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ETNIK & BRIT

Nel mese a Londra, del 2010, vado molto oltre Brick Lane e il Borough Market di Southwark, mercati scoperti nel 2009 (Girolo). Brixton, Queen Street, Walthamstow e Fulham; altri che vedo dall’alto dei bus rossi: il 2, l’88, il 3 e il 22. Alcuni colori sono molto accattivanti, la confusione affascina, i prodotti chissà; altre strade commerciali, che mi racconta il bus o che percorro a piedi, sono vagamente degradate, vetrine chiuse, compravendite da terzo mondo. In alcuni casi arriviamo a mercato finito; in altri troviamo brillanti restauri di vecchi mercati coperti, diventati centri commerciali di lusso e, appena fuori, zone incerte, per razze, merci, traffici. Ricordo un posto dove siamo arrivati per trovare il Re delle Falafel, a Shepherd’s Bush, sotto un ponte ferroviario e invece siamo entrati in un Luxury shopping Mall, The Village, mangiando falafel edulcorate in una catena Al’aziz, tra borse di Prada e profumi di Zadig&Voltaire, mentre Uma Thurman scomoda Shakespeare per promuovere la Giulietta Alfa Romeo “Giulietta, sono fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni”. Ho cercato questo gigantesco Mall online, nel 2022 e non l’ho trovato!!! Forse era fatto della materia dei sogni. A Walthamstow c’è la sede originaria di un celeberrimo ristoro British, Maze’s che ancora serve anguilla con il pasticcio (pie) e le smashed potatoes: un piatto pesante, molto grasso, certamente calorico. Il locale merita il viaggio, per le sue piastrelle liberty, decorate di verdino igienico. Un quartiere assolutamente fuori Guida è Dulwich, chissà perché ho deciso di andarci. C’è una Art Gallery privata, di cui ricordo vagamente la collezione insospettabile (naturalmente ha un sito dulwichpicturegallery.org.uk), con tanti pezzi Italiani, manco a dirlo. Quello che colpisce è il sistema educativo delle Fondazioni d’arte inglesi, sempre eccellente e corposo. Qui, a Dulwich, mi colpisce l’attività artistica per anziani, il cui slogan è You forget the pain, l’immagine della donna con in mano il pennello è di una dolcezza infinita e vorrei tanto rappresentasse un augurio per me stessa. Andiamo anche alla Saatchi Collection: questo ricco mecenate ha lasciato Whitechapel (eravamo stati nel 1987) e ha restaurato il Quartier Generale del Duca di York, praticamente a Pimlico, dove ammiriamo una installazione favolosa di Richard Wilson. Da una balconata si vede il pavimento di una stanza interamente allagato col petrolio, sul quale ci si riflette. Idea geniale, realizzazione possibile solo qui, per dimensioni, odore, flusso dei visitatori. Uscendo, ennesima intima miscela, tra arte e commercio: un vecchissimo magazzino di alimentari, Partridge, santuario della merce londinese, dove i fazzoletti di carta costano come fossero di lino. Per fortuna, nel 2010, sono riuscita a tenere un diario (avevo con me il PC), perché assolutamente non ricorderei tutti i posti dove abbiamo girolato e le mille scoperte fatte, dai bus, a piedi, nel quartiere di Terry, con treni sottoterra e alla luce del sole. Di solito (forse l’ho già detto) NON riesco a scrivere nemmeno una riga, quando girolo: al massimo faccio dei segnacci sulle mappe di carta o scrivo qualcosa al volo, sulle Guide. Metto uno due o tre cuori, per segnalare le eccezioni. A distanza di 12 anni sarebbe comunque impossibile ricostruire tutto. Così, invece, è davvero come esserci di nuovo: un girolo nel tempo, anche, perché chissà quante cose sono scomparse nell’incessante mutare metropolitano.

ALLA SCOPERTA DI:

LE CHIUSE DEL TAMIGI

Sicuramente, negli anni Duemila, sono stata influenzata da Marina Dragotto, direttrice di Audis, sulla questione delle aree industriali: abbandonate, recuperate, riconvertite. Questa attenzione si è sposata bene con il mio istinto per i macchinari: carri ponte, telai, betoniere, trattori, laminatoi, caldaie, gru. E poi tralicci, centrali elettriche, ferrovie. Figurarsi se mi perdevo le chiuse del Tamigi, che sono una fila di monache col copricapo in acciaio, un po’ armadillo di Glasgow e un po’ O’gery a Bilbao. Sono lì, contro le piene del fiume, da molto prima che il Mose entrasse in funzione a Venezia e pare che servano. A differenza dell’Italia, se ci sono state polemiche, controversie (e ruberie) ha trionfato l’amor proprio nazionale e a Woolwich Arsenal (o lì vicino) gli Inglesi si fanno vanto delle Chiuse, mettendole in mostra per sé stessi e i turisti. Dopo averle rimirate, sullo sfondo delle costruzioni recenti dell’Isle of Dogs, dalla parte opposta, ci siamo fermati in un vero Pub di periferia, senza alcun vezzo innovativo e con la fauna da “periferia fluviale”, si chiamava King Lion (!) o qualcosa di simile. Un’altra vera e sterminata periferia abbiamo attraversato, per vedere il nuovo London Stadium, per le Olimpiadi: zona di vecchi canali abbandonati, con qualche casa galleggiante (come Little Venice, dalla parte opposta), chiuse e fabbriche. In quella del Salmon Forman’s mangiamo in un magazzino riforbito, elegantissimo: pesce ottimo, toast fragranti, butter e bianco ghiacciato. Al mercato di Woolwich compero un paio di pantaloni “transformer” (da lunghi a bermuda, da calzone a gonna) in tessuto non tessuto da vela, resistentissimi e super trendy, ad 1 sterlina. Si dice “caduti dal carro”, ovvero persi nel conteggio, rubati. Un vero mercato di periferia, per quasi-marinai. Dopo l’esperienza delle Chiuse e della zona Olimpica, mi sono fatta prendere la mano e siamo andati fino a Gravesend, la Bocca dove il Tamigi esce in Mare. A parte il pittoresco Pier, pare sia l’unico in ferro battuto ed è effettivamente bello, Gravesend ha la patina un po’ squallida, di certi confini urbani. Il Cafè Riva, molto trendy ed elegante, non compensa altre mancanze. Nel cercarlo online ho trovato una gustosissima notizia sulla sua gestione: Mrs. Anastasia Zinkevich (non nativa?) è stata condannata per aver ammesso una truffa ai danni del Council locale, per il pagamento di affitto, tasse, rimozione rifiuti (totale 57,000 sterline), tramite 65 carte di credito NON sue!! Trovo questa storia eclatante, sono felice che l’abbiano condannata e mi riservo di dubitare di tutto ciò che luccica, nella rigenerazione urbana. Mrs Zinkevich è una piccola malandrina, chissà quali ruberie si celano dietro i vetri fumati dei Docks.

