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BORDEAUX E LE LANDE

C’è una regione della Francia poco conosciuta in Italia: l’Aquitania. Io l’ho scoperta nei miei studi per Inventare i luoghi turistici, ad inizio anni Novanta (un manuale per l’università). Nel 1991 ho convinto Stefano che mi accompagnasse a vedere i luoghi che avevo solo studiato; ci siamo tornati nel 2005, soggiornando a Bordeaux che di quella regione è capitale. Partiamo da lì. Bordeaux è una bella città francese, elegante, piacevole con una Cattedrale sontuosa, palazzi, piazze, lungofiume, Musei, dehors dei bistrot, centri commerciali e antiquari, tram superchic. 

Nel rinnovo urbano di fine millennio, recuperando spazi industriali e portuali sulla Rive Droit della Garonna, hanno edificato quartieri abitativi assai interessanti, nei cui spazi pubblici hanno voluto ricreare la natura dei marecages che caratterizzano la Cote d’Aquitaine e la cui “bonifica” ha dato origine alle stazioni balneari (Cap Ferret, Marine d’Albret, Hourtin Plage, Mimizan, Biscarrosse, Contis, Molliet et Maa). I luoghi che avevo studiato per fare lezione ai miei studenti. E che erano stati inventati dal nulla negli anni Sessanta. La bonifica era cominciata, molto prima, a fine Ottocento, con la nascita del turismo balneare d’elite, e la grandiosa Duna del Pyla era stata voluta da Napoleone III per proteggere la foresta Landese, dall’insidia dell’Oceano. Le pinete servivano principalmente all’industria del legname e delle resine. Confesso che mi sono innamorata delle dune per quella replica artificiale, costruita con precoce ingegneria ambientale, pianta pioniera dopo pianta pioniera e sfruttando l’accumulo naturale delle correnti, di mare e d’aria. Fino ad ottenere un monumento, lungo qualche chilometro, largo 500 metri e alto fino a 120 metri. Visibilissima da tutto il Bassin di Arcachon, il mare dei bordolesi. È come dire che t’innamori dell’Umanità folgorata dalla bellezza dei Replicanti.

Uscivamo al sole, verso spiagge profondissime che la marea si mangiava quasi tutte.

ALLA SCOPERTA DI:

ECOMUSEO DELLE LANDE DI GUASCOGNA

Nel 1991, girolammo soprattutto nelle stazioni costiere, per toccare con mano (e piedi!) quello che avevo scritto per gli studenti. Facevamo pic nic nella Foresta della Lande, all’ombra di milioni di alberi, anche quelli piantati ai tempi di Napoleone III per ripopolare una foresta storica, che aveva patito le inondazioni e il clima dell’Atlantico. Era stata attraversata ai tempi dei Romei, in pellegrinaggio verso Santiago di Compostela, si chiamava la via di Tour e arriva a fino ai Paesi Baschi in Spagna. Uscivamo al sole, verso spiagge profondissime che la marea si mangiava quasi tutte, insieme ai nostri teli mare. Tra la foresta e le onde stava appunto un cordone dunario, egregiamente manutenuto, e protetto, reso accessibile con camminamenti e staccionate, rigorosamente in legno, come le rare strutture da spiaggia. Un manuale di conservazione ambientale. Anche perché le stazioni erano state pochissimo costruite, scelta dei Piani anni Sessanta: qualche rara casa di appartamenti e molti molti capanni in legno (cabanes), dove la sera si potevano gustare le moules mariniere: cozze piccoline, con una crema fresca al dragoncello, squisitissime. Tutto il Bacino di Arcachon è zona ostreicola: è lì che abbiamo scoperto un cibo poi diventato di gran moda nei bistrot parigini, moules e frites, pentolata di piccole cozze e patatine fritte. 

Solo nel 2005 abbiamo visitato l’Ecomuseo delle Lande di Guascogna (accesso da Sabres marqueze.fr) uno dei più belli che ho visto, con una collezione di case “prese in giro in giro e rimontate”, veramente suggestive e che forniscono una visione importante di com’era la regione Aquitana, prima del turismo. Ci sono anche stalle e pollai, con gli animali, mulini, meravigliosi croissant ed un trenino che vi porta dentro la “foresta”. Arcachon è una stazione della Belle Epoque, rimasta elegante e merita vedere le sue case d’antan, squisito catalogo di edilizia balneare liberty. Nel 1991 eravamo scesi lungo la Cote fino ad Hossegor, stazione di quell’epoca, famosa per aver ospitato anche D’Annunzio. Dopo Hossegor, Cap Breton Bayonne e Biarritz la Francia va a congiungersi con la Spagna. Nel 2005 abbiamo fatto il girolo inverso, venivamo da Bilbao e siamo entrati n Aquitania da Biarritz.

