
LONDRA DA PRINCIPIANTE
LONDON 1987: AN ABSOLUTE BEGINNER
La mia prima volta a Londra è del 1987: Elisabetta II compiva 61 anni, una ragazza. Io non c’ero stata da studentessa, ai corsi di lingua o ai concerti hippy. Ci arrivai, trentenne, da Cambridge, dove alloggiavamo, ospiti di Bianca e Piero, mentre loro erano in Italia. Ci andai diverse volte, direi 5, dal mattino alla sera, con i bus che sono economici e con i treni che sono costosissimi, a meno di evitare le rush hour, quelle dei commuters. Entrando a Londra dalle sue periferie (Epping?), ho avuto un approccio insolito: chilometri di stradoni, zeppi di magazzini bargain, vecchi edifici degradati, manifatture dismesse ed una umanità multietnica, che in Italia non conoscevamo ancora. La prima visita, quando ancora non sapevo che Londra è una città-di-città, composta da tanti diversi quartieri non omologabili, mi ha sconcertata se non delusa. Mi è piombata addosso col suo tanto di bello e di brutto, comunque troppo, con i suoi luoghi famosi e con una Giostra di Merci che non avevo mai neppure immaginato, a quei livelli e dimensioni. Liberty, Fortnum & Mason, Miss Selfridge, Boots, Harrods, Sainsbury, Waitrose, Marks & Spencer, HMV, le catene di fast food, Bond e Jermyn St, Oxford, Regent e Carnaby. Tornavo nella composta eleganza da bomboniera di Cambridge e mi ci voleva qualche giorno, al Botanic Garden tra scoiattoli e petti gialli, per poter riaffrontare Londra. Alla fine della vacanza (un mese), avevo preso qualche confidenza e selezionato i miei posti preferiti: Londra non eguagliò, nel 1987, la mia prima volta a Parigi del 1983 (Girolo Paris Ouverture), ma ero sicura di volerci tornare. L’ho fatto nel 1990 (di nuovo da Cambridge) e nel 1993 (da Reading). Poi, dopo una toccata fugace nel 2009 (da Guilford), nel 2010 Stefano ed io abbiamo finalmente preso casa per un mese intero a Lambeth. Adesso Londra mi piace quanto Parigi. La Girolona è diventata una teorica del long-stay e dei ritorni!
ALLA SCOPERTA DI:
A MERRY GO ROUND
Dicono che il Regno Unito sia un paese di bottegai. L’impressione che ho avuto io, una provinciale che toccava Londra per la prima volta, è stata quella di una Giostra della Merce, che non smetteva mai di girare e ti cullava con incessanti esibizioni di ogni cosa, che, a seconda del budget, ti saresti potuto portare a casa. Forse furono le catene di marca, celebri, come Liberty o Fortnum & Mason o meno celebri come Sainsbury, Heffer, Paperchase, Boots a sedurmi. Forse fu invece la Giostra dell’Arte, cui gratuitamente si accedeva nei giganteschi Musei, cittadelle nella città di città. Volevo assolutamente vedere La Battaglia di San Romano (Paolo Uccello) e le Nereidi di Xanthos: lo sognavo dal Liceo. Non sapevo che, attorno a loro, avrei trovato di che innamorarmi all’infinito: dei cartoni di Michelangelo, degli acquerelli di Turner, delle Porte di Ninive, degli ippopotami egizi, delle figurine Cicladiche. Vi chiedo scusa, se tratto insieme la Merce con l’Arte, ma Londra, quella prima volta, me le ha mescolate indelebilmente. Forse, sono rimaste indissolubili, anche dopo: ed è questa una delle mescolanze che mi affascinano di Lei, per cui tornerei e tornerei. Nella prima gita da Cambridge sono capitata nella City, che non mi piacque se non per l’uscita dagli uffici, alle 6PM, quando si popola degli impiegati accuratamente dressed up, formichine sotto un sasso rovesciato: fuori dai pub e dalle tearoom. Non si chiamavano ancora Happy Hours, ma quelli erano. Non mi affascinarono gli Embankment, né St. Paul e solo Westminster, pur invasa dai turisti, mi lasciò una immagine che pensavo di voler rivedere meglio. All’epoca, camminavamo per chilometri, senza risentirne: il girolo passò da Westminster a Belgravia a Soho, poi entrammo alla National che da sola è grande come una cittadina. Oltre al mio Paolo Uccello, fui colpita da un Cammino verso il Calvario di Raphael e dall’Intombamento di Michelangelo, imperdibili; dai ritratti maschili di Titian; da Antonello da Messina. (artista di cui esiste molto poco, nel mondo) Controllando i miei ricordi (33 anni!) ho trovato dei brevi video della National (10’ talk, nationalgallery) in cui viene spiegato Lo studiolo di San Gerolamo: guardatelo, perché capirete Antonello ed è un modo piacevole di fare esercizio con l’inglese. L’Esperta si congeda con
