IL SERRAGLIO
IL SERRAGLIO NEL SEICENTO
Dolo, che prende il nome dalla Famiglia Dauli, è il paese dove abitiamo dal 1986. Non posso dire che l’abbiamo scelto tra mille: cercavamo casa da comperare, per via degli sfratti a Venezia e abbiamo visto la nostra, malmessa, ma col cortile sul Naviglio Brenta, una scheggia di qualche proprietà del Secolo XVII, spezzettata nei secoli successivi. Dolo è detto il paese dei Storti: i quali, a seconda delle versioni, erano i deformi o i matti, ricoverati nel locale nosocomio, oppure i coni di cialda biscottata per mangiare la panna, che si usava fare per Carnevale, che infatti si denomina Carnevale dei Storti. I miei amici dello Studio Tapiro hanno fatto per questo Carnevale un bel manifesto, poi imitato, per anni ed anni. Nel posto dove vivi, fosse anche Venezia o NY, ti abitui alle emergenze, ville, Naviglio, Molino, chiuse e squero dipinti da Canaletto (Girolo IDOlove), perché sono quotidianità. Io a Dolo ci vivevo pochissimo, finché lavoravo a Venezia, dove stavo dalle sette della mattina alle sette di sera; ci girolavo nei fine settimana, in bicicletta, a fare compere, per aperitivi e cene fuori, partecipando agli eventi e persino per andare in Piscina o in Ospedale. Finché è arrivata la Clausura da Covid e, volente o dolente (scusate il calembour), ho dovuto girolarlo a fondo, il mio paese elettivo. Vedendone dettagli che ignoravo o guardando diversamente i luoghi noti. Vi ho fatto apprezzare la street art, adesso facciamo un girolo bucolico: utilizzando uno dei mille canali di questa parte della provincia veneziana, il Rio Serraglio. Leggo che è un fiume di risorgiva (nascono in pianura, senza bisogno dei ghiacciai montani), ma nella campagna veneziana è sempre incerto se si tratti di un corso d’acqua come l’ha fatto Dio o come l’ha rifatto il Doge. Il nome potrebbe derivare dal verbo serrare, cioè costringere le acque dentro un tracciato artificiale, oppure da un serramento, cioè una chiusa o più. Il Serraglio si vede in una mappa storica riportata da Elena Bassi (impareggiabile storica delle Ville Venete) ed è descritto come cavamento fatto per la regolazione della Brenta: toglieva cioè acque in eccesso dal fiume (le cavava) e le portava proprio a Dolo a congiungersi con cavamenti dal Rio Tergola, più a Nord (correva l’anno 1688). Nella mappa c’è un altro Rio che si chiama Fiumesin (oggi Fiumicello?): i due circondando la proprietà dei nobili Veneziani Mocenigo (una villa scomparsa). Due chiaviche tenevano la Villa all’asciutto, per l’appunto e regolavano la Brenta, con i suoi cavamenti. Così doveva essere tutta la campagna sulla quale dominava la Serenissima: regolatissima, dai Magistrati alle Acque.
ALLA SCOPERTA DI:
L’ERA DEGLI ARCONI
Farei contenti gli editori di Guide cicloturistiche, perché la prima passeggiata che ho fatto, a Dolo, appena allentata la Clausura (nel maggio 2020) è stata circolare: partita e tornata (più o meno) nello stesso punto. Non solo: inizio e finisco con due case non (ancora) restaurate, originali del Dolo, quando era un centro di campagna, fino al secondo dopoguerra. Vi ho già parlato del romanzo La Pena e l’Oblio, (il cui primo capitolo è Dolo, Anni Trenta) e del suo geniale autore Luigi Monteleone. Avrebbe meritato la fortuna che ha avuto Meneghello, col paese di Malo Vicentino (Libera nos a malo): invece per chissà quali casi della vita e dell’editoria, benché pubblicato da Feltrinelli, lo conoscono solo i cultori. Alcuni dei racconti di Monteleone possono svolgersi perfettamente nelle case del mio Girolo. La prima casa, nella foto, introduce il tema, a me caro, delle trasformazioni rurali: è una delle varianti degli arconi, caratteristici degli edifici contadini. Di solito le case di campagna distinguevano le parti destinate ai raccolti e/o alle bestie da quelle di abitazione civile della famiglia. Molto frequente, negli anni, è stato il loro tamponamento (scusate il vocabolo, diventato inviso con la Pandemia). I grandi archi del fienile o stalla, venivano chiusi al fine di guadagnare spazi civilizzati ad uso abitativo: un bel muro di forati, una mano di biacca, i fori finestra, la porta o il portone; nessuna ricerca di soluzioni estrose, porticati, ballatoi, vetrate. Tutte queste cose sono venute dopo, quando le famiglie contadine sono sparite del tutto ed hanno ceduto gli immobili ai nuovi cittadini: è quella che io chiamo l’Era degli Arconi, cominciata