approccio alle contraddizioni jugoslave, come l’acqua fredda e il fondale immediatamente profondo, appena entravi. L’Adriatico che conoscevo, sulla sponda italiana, era quasi termale e per poter nuotare dovevi aver camminato un chilometro. In uno scatto di Qu, sono seduta sugli scalini di una casa, che accudisco la mia Olympus OM-10: le calli e le scale erano la cifra dei paesetti di Krk, un po’ liguri, un po’ veneziani, un po’ abruzzesi. Le porte mi affascinavano, in specie quelle che accoppiano porta e finestra, con un solo arco: avrei scoperto che sono tipiche di tutta la costa Jugoslava (a Trau, a Kurzola, a Split). Ho anche un disegno a pastelli, di una casa di Veglia: nel cortile c’era una donna che disponeva i fichi a seccare sul cannicciato. Già allora, quasi 40 anni fa, era una cosa “d’altri tempi”! 

ALLA SCOPERTA DI:

POLA

Pola città, non è ne bella ne brutta, ma la sua Arena è strepitosa e dopo averla vista la prima volta nel 1999, ci siamo tornati ogni volta che siamo andati in Istria: ne è la capitale e i nostri posti prediletti, Barbariga, Peroj, Valbandon, sono tutti dintorni di Pula. Tornati dalla spiaggia, si finisce a Pula spesso, per bere gli spritz e l’Hugo, che divenne di moda lì mooolto prima che in Italia, perché il liquore di sambuco lo producono a Trieste (marca Piola): ci sedevamo nella piazza Repubblica, guardando il Tempio di Roma e Augusto e il Municipio rinascimentale. Dove parcheggiamo, vicino al Porto, c’è la minuscola Cappella di Santa Maria Formosa, bizantina: per molti versi sembra di essere a Salonicco, resti pregevoli, buttati là, in mezzo ad un guazzabuglio edilizio, mal curato. Percorrendo il Corso che conduce all’Arena, si passa l’Arco dei Sergi, severo ed elegante e si arriva alla Meraviglia: imperdibile al tramonto, quando diventa d’oro rosato; ma va bene anche al mattino, quando è di bianco madreperlaceo. Tra gli anfiteatri che ho visto, Verona, Roma, Arles non ho dubbi: Pula è la più bella. Noi abbiamo vagato anche alla ricerca del Famedio del Marinaio, con i marmi del nonno di Stefano, Romeo Dall’Era. Il Famedio c’è ma è stra chiuso e di marmi abbiamo visto solo lapidi, con dediche alla Viribus Unitis e alla Città bosniaca di Pula. A Pola, nel 2012, siamo stati anche con Emma, a due anni, era un muffin color cioccolato. C’è una serie fotografica, di fronte al Municipio di Pola, mentre scambia caramelle con una artista di strada, che si finge statua. Osserva circospetta, si consiglia con sua madre e poi decide di fidarsi: accetta una caramella dalla statua e ride felice.

