Lisbona
So perfettamente che esistono isole del Sud e grandi passioni cosmopolite…sono sicuro che se tenessi il mondo in pugno lo scambierei con un biglietto per Rua dos Douradores
La vita è un viaggio sperimentale
fatto involontariamente
PESSOA, LIBRO DELL’INQUIETUDINE, 1932
PESSOA TABUCCHI WENDERS
Dal mio quarto piano sull’infinito, scrive Pessoa, il quale si è cimentato con una vera Guida per turisti What the tourists should see (edita nel 1992). Praça do Comércio, rua do Arsenal, Cafè Brasileira e Chiado, Largo do Carmo, Rossio, rua Garret, Belèm, Alfama, Moreira, Graça, Prazeres, Mosteiro dos Jerónimos: sono siti raccomandati (da tutti). Ma, oso dire, che il girolare etilico di Pessoa e la descrizione contabile delle cose da vedere (incluse Biblioteche e Prigioni Civili), non mette abbastanza in risalto la caratteristica dominante di Lisbona: una luce impareggiabile. La luminosità le viene dall’Oceano e mi ha folgorata, nel 1995 quando ci andammo dopo Natale, qualche giorno. Una delle rare occasioni in cui comperai un pacchetto, volo+hotel: l’albergo, affacciato al Parque Eduardo era modesto MA dal balconcino entrava una luce che non avevo mai visto, brillante, calda anche a dicembre, piena di seduçao. La medesima che, 12 anni dopo, entrava nell’appartamento dell’Alfama, che affittammo per due settimane: il Girolo era passato per la Galizia, entrati in Portogallo dopo Compostela, tappa dai Minelli che erano vicino a Viana do Castelo e poi diretti alla capitale (sosta solo a Batalha). Eravamo stati nel 1997 a Coimbra, ma del Portogallo vi racconto in un altro Girolo (Eumondo Portogallo). La casa in Alfama era minuscola, con la cucina sulla strada e un bagno in cui era impossibile farsi la barba senza entrare nella doccia, la camera al piano sopra: con questo foro non grande, che faceva vedere la foce del Tago e l’infinito. Pessoa, non mi aveva comunicato quella luce, insieme alla Inquietudine (sua e nostra). Quanto alla Guida, l’ho comperata dopo, nel 1997 quando in Italia l’ha pubblicata Voland. Come non citare Tabucchi, traduttore di Pessoa, che in Sostiene Pereira dice qualcosa sulla dittatura portoghese e su quella variante di inquietudini: nel 1995 uscì il film con Mastroianni. Ma, il romanzo che più mi ha fatto ritrovare Lisbona, l’ho comperato per caso in un’edicola di Dolo, una domenica recente, dopo tutti i nostri soggiorni: Treno di notte per Lisbona, poi diventato un film con Jeremy Irons. E, quanto al cinema, sì, la colonna sonora di Lisbona per me non è Amalia Rodriguez, ma sono i Madredeus, protagonisti di “Lisbon story” di Wenders (ancora del 1995), film struggente il giusto, con echi di fado. Qui mi fermo con i riferimenti culturali e aggiungo che la vera scoperta di Lisbona, nel fatidico 1995, oltre alla luce, sono state le Pasteis do Belem, che oggi si possono ordinare online, ma la cui degustazione in loco è un’esperienza DA FARE. Piccoli soli giallissimi, screziati di cannella: sono come baci, ne vuoi sempre ancora uno.
ALLA SCOPERTA DI:
LUCE CHE SEDUCE
Le diapositive del 1995 sono sbiadite, ma rappresentano bene il mio contatto con la città. Camminammo tantissimo, dall’hotel che era già fuori dal centro (turistico): andammo a Belem, al Museo Gulbenkian (imperdibile), al Museo delle Azulejos, alla Cattedrale del Se’, fino al Parque Forestal, alla Baixa e al Chiado, dentro l’Alfama fino al Barrio Alto, al Rossio, a rimirare le visioni di Sant’Antonio di Bosch, dai Geronimi a Belem (imperdibile), all’Elevador di Santa Justa; nei cafè di Pessoa, in Praça del Comercio e in Praça de Graça, in tutti o quasi i miradores. In tre giorni, Lisbona è tanta roba, si sta benissimo, sempre nuotando nella sua luce seducente, lucidata dal vento atlantico. Quando siamo tornati, nel 2007, ci ricordavamo di aver mangiato bene: baccalà fatto in mille modi, pil-pil o a la Minhota, o in pastella; pesce azzurro, aringhe e la corvina: una cucina poco sofisticata, greve di aglio e condimenti, piena di carattere. Da una trattoria in Alfama avevo scattato molte foto del Electrico 28, il tram celeberrimo che tutte le Guide vi propongono. I tram li ho ritrovati ancora, piccoli e fieri nello scalare le gobbe di Lisbona e nel curvare quando sembra impossibile, eppure loro vanno, scartando container di detriti degli eterni cantieri.