alla fine del Millennio, anno più anno meno: ve ne parlo nel Girolo Paluello di Strà. La prima casa del Girolo ha gli arconi tamponati, secondo l’uso che precede l’Era di fine XX Secolo. La casa della seconda foto, è rimasta isolata dentro ad un quartiere di Dolo, fatto esclusivamente di villini unifamiliari con giardino e piccoli condomini, databili variamente a partire dagli anni Sessanta ad oggi. Lei, molto più vecchia, resiste commovente, abitata chissà fino a quando: mi immagino da un anziano o anziana, che ancora accetta di vivere come negli anni Trenta. Ce n’è qualche altra, a Dolo, nella stessa via Dauli, centralissima, che parte dalla Parrocchiale di San Rocco (quella con i santi pazienti sul frontone) e arriva al vecchio Ospedale (dei Storti). Ce n’è una anche in via Brenta Bassa, ma sono ormai rare. Il mio girolo inizia dallo spazio verde che sta sulla SR11, appena usciti da Dolo, verso Padova: si imbocca la strada asfaltata (via Torre) in direzione Ospedale, quello Nuovo. La casa con gli arconi tamponati è alla prima curva: da lì si può scegliere di andare a sinistra sull’argine sterrato del Serraglio, verso Fiesso d’Artico (cosa che faremo dopo) o a destra, sull’asfalto di via Pasteur. Di fronte al Pronto Soccorso, in un altro spazio verde Comunale, si può seguire il Rio Serraglio, sulle due sponde, lasciando la via asfaltata. Il Girolo è breve (si fa in un’oretta), ma era la prima o seconda volta che mettevo il naso fuori di casa dopo mesi di vera clausura, temevo di sconfinare dal mio Comune e non avevo voglia di tenere addosso la mascherina. Lungo le sponde del Serraglio ho raccolto fiori “di campo” come facevo da bambina: ranuncoli, trifogli, margherite, tarassaco, malva, salvia dei prati, miglio, betonica e i papaveri, annuncio d’estate. Il detto ti si come ‘a betonica, vuol dire che sei dappertutto, come nei prati. Ho fatto un bel vaso, l’ho tenuto sul tavolo vicino al computer: mi rassicurava avere la campagna dentro casa. Anche se avessero dovuto richiuderci di nuovo, quella notte stessa, 15 maggio 2020, con un DPCM a sorpresa.
SERRAGLIO DAL DOLO FIN LA MIRA
Passato il ponte sulla via Benedetto Cairoli, che diventa una strada Provinciale, si prosegue verso la Mira. I dolesi chiamano questa parte del paese Borgo Cairoli, ci sono collocati il Municipio di Dolo e, appena girato in via Comunetto, la nostra bella Biblioteca, nella restaurata Villa Concina e il Cinema Moderno: il Borgo è la nostra Citè. Io imbocco la Rive Droit del Serraglio, verso oriente (il Rio prosegue anche oltre Mira Taglio, fino a Mira Porte). A Mira, abbandono lo sterrato e giro a destra in via Molinella, che viene anche lei da Dolo: arrivo al Taglio (altro toponimo derivato da un Canale), cioè al Capoluogo del vasto comune di Mira, dove c’è il loro Municipio. È un edificio ottocentesco né bello né brutto, che io chiamo Casa Rosada, come quella di Buenos Aires, perché è dipinto di quel colore. Il percorso dal Dolo fin la Mira è davvero in mezzo alla campagna, a parte qualche frangia urbanizzata di Dolo che si costeggia all’inizio. Si tratta del quartiere tra Borgo Cairoli e il plesso Scolastico del Liceo Scientifico: un grande edificio moderno, progettato da Valeriano Pastor, il quale insegnava a Venezia, quando ci studiavo io. I quasi 4 chilometri sull’argine del Serraglio offrono un paesaggio uniforme e piatto, poco animato da qualche cascinale non particolarmente bello, moltissimi tralicci elettrici, prati e rare file di vigna; bucati stesi, trattori che sembrano in disuso. Io sono un’amante dei tralicci, penso che non siano meno eleganti della Torre di Eiffel, solo che non stanno nel cuore di Parigi: li chiamo torri di Tatlin, perché sono simbolo del Progresso Novecentesco. Il percorso è un saggio di quanto resiste della Campagna, nella cosiddetta città metropolitana, tra Venezia e Padova: la metropoli a due piani, come è stata ironicamente denominata, nei libri degli urbanisti. Quando lascio il Serraglio e prendo via Molinella, c’è una stalla sociale enorme e, di fronte, la Cooperativa Bronte, che un tempo vendeva verdure biologiche in centro a Mira, nelle barchesse di Villa Bonlini. Si sbuca sulla SR11, in mezzo a due fermate dei bus ACTV (comodi per il ritorno a Dolo). Decido di fare una sosta al Dubliner, la birreria che un tempo si chiamava Lord Byron perché sta nella Villa Foscarini (quel che ne rimane) dove ha abitato il Poeta Inglese.
