IVREA OLIVETTI
LA SERRA
Tra noi e loro, tra biellesi e canavesi, si allunga la Serra: residuo del ghiacciaio del Monte Rosa, collina morenica, di straordinaria lunghezza, piattezza e regolarità. Un vero divisorio, che vedi in continuazione, da un versante e dall’altro, una grande muraglia verdissima di bosco. Nel librone IL BIELLESE, edito da Viassone, proprio ad Ivrea nel 1927, in onore dei 100 anni dalla nascita di Quintino Sella (1827-1927), c’è un Capitolo Il biellese occidentale che recita “al più grande anfiteatro morenico d’Europa, il Prof. Sormano ha dedicato uno studio, preziosa rarità. Oggi, 1927, il Valico della Serra non ha più nulla di quell’aspetto tetro e pauroso, il Castello Rubino ed il magnifico albergo, rompono la solitudine del luogo”. Il Tempo è stato crudele col magnifico albergo, in stile eclettico, un grande chalet di lusso, con i tetti aguzzi, le torrette e il finto graticcio sulle pareti color crema. Me lo ricordo ancora, nel 1960, mi pareva un luogo di fate, lassù, a cavaliere della lunga muraglia verde. Oggi è un relitto, di tristezza feroce: il bosco non lo ha ancora mangiato, indeciso sul che farne.
Il Castello Rubino, anch’esso eclettico, non gode miglior salute. Meglio scavallare, da Croceserra verso Andrate e il Canavese, che nelle belle giornate appare largo e pacifico, i laghi e la “cerulea Dora”, di carducciana memoria.
Il nostro Girolo di giugno 2021 ha due obiettivi, non paesaggistici: la colazione nella Pasticceria Balla, dove producono la celebre Torta 900 – un capolavoro degno delle tradizioni Piemontesi e la Città Olivetti, sviluppata da Adriano, figlio di Camillo nella prima metà del Novecento. Mi piace pensare che Ottavio Bertinotti, inventore della Torta 900 (ricetta brevettata), fosse amico di Camillo, nella Ivrea del 900. I Grandi dovrebbero frequentarsi.
ALLA SCOPERTA DI:
ADRIANO OLIVETTI
Su Adriano Olivetti è stato scritto moltissimo; recente è la fiction di Rai1 con Zingaretti. Esiste, oltre agli Archivi, un MAM Museo Arte Moderna.
Ovviamente ho studiato questo personaggio all’università, per le architetture razionaliste, che ha voluto ad Ivrea, per il piano di sviluppo della Valle d’Aosta, per aver fondato le Edizioni Comunità, con l’omonima rivista, dove si è covata la nascente Urbanistica italiana. Posso considerare l’esperimento di Adriano una Città operaia, intimamente legata alla Fabbrica di macchine per scrivere. Il suo progetto industriale e sociale è qualcosa di più delle company towns o di casi come il Campus Vitra (Girolo Vitra). Piovene in Viaggio in Italia, Mondadori (1957): scrive che ad Ivrea c’è un tentativo di fabbrica-opera d’arte, un socialismo evangelico e tecnologico. Ma di più: l’industria è per Olivetti uno strumento a doppio scopo, mette al lavoro e redime dal lavoro. Lui è un uomo suggestivo, dice Piovene, industrialismo e messianismo lo muovono, oltre a prevedere tutto per i propri lavoratori (stabilimenti, laboratori, uffici, mense, abitazioni, scuole, palestre, giardini, biblioteche, mostre, teatro e cinema); fonda una casa editrice ed una rivista, chiama intorno a sé progettisti e pensatori. La fabbrica diviene una piccola patria, la dimensione ideale (secondo lui) per un governo illuminato ed efficiente. A vedere oggi Ivrea, a visitare il moltissimo che rimane del sogno realizzato da Adriano, sento una città isolata e sola: orfana di un pensiero troppo ambizioso, e che non riesce a darsene un altro. Solo una parte degli stabilimenti originari sono utilizzati, da una impresa di telecomunicazioni, o dallo stesso MAM; domina il senso di Passato, di Storia interrotta. Che l’Italia abbia perduto con la Olivetti un primato ed una stella, si sa, inutile dolersene: potrebbe essere un destino nazionale o l’inattitudine al “passaggio generazionale”. Oppure i prodotti durano molto meno di due generazioni, l’innovazione le travolge. Chissà.
