LA LUCE DALMATA I
LEONE MARCIANO
Per andare in pari con la durezza della Bosnia (Girolo: il Ponte di Mostar), bisogna considerare l’altra faccia della ex Jugoslavia: la Dalmazia. Difficile credere che anche un tipo dittatoriale come il Maresciallo Tito potesse tenere insieme pezzi tanto diversi, la geografia, il clima, i paesaggi ancor prima che le etnie e le religioni. Per fortuna noi dobbiamo solo girolare, semmai capire qualcosa, ma senza esagerare e anche sbagliandoci. In questo Girolo, rimaniamo sul Mare, che è l’Adriatico anche se sembra impossibile sia lo stesso che abbiamo qui da noi, a Jesolo (Giroli Jesolo Design District e Cavazucarina) o a Bellaria (Girolo: Amarcord Bellaria). L’Adriatico dalmata (in verità anche quello Sloveno e Istriano) è un altro mare e se manca delle Lagune, si rifà ampiamente con gli arcipelaghi e con cittadine costiere speciali: Zadar (Zara), Sebenic (Sebenico), Trogir (Trau), Split (Spalato) e Dubrovnik (Ragusa). In tutti questi luoghi la Serenissima Venezia ha dominato finché ha potuto, lasciando il suo segno indelebile, soprattutto nello stile delle architetture ma anche nella “parlata” e difficilmente si trova qualcuno che non capisce il veneziano o il triestino. La memoria di Venezia è anche nei sentimenti, soprattutto degli anziani e con una parola inventata la definisco memonezIa. Stefano, da veneziano nativo, considera tutto questo assolutamente connaturato, potremmo dire dovuto, alla indiscussa nobiltà della Dominante: e si sente particolarmente “a casa sua”. Ogni volta che vede una facciata “veneziana”, una trifora, un traforo gotico, il taglio ad arte di un masegno. Siccome suo nonno Romeo Dall’Era scolpiva spesso Leoni Alati, anche per l’altra sponda adriatica, lo trovo a controllare animali in altorilievo, bassorilievo, stilofori: per un gioco affettuoso. La Cappella del Marinaio, di Pola, conserva certamente lavori in marmo della Bottega Dall’Era: lo testimonia niente meno che la Treccani. In questo Girolo, mi riferisco a due testi meno imponenti: Viaggio in Dalmazia dell’Abate Veneziano Fortis, che racconta quelle terre ai tempi che furono e il Panorama del Lloyd Austriaco, 1853.
ALLA SCOPERTA DI:
SPLENDIDA RAGUSA CIOÉ DUBROVNIK
Cominciamo da Sud, ai confini col Montenegro. Per visitare le Bocche di Cattaro abbiamo dovuto passare due confini in 4 chilometri: Croazia-Serbia, Serbia-Montenegro e abbiamo pensato ridateci il Marsala Tita! eliminate queste frontiere, laboriose e inutili. Nel 2008 abbiamo soggiornato una decina di giorni a Dubrovnik, in una bella casa del centro antico. Facendo base a Ragusa, ci siamo addentrati nuovamente nella Valle della Narenta, fino a Mostar e Sarajevo (dove eravamo stati nel 1990, Girolo Ponte di Mostar). Non abbiamo fatto vita di spiaggia, tranne per qualche aperitivo serale: le ottomane fronte mare, con le tende bianche, sembravano appropriate a Ragusa, più che altrove, come la disco music arabeggiante: poi ti servivano Prosek o Moscow Mule, ma insomma. Per il resto, abbiamo volutamente fatto vita cittadina, vivendo Ragusa come Parigi: mercati, dehor di cafeteria, palazzi e struscio, leggere i quotidiani e osservare gli altri. Ragusa è un salotto veneziano: basterebbero il suo Stradun lastricato di pietra d’Istria e la sua piazza Loze, la Loggia, per ammaliare i visitatori. Lo Stradun, visto e fotografato in varie ore del giorno, mostra chiaramente che dentro quella pietra ci sono conchiglie lapidefatte (diventate pietra), come scriveva Fortis. In certi momenti sembra davvero madreperla dentro una capalunga, una luce che può essere soltanto marina. Poi c’è la Fortezza, di cui si può percorrere il camminamento per quasi 2.000 metri e godere un illimitato panorama marino, a perdere. La luce della pavimentazione compete con quella dell’orizzonte: è tutta Adriatica. Nell’orizzonte, il cielo si riflette nel mare, ma anche viceversa, non ci sarebbero quei tramonti e quello scuro illuminato che precede la notte, se sotto non si muovesse la grande pancia Adriatica. E poi, c’è una luce speciale sulle colline brune e brulle, quando tutto è già ombroso ma loro no: sono ancora di bronzo, quasi d’oro. Ragusa è la quintessenza della cittadina dalmata, giustamente famosissima. Voglio dire che è destinazione di molte Grandi Navi da crociera, come Venezia, ma i viaggiatori approdano in città con grandi canotti gialli (ci saranno a bordo 30 persone) e i “mostri” restano alla fonda, lontani. Non mi avventuro in paragoni, ma lo trovo interessante (e anche blandamente avventuroso, per i placidi crocieristi!). Dico anche che dieci giorni in una piccola cittadina possono sembrare troppi, senza avere l’occupazione di andare in spiaggia o a nuotare: ma noi siamo giroloni, anche quando stiamo fermi e Ragusa l’abbiamo eletta a campo base, per la costa, la valle della Neretva e alcune Isole di cui non avevamo mai sentito dire.