STRAVEDAMENTO: LE MONTAGNE DAL SERRAGLIO
Adesso, però, dobbiamo tornare sul Serraglio del Dolo, perché vi voglio dire una mia scoperta. A maggio 2020 ho avuto un’intuizione, quando ho pensato che il Serraglio sarebbe stato un girolo migliore con un clima più freddo. Nell’Estate di San Martino 2020 (sei mesi dopo) ho per caso imboccato Via Manzoni, di fronte a casa nostra e mi è parso di vedere all’orizzonte la Neve. Impossibile, perché l’orizzonte è coperto dalle case, anche se sono a due piani; la troppa clausura mi procurava delle allucinazioni. O forse -mi è già capitato- c’era un qualche telone bianco a coprire cataste temporanee di qualcosa. Decido di proseguire, salgo fino all’Argine del Rio Serraglio: lì l’orizzonte, per quanto piatto, si libera e potrò capire se davvero si vedono le montagne che a maggio, giurerei, non ci fossero. Scherzi del clima che, dopo una notte di pioggia, ha spazzato l’aria e ha accorciato le distanze: oggi è talmente terso, si dice, che si vedono le montagne. Proprio così: l’autunno ha portato i monti in pianura. Mutuo il termine usato dai marinai di Chioggia: chiamano stravedamento una contingenza atmosferica che, in mare, ti fa vedere la terra anche se è straordinariamente distante. Non che le Montagne, in Veneto, siano chissà dove, ma è davvero strano vederle sulla campagna veneziana, come se fossero appena oltre i tralicci elettrici e le vigne. Lassù deve aver nevicato. Il Serraglio si nobilita, offrendo una visione a schermo intero, di quelle che penso possano essere le montagne sopra Conegliano e Vittorio Veneto, verso Belluno. O, per quel che ne so, già montagne del Friuli. Come che sia, è una sorpresa molto bella, che le fotografie col cellulare non restituiscono. Una seconda sorpresa, sempre dovuta ai colori dell’autunno, quasi inverno: vedo scorci di acqua mossa, rive, canne, prati e alberi spogli, che mettono in risalto alcune case con gli arconi. Non è possibile che le abbiano restaurate tra maggio e novembre: ero io che, camminando verso Mira, non avevo prestato la giusta attenzione alle forme e ai contrasti. C’è una gamma di arconi abbastanza ricca, tamponati, aperti, alti due piani, bassi a portico, ad uso abitativo, agricolo, magazzino, un vero campionario da Era degli Arconi.
IL SERRAGLIO VERSO FIESSO D’ARTICO
Torniamo alla prima casa del Girolo, con gli arconi tamponati alla vecchia maniera. Giriamo a sinistra, sullo sterrato e percorriamo “la destra idrografica” del Serraglio (facendo finta di dare le spalle alla sua risorgiva). Questo tratto è più elegante di quello verso la Mira, il paesaggio più “sontuoso”, alberato e meno contaminato da edifici: le vie lungo le quali il Progresso si è sviluppato dipendono da tante cose. Forse è l’effetto dell’Estate di San Martino (è novembre 2021), tutto è più affascinante: la tavolozza delle foglie, la limpidezza del cielo, le anse del Rio stesso che si comporta come un vero fiume e non da cavamento artificiale. Chissà. Improvviso, compare un segnale stradale che indica il centro di Fiesso, curioso, come se su questa sponda potessero passare anche auto (impossibile): si attraversa un Parco Battistini, minuscolo, che appartiene ad un insediamento recente di piccoli condomini. Sbuco sulla SR11, altezza via Pampagnina. Se proseguo lungo il Serraglio, invece, arrivo fino al Nuovo Cimitero di Fiesso e, lungo via Baldana, al centro paese dove c’è il Municipio col monumento al Milite Ignoto. Vicinissimo il Pasticcere Fiamingo, che fa eccellenti focacce alla crema e paste alla ricotta. Nel gennaio 2022, scopro, di fronte alla Villa Contarini Occioni, un delizioso Bistrot che si chiama Angi: confeziona dei tramezzini che chiama cherubini e un Tiramisù Al Momento. Da provare. Per il resto Fiesso è un paese senza troppe specialità, con un territorio minuscolo, cresciuto troppo in fretta e con molte ville perdute. Le più note sono lungo la SR11: la Soranza dipinta dal Caliari (fratello di Paolo Veronese), la Recanati Zucconi, barocca e la Contarini Occioni, gialla, con il suo Oratorio. La Pisani Barbariga, sorge in località Fiessetto MA è già in territorio di Strà (Girolo Paluello di Strà), per un dispetto dei confini comunali. Mi viene da pensare che Fiesso non esistesse, nel Seicento, dato che i lavori per la curvatura del Brenta, il flesso dell’ingegner Artico, sono dell’Ottocento.
Tutto è più affascinante: la tavolozza delle foglie, la limpidezza del cielo, le anse del Rio stesso