WORKING CLASS, WORLD CLASS

Avevo cominciato nel 2009 i miei giroli nei Docks rigenerati e sulle sponde del Tamigi meno centrali. Nel mese del 2010, ho approfondito queste perlustrazioni, portando con me Stefano non sempre entusiasta, comprensivo direi, ma contrario a perseverare (perché non andiamo una volta in Centro?). Per fortuna LDR, bus e Oyster stavano dalla mia parte: abbiamo visto tantissime stazioni periferiche (sfido un turista a conoscere Poplar), raggiunto diversi capolinea e attraversato subway o ponticelli pedonali poco raccomandabili. Quello che di sicuro abbiamo toccato con mano è il gigantesco impegno di Londra per recuperare le periferie sul fiume. Siamo tornati varie volte a Canary Wharf, al centro commerciale Cabot (sotterraneo), alla Canada Tower, alla Limehouse. Io ho anche pranzato da Smolensky, con un ottimo hummus: buono ma banale, e a Stefano non piace. Credo che Elli e Paolo vivano sui Docks, perché “ricorda Venezia”. In effetti alcuni canali asciutti che ho fotografato a Thames Shead, hanno lo stesso mud; vicino alle Thames Barrier ci sono aree ancora decisamente operose, ditte di trasporto, traghetti, imprese di appaltatori come Balfour Beatty un colosso dei lavori pubblici (sta costruendo il Tideway Tunnel, collettore generale delle fogne londinesi). Insomma: voglio dire che ai bordi della metropoli c’è ancora movimento e tracce evidenti di working class (magari non nativi). I docks o warf, avvicinandosi a Central London, diventano più evidentemente residenziali: Jamaica, Java, Thames Shade. Sui balconi si nota una fauna urban style, come nei quartieri nuovi di Stoccolma e Tallin, di Rotterdam. Una popolazione non ancora gentry, ma probabilmente world class: potrebbe lavorare e vivere in giro in giro per il mondo, ha la professione e lo status adeguati. Stefano è più contento quando arriviamo alla City Hall di Sir Norman Foster ed entriamo a visitarla: il panetto schiacciato lo interessa più che il mud dei Wharf. Meglio ancora il recupero della Tate Modern, nella vecchia Centrale Elettrica di Bankside. Mentre lui visita le collezioni (che io ho visto solo qualche mese prima), io mi affaccio al Tamigi, pregusto le visioni notturne che ci regalerà il bus n.11, verso Victoria Station, dopo una cena con Elli da Yo. Questa catena di sushi a costi contenuti, si basa su scodelline di vario prezzo-colore, che continuano a girare su nastri trasportatori, tra la cucina a vista (che predisporre incessantemente cibo fresco) e i banconi (i quali sono forniti di base di rubinetti per l’acqua still e sparkling). Il menù descrive sia il contenuto che il colore-prezzo e ci si può servire quando la ciotola scelta vi passa davanti. Si paga, sulla base delle ciotole vuotate. Mi pare che Yo esista ancora e (cautele sul crudo a parte) penso sia un modo accettabile di mangiare. Magari non capisco nulla di come dovrebbero essere Sushi, sashimi e yakitori; non sono mai stata in Giappone, amen. Mi sono divertita, rivedendo le 1.600 fotografie fatte a Londra nel 2010 (600 sono da gettare ma 1.000 è un bel numero), ad accostare concettualmente i negozi (insegne e vetrine) che classifico come working class e world class, è un gioco. Ho anche trovato online un Masterbook sugli Sloane Ranger (tipo Lady D) e direi che sono diversi dalla world class: molto local embedded (foulard the Queen e stivali da cavallo), legati alle tradizioni più che alle mode. La World Class è per definizione più trendy, più internazionale: per sua natura transita. Ma questo non è un sito di sociologia, per fortuna. Nel 2009 avevo acquistato un libretto New Élites di un giornalista tory, George Walden che descriveva con grande efficacia ed arguzia le tendenze right-wing dell’Inghilterra di allora (dopo Thatcher e dopo Blair): chissà se avrei dovuto capire cosa stava covando rispetto alla Brexit. Ma, lo sapete, la girolona capta qualche segnale, intuisce, si domanda, fino ad un certo punto: per il resto, è una turista.

Una popolazione non ancora gentry, ma probabilmente world class