LA DUNA DI NAPOLEONE III

La prima volta che l’ho vista ero sulla punta del Cap Ferret, all’estremità opposta del Bassin d’Arcachon: un miraggio bianco, nella falsa luce dell’Oceano. Poi ci siamo avvicinati, abbiamo parcheggiato (un sistema geniale di regolazione degli accessi tramite il numero chiuso dei parcheggi a pagamento) e siamo saliti, scalando 120 metri di sabbia. Le fotografie sono pessime, era quasi il tramonto per cui c’era poca luce, grande contrasto, ombre dense e accecamenti, in lontananza le secche dell’Oceano si smarrivano nell’eccesso di pulviscolo luminoso. Mi verrebbe da dire che ci fosse una nebbiolina di sale, che non faceva bene agli obiettivi della mia OM10. Eppure sono scatti che conservo e rivedo sempre con grande emozione: è stato come raggiungere un “santuario”, tal quale i pellegrini nel Medioevo: dopo averla tanto osservata nei libri (nel 1991 non esisteva il web). Stefano ed io siamo giovani e lui cammina, scamiciato con nonchalance, sul bordo dell’Atlantico. Quale eleganza di portamento, paragonato agli anfibi del surf!

Nelle carte antiche la zona della duna viene chiamata la Ròca deu Pilat in occitano, ovvero la Vielh Pila o anche les Sablouneys; la pila in guascone sta per altura. Pare che la Y sia stata inserita negli anni 20 (quelli di D’Annunzio) per dare un aroma esotico, ellenizzante, grazie all’idea comunicativa di qualche “scribacchino”. 

Dopo il Pila, adoro le dune ovunque e comunque, anche piccoline come quelle degli Alberoni al Lido di Venezia, quelle del Litorale Romano. E poi quelle “africane” di Maspalomas, o lungo il Nilo. Nel 1991, dopo la salita e la magica veduta dell’Oceano, siamo caracollati a basso, dalla parte opposta, ormai in ombra, tra le macchie nerastre dei pini che sembravano fantasmi. Nel 2005, era pomeriggio, abbiamo camminato più a lungo in cresta. Osservando gli altri turisti (numerosi ma contingentati, grazie al parcheggio), tra cui flessuose ragazze vestite apposta perché il vento gonfiasse le loro bianche vesti. In nessuno dei 2 anni io avevo pensato ad un vestito adatto al Pila, un peplo ellenico o almeno dannunziano. Sempre bastian cuntrari.

CHAMBRE D’HOTES

Sento di dovervi parlare di una ulteriore scoperta, che facemmo in Aquitaine, nel 1991. Si tratta di una modalità di pernottamento tipicamente francese, insieme alle Gites, che sono più propriamente rurali. In sostanza sono simili al B&B e si chiamano Chambre d’hotes, camere per gli ospiti. Con questa modalità di accoglienza, i francesi (che le sanno tutte!) riuscivano a immettere nel circuito turistico edifici molto suggestivi, pochissimo restaurati, come dimore padronali, ville e piccoli castelli, in località remote, perse nelle loro magiche campagne o associati alle tenute vinicole. Al tempo andavamo abbastanza a caso, quando venivamo affascinati da un sito, ci girolavamo attorno, cercando cartelli col Logo delle Chambres o delle Gites. In quel primo pellegrinaggio verso il Pilat, girolando intorno a Souston (paese natale del Presidente Mitterand), dormimmo in un indimenticabile Chambre d’Hote un Castello della Grange, appartenuto ad una marchesa du Luppè che per anni abbiamo sbagliato chiamando del Lupo: l’abbiamo ricercato nel 2005 e crediamo di averlo trovato, ma era tout finì, tout terminè, out of business. Dopo 14 anni, senza mettere mano ad un rinnovo radicale, sarebbe stato impossibile continuare ad ospitare turisti, anche come noi, attirati dal fascino decadente e disposti a trascurare le moderne comodità. 

Abbiamo continuato ad usare Chambre d’Hote e Gites, nei nostri giroli francesi. Ve le raccomando.

Naturalmente, oggi, online trovate qualunque Chambre (oltre 20 mila) o Gite, dal Chateau alla cabane, al mas: alla casa di appartamenti nel cuore cittadino: potete visitare, valutare, prenotare. Un po’ di nostalgia per le nostre scoperte casuali, quasi mai deludenti, comunque caratteristiche: letti un po’ sfondati ma antichi, niente televisione e niente bar ma crepes fatte in casa, caldo senza condizionatore ma balconi sui parchi selvatici. Talvolta con veri e propri personaggi inclusi: come la indimenticabile cameriera in grembiulino nero e crinolina bianca, anche lei d’epoca, che ci insegnava ad usare un vecchio telefono in bachelite con un francese mimato: zerò, touuu, touuu, touuu, indicatif et voilà l’Italie.

Vi segnalo la chambre di Bordeaux 2005, trovata al volo grazie alla Guida Routard Aquitaine (ottima). Era nel cuore urbano, in rue de Bouffard 35, La Chambre en Ville: camere sui diversi piani, come appartamenti; arredati con stile, perfetti. La sala della colazione era un passage al piano terra, chiuso. La sua scala interna era esemplare del ferro battuto che la Città vi sciorina, su balconi, cancellate, ringhiere. È una abitudine molto francese, che ho riscontrato anche a Grenoble, a Nancy, a Tolosa:  perfetto con la pietra porosa delle facciate, la quale sembra sabbia del Pilat, indurita, come quella dei castelli di sabbia.