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CASA LONDRA

Nel 2010 affittammo un appartamento a Lambeth, tra Vauxhall e Oval, per un mese. La casa di Terry è un classico: di mattoni, in una row, con un minuscolo giardino sul retro, un camino, due bow window. Terry è un compositore e direttore musicale per il cinema e la TV, assomiglia a Salvatores, viene dal Sussex per portarci le chiavi, gentilissimo. Il suo gusto di arredo ci piace: kilim sul pavimento della cucina, cascate di rose in giardino, libri selezionati nel living. Con alcuni di questi organizzo i giroli nei parchi: ad Hampstead Head, a Chiswick, a Richmond e ad Hampton Court. Ascoltando la radio in cucina mi faccio una mappa dei mercati, nelle diverse “periferie etniche”. Ma il vero regalo di Terry è una Oyster Card, il biglietto universale dei TfL (Transport for London) che funziona come un borsellino elettronico: lo carichi, sali sul mezzo che vuoi, strisci e oplà. È talmente intelligente (smart) che su alcuni light train urbani, se hai cura di strisciarlo anche quando scendi, ti dimezza il costo della corsa!!! Una autentica perla. In quegli anni, seguivo un Progetto UE sui sistemi di Trasporto Intelligente (Girolo Tallin) e decisi che si doveva copiare in tutto e per tutto il sistema londinese, amen. La presenza di una casa accogliente (c’è persino la moka Bialetti), ci permette di fare acquisti alimentari al Sainsbury più vicino e nel farmer market di Oval (stadio del cricket). Il Quartiere è segnatamente ispanico e ci affezioniamo ai locali che fanno la Paella, Rebato’s e Palmitas, alla birreria Estrella portoghese, alla Pasteleria Lisboa che sforna pasteis de Belem; scopriamo anche il Rosty Time domenicale, presso i Pub; la sera del Lunedì, servono il roast beef avanzato, a metà prezzo. Gli inglesi, è noto, NON sono confidenti con l’alta cucina, frequentano quelle di tutto il Mondo (perché hanno avuto un Impero!) e, modestamente, si affidano a chi ne sa: Italiani, Francesi, Indiani, Caraibici. Ma, va riconosciuto, i loro arrosti sono eccellenti. A proposito di libri, è un altro merito di Terry avermi fatto scoprire due bei romanzi, che erano nel suo living, vicino al camino: Wild Swans, sulla trasformazione Cinese (l’ho letto al sole, nel giardino con le rose) e The Blind Assassin di Margaret Atwood (l’ho comprato a Londra e letto poi a Dolo). La Atwood mi piace quasi sempre, ma questo giallo molto strano è un capolavoro di doppiezza e leggerlo in inglese aumenta, per me, il mistero. Vi confesso che ho iniziato a leggere narrativa in lingua originale in ospedale, nel 1984: decisi, sotto l’effetto di sedativi oppiacei, che avrei potuto affrontare James Hadley Chase con This is for real, un paperback comperato a Feltrinelli (Girolo Padova). È stato un passaggio epocale, che rendeva la suspense ancora più fitta, lasciando molti aloni di incompreso. Letteralmente!

ALLA SCOPERTA DI:

ROYAL PARKS

Per quanto siano famosi i Parchi urbani di Londra (St. James, Hyde, Kew, Kensington, Regent’s), dove capitate anche senza volere, non si ha una idea della regalità verde, se non si frequentano le larghe tenute suburbane: improvvise sorprendenti colline, quasi savane, da cui si guarda il Tamigi (dall’alto in basso), e la massa di edifici sembra dissipata in una luminosità nebbiosa, lontana, estranea. Cominciamo subito, il secondo giorno, con Richmond, dove giroliamo infinitamente, tra giardini all’Inglese (!!), riserve botaniche e Plantation, che ricreano ambienti naturali diversi, con laghi, paludi, rogge. Un tripudio di naturalità artefatta, in cui gli Inglesi sono maestri, molto meglio che in cucina. Poi è il turno di Chiswick, un vero sobborgo, bisogna prendere il treno metropolitano, Santa Oyster ci fa lo sconto. Qui c’è la Burlington House di Inigo Jones, che copia Palladio; c’è la Serra di Paxton favolosa, che non copia nessuno e tutti hanno copiato lui. Dopo una pausa, è il turno di Hampstead Heath, ci arriviamo camminando parecchio dal Regent’s Park, attraverso Primrose che si rivela un sobborgo trendy e chic, con amabili cafeterie, generose di scones. Hampstead guarda il Tamigi dall’alto in basso, laggiù, con qualche battello reso minuscolo dalla lontananza; la stessa che smorza la grande massa edificata di Londra, in un’atmosfera vaga, come in ricordo o in sogno. Camminiamo per sentieri, su praterie senza fine: bambine leggiadre corrono, coppie col cane, pittori col cavalletto, nessuno intorno, idillio.

Dulcis in fundo i Giardini di Hampton Court, dove andiamo per vedere i Cartoni del Mantegna, che sono ospitati in una Orangerie, belli ma meno di quelli di Michelangelo, ospitati alla National. Il parco, invece, è una vera sorpresa: quintessenza del giardino all’Italiana (pensa tu), ha uno stuolo di giardinieri operosi che ne curano le geometrie, gli accostamenti di colore, i filari ordinatissimi. Nel tornare a casa di Terry, in una quasi cittadina che è Kingston, tra Brighton e Waterloo Station, facciamo la spesa da Sainsbury e ceniamo con gli spaghetti al pomodoro!