BRIONI, BARBARIGA, PREMANTURA 

Da Pola a Fazana è un attimo, di lì si prendono i traghetti per l’arcipelago di Brioni, villeggiatura prediletta del Maresciallo Tito, il Marsala che ha tenuto insieme la Jugoslavia. Il parco delle isole Brioni è troppo famoso perché io possa aggiungere qualcosa. Stefano ed io, nel 1999, avevamo seguito la visita guidata, incluso il Museo che celebra in tutto e per tutto il Marsala, le sue iniziative, le sue manie (la Cadillac, gli animali esotici), le sue amicizie internazionali, politici e jet set. Nel parco ho fotografato diverse bestie che è assurdo vedere (come in uno zoo) ma anche animali che sembrano compatibili, come i buoi e i daini. Naturalmente a Brioni siamo tornati varie volte, è sempre una gita piacevole: con mia sorella Ceta e i bravi ragazzi di Andorno abbiamo anche fatto il bagno dove è consentito, alla spiaggia di Saluga. Dal Molo si intravedono due colonne superstiti, immerse nel verde. Le “nostre” spiagge abituali erano Barbariga e Valbandon: quasi sempre riuscivamo ad accamparci da soli (una decina di persone!), con teli, tendalini, ombrelloni e amache, sui prati che si perdevano naturalmente nei sassi della riva, sotto gli alberi. Talmente rustici, i posti, che un giorno cadde da un ramo, con tonfo sordo, un biscione di due metri: tra me e Lella che non ci agitammo nemmeno troppo, rispetto alla sorpresa. A Barbariga c’era una unica casa, che forse era stata dei doganieri, trasformata per villeggiatura ma senza alcuno sfarzo e quasi sempre chiusa. Vagheggiavamo di comprarcela e di trasferirci (tutti e dieci), per qualche mese all’anno: pensieri oziosi da bagnanti oziosi. Quando andavamo in cerca di spiagge diverse, arrivavamo fino a Medulin e Premantura: ci addentravamo a piedi nel bosco fitto del Capo Promontore,  attrezzato e anche no, a seconda di cosa si cerca: scogli, pietroni lisci, rive di ghiaia, minuscoli bordi sabbiosi, pini con le radici in mare, bar attrezzati, noleggio di sdraio, tavoli per pic-nic e ping-pong, o niente del tutto. Nel 2012, con Emma, arrivammo fino a Moscenicka Grada, Valsantamarina, verso Lovran e Fiume: un’acqua da sogno, piscine naturali dai bordi bianchissimi, rocce ideali per tuffi prudenti. Da adulta, è stato il bagno in mare più lungo che ricordo: sono uscita, dopo ore, con i polpastrelli “cotti” come non mi succedeva da mezzo secolo (nell’Adriatico di Bellaria)!

LA FAMIGLIA DI VODNJAN

Nel 2012, in primavera, abbiamo alloggiato al Villetta Phaisana, albergo delizioso  di fianco alla Chiesa di Fazana, di fronte ai traghetti per le isole Brioni: eravamo con Betta e Dodi e ci dicevamo di voler scegliere una casa di villeggiatura, da comperare insieme (è stato un gioco, ricorrente). Nel 2017 abbiamo villeggiato con i Cari Ragazzi, Lella e Pier, in mobilhome (mooolto confortevole!), a pochi metri dall’acqua, in pineta. Sotto il profilo dell’offerta ricettiva, la Croazia è distante anni luce dalle camere in affitto del 1986: questo villaggio di Fazana, Pineta, è perfetto. Dal suo restoran parte un percorso pedonale magnifico, che giunge fino a Peroj, lungomare; la mattina prestissimo (quando Pier va a fare un bagno salutista, nell’acqua fredda) o all’ora del tramonto (quando Pier va a correre), è una passeggiata lunga e deliziosa per le gatte di piombo. Dalla parte opposta arriva oltre la Spiaggia di San Lorenzo. Leggo sulla Guida Storico artistica dell’Istria, che tra Fazana e Vodnjan (Dignano) si parlava, in origine, una lingua istro-romanza, poi sostituita dall’istro-veneto; sotto l’Ala del Leone! Dignano, leggermente lontana dalla costa, ha conservato un bel centro di cui vi racconterò nel Girolo Luce Dalmata IV, Istria Dentro. Tra il 2008 e il 2012, mia sorella Francesca detta Ceta si è innamorata della Luce Dalmata e della famiglia di Vodnjan: Toni e Lìliana, Nini e Marisa, amici quasi-parenti dei Cari Ragazzi biellesi. Loro ci hanno accolti e ospitati, con generosità fuori dal comune, Ceta e tutti ci sentivamo a casa. Tavole imbandite di ogni ben di dio: le mezzelune istriane  (Kiflice), sfere alla pesca ripiene di cioccolato, çevapçici e rasniçi, kalamari, la Supa Istriana, bokaleta dell’amicizia, vino Terrano con pane fritto inzuppato, la medica, grappa al miele fatta in casa. Il sentimento con cui venivano preparati e condivisi, non l’ho mai trovato altrove. I lunghi discorsi di Toni, carichi di nostalgia per i Veneziani, erano grappa-di-miele per Stefano e potevamo capire meglio la transizione drammatica dell’Istria, nei vari rivolgimenti storici, politici, nazionali. Toni e Nini, oltre che contadini-operai, ai cantieri di Pula, possono raccontare bene e male dei diversi Dominanti: Italiani, Jugoslavi Titini, Croati, Europei.  Penso che la Famiglia di Vodnjan facesse parte di un “sogno istriano”, come comperare lì una casa, che aiutava la Ceta a governare le ombre della sua malattia.