Invece, con Stefano, per 15 giorni, siamo andati in cerca dei posti dove ci pareva di aver mangiato bene e siamo rimasti veramente delusi: sia in Alfama, sia al Carmo e a Belem. Ogni sera ci domandiamo cosa sia successo alla cucina portoghese, in un decennio. Ci consoliamo facendo aperitivi in casa, con il porto, queso Azeitao (la regione verso Setúbal) e chorizo comperati da Pingo Doce, a Graça. Unica sfavillante consolazione le pasteis de nata (crema) a Belem: vassoi industriali escono incessantemente da una cucina affollata di ragazze in camice, come dottoresse. Al banco, si sente una folla che tira il fiato, segue trepidante il movimento dei tondi dischetti gialli, in un effluvio di cannella: un amen e sono già spariti, TUTTI, tocca attendere la prossima sfornata. Ci sediamo nei tavolini qualunque, pareti piastrellate di azulejos Belem 1662 Caza fundaba em 1837 e ne ordiniamo a decine, sia mai che avanzino (mai), si possono portare a casa, per domani. Sia nel ‘95 che nel 2007 siamo tornati alla Pasteleria di Belem quasi ogni giorno, per colazione, brunch o merenda; la sera non sfornano. Un giorno abbiamo fatto il brunch alla Suiça, pasteleria di Pessoa, che nel 2024 risulta chiusa definitivamente. Lo leggo anche di altri posti dove ricostruisco di aver mangiato, sia bene (nel 1995) sia male (nel 2007): spariti nel tempo. Trovo la proposta di un tour gastronomico di Lisboa, chissà. Parliamo del cibo dello spirito: la Collezione di Calouste Gulbenkian (armeno assai ricco) è una di quelle che attenuano il mio disgusto per quel 2% che detiene l’80% della ricchezza del mondo: considero questi patrimoni d’arte un’idea di redistribuzione. In un parco privato delizioso, oltre Alfama, Gulbenkian ci permette di vedere qualunque cosa-bella: dipinti, porcellane, mosaici, icone, gioielli, tessuti, sculture e mummie. So che non possiamo, tutti, possedere tutte queste cose: non abbiamo denaro, né case adatte, non conosciamo i mercati, non le sapremmo conservare e non basterebbero, per quante ce ne sono, a renderci tutti collezionisti; poterle godere al prezzo di un biglietto, è un’idea di compromesso.
RITORNO NEL 2007
Vi ho già detto che “abitare” in un posto turistico è diverso che fare i visitatori qualche giorno in hotel. A Lisbona abbiamo avuto una via di mezzo: due settimane bastano per girolare con calma, conoscere i posti, le ruas, i calçados, i becos, i miradores, persino certe facce nel tuo quartiere. Alfama è consigliabile, caratteristica e non così frequentata come vi aspettereste, da visitatori frettolosi. Aveva, vent’anni fa, l’atmosfera di un paese ligure, o del centro Italia: un posto di marinai e pescatori, dove le donne ancora siedono fuori casa, e ci stendono i bucati invece di rammendare le reti. Sembra davvero strano parcheggiare la nostra Peugeot in questi vicoli: non fosse che il suo blu-china fa pan-pan con gli azulejos sui muri. Dalla finestra del primo piano sull’infinito, si vede la foce del Tago, che è già Oceano con i suoi crepuscoli rosati; ma si vedono anche una marea di tetti rossi (molti rifatti) e le terrazze piene di gente, le torri delle chiese, finestre balconi e abbaini, fino al Castello di San Giorgio, in cima alla città. Le foto mi ricordano che giroliamo moltissimo tra Alfama e Barrio Alto, scendiamo ogni giorno verso riva, passando vicino al Sé, la cattedrale, risaliamo che è notte e l’Alfama un presepe. Una sera, il vento fa cadere la giacca di Stefano dalla spalla, la solleva da terra e la fa mulinare in aria, ogni volta che sta per riacciuffarla: un incantesimo, come la luce. Nel 2007 ho la mia seconda digitale e ho scattato 600 immagini, belle, brutte, mai messe in ordine o selezionate: la Girolona fa anche questo, un po’ di pulizia, smuove i ricordi come il vento con la giacca. Ho fotografato tanti azulejos sulle facciate della case, i tram, le paste di Belem, gli scorci di Alfama, in fondo ai quali la luce smalta il blu del cielo e del Tago. Non ci fossero 600 scatti non avrei ricordato (sig!) la gita al mare, cioè sull’Oceano, vicino a Setubal, nella Lisbona metropolitana che è tutto fuorché periferia (Girolo Eumondo Portogallo). Confesso che, dalla Capitale, non ci siamo spinti in Algarve, un must turistico (credo sia magnifico) e nemmeno a Porto, assai promossa per short-break. Invece, come architetti, siamo stati a girolare al Parco delle Nazioni (Expo 1998): un compendio di padiglioni, viali, giardini, arte urbana, ponti e persino una ovovia sul fiume. Ci campeggia una struttura a vela di Alvaro Siza Vieira, essenziale, appena un po’ degradata. C’è anche Calatrava, ovviamente, nella capitale del Portogallo: un Ponte sul Tago intitolato a Vasco da Gama e la Stazione d’Oriente. Nel 2024 c’è anche il MAAT, che non c’era nel 2007: Museo di Arte architettura e tecnica dell’architetta gallese, Amanda Levete; un’onda bianca gigante che forse rimanda ai navigatori-scopritori portoghesi, affacciata al Tago di Belem. Si può sempre tornare, con un volo+hotel, a bere la luce di Lisbona, sperando in un ravvedimento gastronomico che ci soddisfi.