Dovunque voi siate, con la pittura potete andare dovunque vogliate
Great!! La National, nel 1987, metteva in mostra le ultime acquisizioni: Bambina con la paloma di Picasso, dai Girasoli di van Gogh, dalla Prima uscita di Renoir, così, per dire. Per quanto degli Impressionisti ci sembri di aver già visto troppo, le scoperte sono sempre mozzafiato e la National lo fu. Non paghi, facemmo altri chilometri lungo Tottenham Court Rd. fino alla Marylebone, per trovare un negozio specializzato in libri di scacchi che era, ahinoi, out of business. E poi, di nuovo Seymour Lane, Marble Arch, Hyde Park fino a Belgravia; infine la Eccleston fino a Victoria station, per tornare a casa. Così frastornata che non ero riuscita nemmeno a fare fotografie, con la mia OM10. Confesso che alcune immagini sono del 2009: tornai esattamente sui miei passi del 1987 e ritrovai molto. Il ritorno sul luogo dello scatto è un modo di girolare.
COVENT, BLOOMSBURY, JERMIN, BOND
Mi ci vollero 5 giorni di quiete, prima di riaffrontare Londra. Ci andai da sola e con il treno, arrivando alla Liverpool. Forse vi ho già spiegato che girolare da soli permette un altro punto di vista, altri ritmi e logiche. Essendo partita da Cambridge in orari antelucani (evitando il sovra costo delle rush hour) potei andare subito al Mercato generale di Petticoat, frutta e fiori, che stava però già chiudendo, alle 9.40 AM. Il quartiere restava brulicante, molta pelle nera, pochi turisti, e diede il via al mio acclimatamento con Londra. Dove avevo visto solo l’edificio dei Lloyd, chiuso a tenaglia dentro la City, trovai la galleria di Leadenham, zeppa di impiegati dressed up che facevano colazione nelle croissanterie. La City si svuotava dal traffico a cicli: improvvisamente era pericolosa, e poi seguivano deserti e silenzi (forse i semafori rossi?), in cui sfrecciavano soltanto fattorini, a piedi o in bicicletta. Passato il Cornhill (mi piace), risalito Holborn, fotografai la magnifica Staple Inn (edificio Tudor a graticcio); dopo la Kingsway scesi al Covent. Luogo sicuramente molto turistico ma con una dimensione accettabile, meno aggressivo di Regent e Carnaby St. Dal Covent, andai verso Oxford Street e raggiunsi il set cinematografico ed irreale di Bond street dove mi stupirono enormi limousine, in attesa di mediorientali in doppiopetto e kefiah, impegnati a comperare camicie scarpe e orologi. Fortnum & Mason come ogni cosa troppo raccontata fu vagamente deludente, ma che stile le sue vetrine e i suoi bagni, con distributori di crema per le mani! Jermyn street è forse ancora più raffinata e patinata della Bond, una limousine non ci passa e pedoni eleganti hanno modo di sostare di fronte a boutique di formaggi e saponette, esposti come diamanti e poco meno costosi. Mi travolgono le Librerie di Charing Cross, come Foley, il cui reparto di cucina è grande come le Messaggerie di Milano. Altrettanto sterminata l’offerta di dischi da HMV. Di nuovo Regent, Oxford e arrivo a Bloomsbury che ha sfumato il clima intellettuale dell’omonimo Circolo (Virginia Woolf), in una brezza per turisti e pranzo in una Tavern. Sceglievo questi locali, dal nome Tavern, per il loro aspetto tipico e almeno in superficie originale. Il cibo, spesso, era tutto meno che tipico, ma la birra è buona. Voglio vedere il Barbican, un Centro Culturale inaugurato nel 1982 e lo trovo brutto. Passo per Finsbury Circle che è deliziosa e sono finalmente alla Liverpool insieme ad una marea di impiegati della City che, come me, tornano a casa. Sono esausta e satolla: per il prossimo giro di giostra devo ristorarmi nella bomboniera di Cambridge.