Camminiamo per sentieri, su praterie senza fine

QUALCHE VOLTA ANCHE IN CENTRO

Dopo dieci giorni di parchi e periferie, Stefano chiede con garbo se “qualche volta andiamo anche in centro”. Grazie alla Oyster abbiamo praticato con metodo l’uso dei bus, che transitavano in Lambeth Road, fino ai capolinea: in questo modo non solo abbiamo toccato molti quartieri quasi periferici (Camden, Primrose, Southwark, Shoreditch, Spitafield) ma soprattutto la Central London. Quasi tutti ci passavano, l’88, il 2, il C2, il 15. Piccadilly, City, Belgravia, Bloomsbury, King’s Cross, Victoria, ma anche Pall Mall, Pimlico, Holborn e StrandÈ una modalità di girolare (il bussing?) che raccomando senza dubbi, perché vi evita di stramazzare volendo raggiungere mille posti a piedi e vi permette di assaggiare parti di città, che potrete tornare a visitare con calma, o anche no. Di “quello che mi ha detto il bus”, vi racconto dopo, per ora restiamo in centro. Nella Central London siamo stati in tutti i santuari comandati, Covent, Tate, British e National, Courtauld, Wallace Collection. Per ben 3 volte torniamo a V&A, il reame assoluto delle arti applicate. C’è qualunque cosa, non saprei raccontare, anche le mie foto sono inadeguate alla meraviglia; dico solo che potete sedervi nella cafeteria interna che è nata come tale ed appositamente decorata da William Morris, Veniamo colpiti dai costumi del Re Leone e decido di acquistare due biglietti per una replica, al Lyceum: Stefano dice “no-no è una roba per bambini”, poi viene e si entusiasma; per coronare ceniamo al mio Princess Louise, locale all’altezza. Vi ho già detto di Pret, nel 2009. Nel 2010 scopriamo Ottolenghi, gastronomia di gran moda a Islington (con code eccessive) e con una filiale anche a Kensington dove faccio shopping per un aperitivo da Ellida, veneziana espatriata, che vive a Victoria. Con lei e Paolo, passiamo qualche ora alla Tate Modern, asciugando 4 caraffe di bianco Languedoc, affacciati sul tramonto spettacolare del Millennium Bridge e di St.Paul. Come sempre Londra mescola l’universo dell’Arte con quello della Merce e mi è fatale intrecciare le impressioni: come se la città fosse il museo del commercio, non mi sfuggono i gastropub, le only-sik laundry, le organic-delicatessen, le vetrine con vere e proprie sculture di matite, pizzica-biancheria di legno, tenaglie e rondelle dentate. Le Arcades, Burlington e Piccadilly (per dirne 2) sempre meravigliose, con botteghe vintage e rinnovate, inaugurazioni affollatissime e antiquariato di libri rari, porcellane, gioielli dal costo inarrivabile (riservati alla Royal Family). Stefano, dopo un periodo di prudente astinenza rispetto al breakfast (al più un croissant da Paul’s o da Payton&Byrne o da Euphorium), cede alla piramide di scones dell’Orangerie di Kensington: scultura tra le sculture, oro caramellato come i fregi. A casa di Terry appaiono buste di scones Sainsbury, con confezioni di double cream!! Vicino a casa, oltre al Pub Wheatsheaf (oggi è un brasiliano Tia Maria!!), frequentiamo Nolan’s al Wilton Close, un pub ruspante dove Stefano gioca a biliardo (e vince) con un irlandese nato alle Canarie e un immigrato greco, grandi bevitori di birra. Io faccio finta di tradurre quello che dicono a Stefano, il quale fa finta di non capire: tutto si comprende amabilmente, tracannando Samuel Smiths. Rimanendo in centro, un girolo dalle parti di Lady D, tra Sloane e Knightsbridge, mi aggiorna sulle tendenze modaiole: strepitosi Butcher che paiono Dior (O’Sheas); biancheria al costo delle perle; profumeria francese (les Senteurs); un cocktail bar di Harvey& Nichols pink-and-green, spumante di bollicine; Wine Merchants (che vantano di essere attivi dal 1978!!) e Fish Mongers; sedicenti chef (Tom Aikens?); ristorazione cool destinata a durare lo spazio di un mattino (Montpellano?). A volte scendiamo al volo dai bus: a Pimlico (British Food), a Belgravia, in Leicester dove sono tutti isterici attendendo Angelina Jolie che presenta Salt, a Carnaby Street irriconoscibile per chi ha vissuto il Beat, piena di negozi Diesel. Tanto vale andare a Castelfranco. A proposito di marche, negozi e insegne, vi segnalo una fotografa che ho scoperto su Flickr, cercando Hepburn&Cocks, vicino alla London School of Economics a Bloomsbury: si chiama Maggie Jones e scrive “modern signs which one day will themselves be old”. La wheel of retailing, a Londra, gira vorticosamente. Non so se Islington debba considerarsi Central London, pare di sì: è uno di quei borough che sono nati come alternativi e poi “gentrificati” (la gentry è la classe medio alta che valorizza gli immobili), mantenendo una particolare allure. Mamme con calze bianche e cappellino rosa; anziani stravaganti con cappello a falde larghe, da pittore; marmocchi con le felpe firmate: tutti/e in fila da Ottolenghi per un brunch. Miss Miles, la mamma di Elli, ai Cook Book di Yotam Ottolenghi, affianca quelli di Nigella Lawson.