Oltre al perlaceo delle conchiglie, in queste terre, c’è sempre il rosa opaco della pietra, il rosso terroso dei tetti, l’azzurro dilavato degli scuri e il verde nerastro della vegetazione: si compone una tavolozza particolare, senza chiasso, mai esuberante.
LE ELAFITI
Non sapevo che esistessero, le Elafiti, arcipelago piccolino di 5 isole e 8 isolotti, facilmente raggiungibile da Ragusa. Ci andiamo con una barca che può essere stata da pesca ed un equipaggio probabilmente di ex pescatori (ho questa sensazione, nel vedere come si muovono). Giroliamo per diverse ore con un paio di scali (se ricordo bene) a Lopud (isola di Mezzo) e a Sipna (Giuppana).
Paesaggio e rare costruzioni sono simili a tutta la Costa Dalmata, dove non si ha quasi mai (mai?), la percezione di un turismo invadente, prevalente, determinante. É uno dei due caratteri di questa sponda dell’Adriatico, tanto diverso dal nostro. Il primo è la pacata indolenza con cui i dalmati hanno accolto i forestieri: va bene venite pure, ma calma. Il secondo è una analoga freddezza nei colori solari, un ennesimo ossimoro, una contraddizione che convive nell’ex jugoslavia. Oltre al perlaceo delle conchiglie, in queste terre, c’è sempre il rosa opaco della pietra, il rosso terroso dei tetti, l’azzurro dilavato degli scuri e il verde nerastro della vegetazione: si compone una tavolozza particolare, senza chiasso, mai esuberante. Questa essenza locale riesce a spegnere qualunque rumoroso colore del turista: i bermuda e i pinocchietti, i cappellini, le orribili sneaker o le infradito brasiliane sulla pura luce dei masegni (masegno=macigno, pietra da macina), i teli mare con gli eroi dei cartoons, i pareo coi lustrini. La scorza della Dalmazia potrebbe essere, sotto sotto, dura quanto quella della Bosnia, anche se a prima vista è solare. In fondo Ragusa appartiene alla regione Narentana (fiume maledetto da Dio) e le isole sono pezzi di montagna sprofondati in Adriatico, nella notte dei tempi: lo si vede benissimo nel Panorama del Lloyd Austriaco, la costa è una momentanea discontinuità e l’acqua un attimo luminoso, in mezzo a tanta terra, aspra. Scesi nei piccoli porti delle piccole Elafiti, possiamo girolare un’oretta prima di tornare alla nostra barca da crociera. Alcuni scorci, con le chiese arroccate sui promontori a picco sul mare, mi ricordano il Lago di Bled in Slovenija. Sono rare le costruzioni civili che spiccano, quasi tutte modeste; si coglie qualche vago carattere turco o saraceno, ma poca cosa. Ci sono tante barche, sia in darsena che a terra, ma sono per lo più barche da lavoro o modeste imbarcazioni da diporto; pochissimo sfarzo turistico. E pensare che, se c’è una costa dove si va davvero per viaggiare in mare (e non per esibire il proprio denaro) è quella Dalmata: chiunque ami andare a vela, ha come mito le Isole Incoronate (le Kornati), che sono poco a nord delle Elafiti. In questo piccolo arcipelago ci sono anche siti deputati alla balneazione (ci sono alberghi e case in affitto): accesso libero, pochi ombrelloni, tanti teli mare posati sui piccoli sassi. Sì, va bene il Turismo: venite pure, ma con calma. Nella crociera alle Elafiti è incluso un pasto a bordo, che non ricordo: forse pesce azzurro arrostito. Ricordo benissimo, invece, i marinai/pescatori che riassettavano la barca, lavando le stoviglie, sul ponte: in grandi bacinelle di plastica colorata, mentre i gabbiani festeggiavano, con voli e gridi, i nostri avanzi gettati fuoribordo.
Ho letto, online, parecchie recensioni su queste crociere, decisamente turistiche: alcuni le snobbano (dopo averle fatte), altri lamentano qualcosa (il prezzo, le soste), ma in generale sembrano ben apprezzate e addirittura qualcuno tesse le lodi del pranzo a bordo, considerato rustico e genuino e per tanto affascinante. Nel complesso sono contenta di aver fatto un girolo molto turistico, fuori dalle nostre abitudini, ma. Se penso alle meravigliose busare (scampi in rosso) mangiate in Dalmazia (epica quella a Makarska), no, non ho posto nella memoria per i pesci delle Elafiti. C’è del relativo in ogni campo.