TATE, PIMLICO, SLOANE, BELGRAVIA, HARRODS
La terza giornata a Londra decido di andare a caso e a parte la Tate, non mi preparo più un itinerario: comincio a capire Londra, questa città di città e decido di lasciar comandare Lei, dove mi porta vado. Dalla Victoria, cammino verso Pimlico, enclave di antiquari e Interior design, lusso che cola; procedo per Sloane street fino agli Sloane Gardens e arrivo a Knightsbridge, tutta rossa di mattoni, dove troneggia Harrods. Ho letto che Diana viene a fare shopping qui: anche se mancano ancora dieci anni alla sua love story con Dodi Al Fayed, proprietario di Harrods. La Sloane mi sembra una copia meno turistica di Bond. È pieno di stilisti italiani e nelle zones di Harvey Nichols c’è un intero reparto Benetton. Entro in Hyde Park e seguo la riva del Serpentine, arrivo ai Kensington, una seconda oasi di alberi e dolci gobbe d’erba, luce pulviscolare, umida e luminescente, come una fotografia sgranata. Gli scoiattoli schizzano baldanzosi sui rami. Lascio, senza pensare di entrare, il V&A. Arrivo alle piccole stradine di Lady D, Montpellier, Cheval e Beauchamp: sembra una enclave medioevale, negozi carucci con l’atmosfera francese, adeguata alla toponomastica. Torno da Harrods e mi delizio letteralmente nella sua food hall, un capolavoro, con ceramiche liberty alle pareti e l’esposizione di salumi, delicatessen e formaggi come fosse un quadro. La degustazione non è regalata ma la sosta vale il prezzo. Rinvigorita dal blue stilton e dal trucky cheddar, galoppo verso la Tate, con il benefit di visioni industriali lungo il Tamigi. La collezione internazionale di Tate e l’ala Turner (di James Stirling) sono spettacolari, ma c’è anche molto melì melò del Regno Unito. I soliti Van Gogh, Gauguin, Mirò, Derain, Cezanne, Kandinsky, Mondrian ed Emile Nolde, artista che scopro qui ed ora, con la sua Marina B. Nero, arancio e viola. Di Turner scopro gli acquerelli, meravigliosi. Una birra alla Traveller Tavern e il bus alla Vittoria. Il quarto Girolo ha come perno il British, imperdibile British Museum. Victoria col bus, Embankment, Hotel Savoy, Covent Garden, Museum Road, British. Vorremmo vedere anche la Courtauld Collection ma un cortese guardiano ci avvisa che 48 dei 60 Impressionisti sono in prestito altrove; lasciamo perdere. Pranzo da Cranks, un fast food vegetariano che in Italia non esiste e poi da Paperchase a fare incetta di cartoleria. Non paga dell’overdose artistica del British, attraverso Bloomsbury verso Soho e trovo Chinatown con i suoi negozi di perle sfuse. Ne ho ancora, dopo 33 anni! Senza tregua, per Piccadilly Arcades, Fortnum & Mason, St James Street, St James Park, Grosvenors Gardens, Ebury street, Eccleston e la Victoria Library. Stramazzo sul bus.