La storia di Adriano e del pioniere Camillo, la racconta in Teatro Laura Curino, che adesso dirige artisticamente il Teatro Giacosa di Ivrea. Sono due spettacoli molto belli, nei quali con tutto il garbo e la precisione di Curino, si ricrea la famiglia, l’ambiente, i tempi, i progetti e soprattutto l’educazione.
Ricordo un passaggio del monologo su Camillo, le primissime repliche forse ancora prove generali: Camillo pretendeva che Adriano sapesse aggiustarsi da solo le gomme della bicicletta, quando forava “I bambini Olivetti” dice la Curino col suo perfettissimo accento piemontese “devono sapersi arrangiare da soli, e poi non si butta via niente, neh!!”.
Dopo la torta 900 e dei croissant al caramello, Stefano ed io giroliamo oltre Dora, per tutto il viale Jervis, partendo dallo stabilimento originario di Camillo (le radici del sogno), in rossi mattoni stile rivoluzione industriale inglese.
La fabbrica diviene una piccola patria, la dimensione ideale per un governo illuminato ed efficiente.
Segue il mastodonte vetrato, per decine di metri. Il medesimo viale ci porta fino alla prima periferia dove sorge la cittadella abitativa: le case per famiglie numerose, il condominio anfiteatro (allusione alla Serra?), altri edifici isolati, destinati ad impianti, uffici, laboratori, chissà cosa.
Qui non c’è abbandono, anzi molte case sono abitate e curate come case. Ci sarebbe bisogno di grandi interventi di restauro, che promettono di costare assai. I prati sono ben tenuti, molto verdi e i giardini delle abitazioni curati, meno i balconi. E, tuttavia, anche gli sforzi museali evidenti, di documentare ed illustrare le architetture, gli architetti, le date, lasciano la sensazione che qualcosa sia venuto a mancare. Un progetto, un motore, un sogno?
Non possiamo non pensare al Bauhaus (Girolo Bauhaus): qui le architetture sono meno “belle”, originali e importanti; là era una Scuola, qui era una Fabbrica; Weimar finisce col Nazismo, Ivrea finisce col Mercato globale dei computer. Eppure il senso di “peccato sia andata così”, “una Grande Idea lasciata perdere” è uguale, persino più struggente perché Ivrea siamo noi anche se veniamo da oltre la Serra.
Nella libreria Cossavella, lungo il corso principale di Ivrea, ho trovato una copia rara di Piovene, Viaggio in Italia: è un terzo motivo per un Girolo ad Ivrea, oltre a Olivetti e alla Torta 900. Quattro col Teatro Giacosa.
Le architetture Olivetti parlano nelle fotografie. La Torta dovete proprio mangiarla, nemmeno tutte le mie velleità descrittive possono darne conto, al palato.
IVREA PRIMA DI OLIVETTI
Una sera sono stata al Giacosa, nel 2019. Così ho fatto un Girolo in centro ad Ivrea che conosco pochissimo, per via di quella distanza sentimentale, determinata dalla Serra. Ho scoperto il suo centro storico, molto gradevole, molto piemontese, vecchiotto e severo, senza fronzoli: via D’Azeglio, Palestro, Arduino, Piazza Ferruccio Nazionale e Piazza Castello. Sono d’accordo con Piovene, uno sguardo alle Rosse Torri di Re Arduino è sufficiente. Qualche bella vetrina storica (anche se dentro c’è tutt’altro rispetto all’Insegna), qualche bel Cafè (la Pasticceria Balla è all’inizio del Lungodora, in Corso Umberto) ), la libreria Cossavella imperdibile, in cui si trovano libri vecchi e rari, curati come creature da un Libraio speciale. In fondo al corso principale si incontra la Dora, che ruzzola dalla Valle, e si vedono, lassù le Montagne. Passa sotto qualche ponte e si allarga, come in un lago urbano (l’ampio seno carducciano), per poi riprendere a ruzzolare, con delle finte cascatelle. Nel fiume ci sono segni di canottaggio sportivo, persone che si allenano, divisori di percorso. Oltre quei ponti, inizia la Città Olivetti, via Nigra, via Jervis, via delle Miniere, via delle Rocchesie.
Una notte, anni addietro, abbiamo dormito a Pavone Canavese, in un Castello riadattato a resort, bello.
Tornando a Biella per la “bassa”, cioè ignorando la Serra, incappammo in un campanile promettente, in mezzo agli alberi: è una chiesa romanica, a Bollengo, tanto per non farci mancare nulla, deliziosa e abbastanza ben manutenuta. Non è bella come Bose, quella della Comunità di Enzo Bianchi a Magnano, ma forse pecco di campanilismo e cedo al noi e loro, divisi dalla Serra!