LUCE DALMATA II
PAX ADRIATICA?
Questo è il secondo Girolo dedicato alla Luce Dalmata. Ripartiamo da Dubrovink, Ragusa, luogo del primo Girolo e risaliamo la Dalmazia fino a Split, Spalato. Oltre al viaggio con campo base a Ragusa nel 2008, sono stata lungo la costa dalmata, con Stefano, scendendo per andare a Sarajevo (nel 1990), lungo la Jadranka Magistrala, voluta dal Maresciallo Tito. Anni dopo, partecipai ad un incontro panadriatico, nel Progetto UE Marinas (2008), che promuoveva itinerari turistici sulle due sponde. Di quel breve girolo per lavoro, con sede a Makarska, voglio ricordare la firma di un patto di collaborazione multilaterale, tra Regioni Italiane, Montenegro, Slovenia, Croazia, Grecia, Albania di cui elaborammo il testo, su una terrazza, illuminati dal Mar Adriatico. Un atto che nulla poteva per evitare i conflitti bellici, ma ci sentimmo ugualmente emozionati a far promettere amichevoli paternariati, dove si vedevano ancora chiaramente i fori degli spari, sui muri (ognuno fa il pezzetto che può). Le luci di Makarska, cittadina normale con il suo turismo, non sfigurano nel panorama Dalmata: rosa dolomitico delle colline, rosa caraibico dei tramonti e in lontananza visioni delle isole di Lesina e Brazza, spoglie e un po’ lunari, anche se meno di Pago. Nel 1990, scendendo per imboccare la Valle della Neretva (girolo: Ponte di Mostar), facemmo una sosta a Makarska e mangiammo la prima Buzara jugoslava: una terrina per due, talmente generosa che mi addormentai, a digerire, su una panchina del lungomare e riprendemmo il viaggio solo a sera. Mitica!
Rosa dolomitico delle colline, rosa caraibico dei tramonti e in lontananza visioni delle isole di Lesina e Brazza
ALLA SCOPERTA DI:
PAGO
Curzola e Pago sono due isole che più diverse non si può e rappresentano altri due contrasti, in quella Federazione di Ossimori che è la ex Jugoslavia. Pago, se la guardate dalla costa di terraferma, tra Karlobag e Zara (o viceversa), sembra un animale preistorico addormentato in Mare. La sua pelle grigia, appena maculata dal nero-verde, si accende all’alba di una luce pura, che si appoggia languida tra le pieghe della bestia. Una visione bellissima. Avvistata nel 1990 dalla Magistrala, rivista andando a Makarska, finalmente nell’estate di Dubrovnik (2008) Stefano ed io ci siamo arrivati, utilizzando il ponte di Miskovici, venendo da Zara. L’abbiamo percorsa tutta (quasi 60 km), in auto, fino all’estremo nord, oltre Novalja che è una spiaggia famosa. Forse ho un ricordo sbagliato, ma l’intera isola sembrava largamente disabitata, poco costruita, lunare, tranne quel suo cuore centrale, un po’ veneziano, ma senza esagerare, dove sembrava di essere a Malamocco o a Pellestrina, al fondo della Laguna. La piazzetta di Pago è una delizia: ha una chiesa di rara semplicità (priva di lobi), con un pregevole rosone; ci sono negozi e kavarna normali, le persone che escono da Messa, ritmo e atmosfera d’altri tempi, nessuna forzatura turistica. Noi decidiamo di fare un bagno a Pago, poco prima di tornare in terraferma, cosa che non facciamo mai e non abbiamo nemmeno i costumi: l’insenatura ci ammalia con la sua beata solitudine, l’acqua vitrea, dentro un Tempo Fermo. Vi ho già detto che la Dalmazia non si scompone per il Turismo, pur accogliendolo: vi ospitiamo, ma calma! Le insenature di Pago hanno la flemma di un lago carsico, una costa in bianco e nero anni Cinquanta, vi aspettate di vedere un ragazzino pastore col suo gregge, sui sassi della battigia. O, se vogliamo un rimando artistico, i cavallini carsici di Zoran Music, ma non ad olio: in acquatinta o puntasecca. Music è un artista che mi piace molto, slavo vissuto lungamente a Venezia: i suoi paesaggi, dalmati, senesi, del Canale della Giudecca incontrano il mio concetto di sintesi e di astrazione.
CURZOLA
Curzola è tutta diversa da Pago. Molto veneziana, costruita, popolata e solare; ci arriviamo col traghetto dopo un bel girolo in Adriatico. Se devo cercare una cifra, per questa isola, la trovo nei panni stesi ovunque, come allegri stendardi, in festa. Sventolano da balconi signorili, di pietra bianca un po’ mangiati dal tempo; tra case popolari, su corde qualunque, con qualunque colore. Ci sono bucati azzurri, dominati dal tessuto jeans, stesi da una casa all’altra, nelle strettissime calli: a Venezia non si usa più (troppo urbana) e forse è addirittura proibito per legge; non si vede tanto nemmeno in Liguria, nei carruggi. Mi colpiscono i ficus a foglie larghe, lussureggianti sui balconi: per tenerli nei nostri appartamenti facciamo fatica, li concimiamo, stentano, deperiscono. Invece qui sono talmente a casa che escono dalle finestre e occupano le calli, come piante rampicanti. Curzola ha parecchi edifici pregiati, palazzi, chiese, case, porte, piazzette lastricate, bastioni lungomare. Pietra d’Istria, trafori e masegni in terra, resi lucidi dai passi, come nello Stradùn di Ragusa (Girolo Luce Dalmata I).