JACO PERRY E ARTURO SANDOVAL
Ultimo Girolo a Londra, il 5°, con il programma di una soirée insieme allo zio Jaco Perry e la zia Gemma, che sono a Londra per un marriage. Prendo un treno per King Cross. Vado da Dillon (libreria che non esiste più) e poi da Habitat e da Sanderson (tessuti d’arredo, che non esiste più). Torno a pranzo da Cranks. Percorro Portland fino a Regent Park e spinta da chissà quale ispirazione entro allo Zoo, dove dormono tutti: panda, tigrotti, leone e rinoceronte. Una ragazza spagnola tenta di corteggiarmi, davanti ad elegantissime, indolenti, giraffe. La Giostra gira e vado a Camden, che nel 1987 non è ancora rinomata: il Chalk Farm e il Lock vorrebbero essere etnici ed alternativi, ma in giro c’è parecchio sporco e ubriachezza. Torno nel Giardino delle Rose della Regina al Regent e finalmente a St John’s Wood, nel 5 stelle degli Zii. Nel 1987 girolavo ancora come una ragamuffin e non avrei mai pensato di sedermi al bar di un 5 stelle, godendomi un Bloody Mary. Avevo più lo spirito da Chalk Farm, per fortuna ho degli Zii. La serata a Soho, a cena da Ronnie Scott è fantastica: Beaujolais, prawns and celery cocktail, cheddar con tartine imburrate, seduti a mezzo metro dagli artisti. Dopo una cover band qualunque, si esibisce Arturo Sandoval, quello di El Ciego: non ho mai sentito un jazzista famoso dal vivo. Lo zio Jaco Perry, che è batterista, si tiene fin che può, poi si propone per una session e viene accolto senza esitazioni. La Zia Gemma finge di schermirsi, ma è molto orgogliosa e io di più. Rientro a Cambridge durante la notte, con un treno vuoto ed un cortese controllore che mi intrattiene, anche se io capisco metà di quello che racconta e gli sorrido molto. Nel 2009 (a Londra da Guilford) ho alloggiato a Bloomsbury, Russell Square, in un hotel che ora è un 5 stelle e ho voluto tornare da Ronnie Scott: come mi sono mancati gli Zii e quanto banali ho trovato i cracker col cheddar. Dopo la cover band di turno, lo spettacolo era finito! Ripercorrendo i Giroli londinesi del 1987, scopro che alcuni miei miti non esistono più (come Dillon) oppure sono diventati botteghe qualunque (come Laura Ashley), inghiottiti dall’Internazionale della Merce (HMV e Mui), dalla omologazione dei gusti e delle città. Mi sforzo di considerare Monsoon come la Laura Ashley dei Millennials. Nel 2009, vent’anni dopo la mia prima volta, percepisco il cambiamento radicale in Londra, grazie ad un barista di Greenwich che mi domanda “which is your native language?”: con molto garbo e per facilitare la comunicazione, chissà di dove è nativo lui. È scomparsa la spocchia londinese di non volerti capire, perché la tua pronuncia è forestiera. Ricordo nel 1987, tentando di comprare delle pile (battery), ero tornata a casa desolata con del burro (butter): non c’era stato verso di convincerli che mettere il burro nella radio (radio) non l’avrebbe ricaricata!!! Alla cassa di Paperchase ero rimasta inchiodata dieci minuti, con la cassiera che insisteva a chiedermi “do you pay cash??”. Nemmeno lontanamente, nel 1987, sospettavo i pagamenti con carta di credito e quando lei pronunciava “card” io pensavo ai biglietti che dovevo pagare. An absolute beginner, l’ho detto. Però c’è della satisfaction nel constatare che è Londra ad essersi adattata a me e non il contrario!!