SPALATO – SPLIT
Le cittadine Dalmate non vengono quasi mai definite “piccola Venezia”, come capita di qualunque luogo che abbia un po’ di canali, in Francia o in Cina. Invece, nella ex Jugoslavia, troviamo spesso scenari da piccola Venezia: anche se non sono i canali a fare da tessuto connettivo, anche se l’acqua è solo (o quasi) quella di porti e lungomare e le fondamenta sono una o due. I fondali urbani e le atmosfere, rimandano immediatamente alla Dominante Lagunare: è l’insieme di elementi architettonici, colore dei materiali, composizione degli spazi, larghezza delle calli, finestre e balconi, tanti dettagli del DNA veneziano, inconfondibili. Persino Spalato, che ha un’impronta romana dominante, richiama poi Venezia, in tanti angoli e scorci. È celebre il Palazzo di Diocleziano, sfondatissimo e popolato di abitazioni postume, di Kavarna (come il celebre Luxor) e di visitatori col naso all’insù. Possiamo solo immaginare che Meraviglia doveva essere, se i rimasugli di colonne, capitelli, portici e trabeazioni, fregi, ci colpiscono come lampi nel guazzabuglio contemporaneo. Scrivono le Guide che la città coincideva di fatto col Palazzo dell’Imperatore, il quale prende nome dalla Dioclea, regione che corrisponde all’attuale Montenegro: un Signore illirico a tutti gli effetti. Quelle che oggi percepiamo come parti separate, perché in mezzo a loro è stata demolita e costruita qualunque cosa, in ogni epoca, appartenevano tutte al Palazzo, che era una cittadella fortificata: c’è ancora una Porta Aurea Zlatna Vrata, secondo la lingua Croata. Tutto il centro antico odierno è drammaticamente compromesso e il suo fascino va trovato nel caleidoscopio di “resti”, appartenenti a diverse epoche e stili: un luogo in cui girolare è d’obbligo. Bisogna farlo con pazienza, senza pensare di trovare un museo all’aperto o un monumento mozzafiato: non è una città salotto (come Ragusa), ma si sta bene sul suo Lungomare e da lì ci si infila nella parte vecchia, attraverso brani di mura e calli buie, degne di un bassofondo. Uno sguardo in alto, ed ecco una cornice leggiadra, un decoro rosato, un arco mozzo. Ci sono varie piazze, piccole e più aperte, con un mesclùn di edifici, importati umili, ben tenuti e degradati, romani e veneziani, belli e no. La luce dalmata è soprattutto nei fregi, semplici ed eleganti, che in certe ore virano al biondo rosato; sulle colonne dai superbi capitelli e dallo stelo niveo: gambe rotte troppe volte, piene di cerchiature metalliche. Guardando la pianta di Spalato mi rendo conto che abbiamo girolato in una porzione piccolissima, di una città grande che forse merita un ritorno. È uno dei benefici effetti de lagirolona.it! A Spalato abbiamo visitato anche un Museo Etnico che aveva una bella collezione di pizzi (a tombolo) e tessuti locali. Io, che vado matta per le passamanerie, avrei spogliato i manichini.
DONNE IN NERO
A proposito di pizzi e di abiti muliebri, voglio dire che lungo i sedili di marmo delle Cattedrali dalmate, si trovano ancora dei pizzi, fatti a mano (non a tombolo!). Li propongono donne, solitamente molto anziane, che li hanno fatti. Allo stesso modo, altre donne mettono in vendita verdura e frutta sui banchi di cemento dei mercati: li pesano (li pesavano) con delle bilance che ho visto per la prima volta, e solo, in Jugoslavia. I piatti di ferro o di ottone, non sono affatto piatti, ma palette dal bordo alto, con un manico, idonee a trasportare la merce dalla cassetta o dal sacco, sulla pesa. Nel 2008, le donne della ex Jugoslavia, di età avanzata, non indossano più abiti rigorosamente neri, un segno caratteristico, forse di vedovanza, forse semplicemente di dimessa povertà. Ho in mente una foto icona di Massimo Sella in Istria, ad inizio ‘900: ma ho fatto in tempo a vederne e fotografarne di persona, con la Olympus OM-10, alla fine del ‘900, lungo le strade di masegni, sotto i portici o nei mercati, in Dalmazia, a Mostar e Sarajevo in Bosnia, a Pola e Fiume. Nel nuovo Millennio le ritrovo vestire di chiaro, con grembiuli o camiciotti larghi, da casa: come sono nel loro orto o cortile, così vanno in piazza a vendere. I pizzi, anche se manufatti, non sono più quelli del passato e nemmeno le passamanerie che trovo in una bottega di Split sono più quelle tradizionali, di severa bellezza. Non riescono a nascondere l’uso delle fibre sintetiche (che luccicano) e l’intreccio industriale. Le verdure, invece, hanno ancora l’aspetto e la disposizione genuina: sono “buttati là”, senza vezzi, belli sporchi di terra fresca.