I LOVE NY (2)
BOSCHI DI GRATTACIELI E RADURE
Ci sono scorci, nelle mie fotografie, dove è quasi buio e solo la bandiera stelle-e-strisce si illumina: sembra un set. Le quinte si sovrappongono: mattoni, intonaci, vetro, vetro fumato, marmo, metallo. Ci sono molti dettagli, soprattutto dei grattacieli Deco, attorno a Time Square, Washington Square, Bryant Square: sapete che adoro il decoro liberty, dèco e NYC è un vero open museum. Che dire di Eataly che si è presa il piano terra del Flatiron, grattacielo simbolo di NY e di tutta l’architettura delle downtown USA? Devo dire che più di Eataly e di Grom (al tempo ancora un vanto italiano) mi hanno colpito marchi come Dean&Deluca (molto più newyorkese) e sopra tutti l’emporio di Zabar’s dalle parti dell’80th.
ALLA SCOPERTA DI:
MOMA, MET &Co
Il MOMA non è lontano dal nostro hotel della 49th. La nostra camera, vista cisterna, ha qualche acciacco, ma siamo vigilati da due gigantografie di JFK e Jackie O’, alla maniera di Andy Wahrol. È piccola, con un armadio a muro minuscolo, nessuno soggiorna qui 14 notti, dobbiamo tenere gli abiti in valigia. Però, due passi due e siamo alla Port Authority, all Actors Studio, a Bryant con la Public Library, sotto il Chrysler, vicino a Radio City e nella mischia fluorescente dei video di Time Square, che cambiano sfumature col ritmo dei secondi. Di fronte all’hotel possiamo scegliere repliche di musical e commedie, da Chicago a The Big Fish di Noel Coward. In Time Square riusciamo perfino a cenare in un locale famoso, il Blue Fin, senza spendere una cifra. NYC è abbastanza stupefacente anche per questo: basta che cambi una tendenza e i prezzi fluttuano, basta girare un angolo e si esce dal patinato, basta l’intervista ad una celebrità e il sito si illumina. Le mille luci. Ma, a Bryant Sq., in mezzo a strade famose e palazzi famosi, di film famosi, ci sediamo ad un chiosco che potrebbe essere ai Giardini Zumaglini di Biella, non fosse per un’auto del NYPD (veri), che fa subito set. Sfrecciano yellow cab, il caffè è nei bicchieroni di carta col coperchio, icona assoluta. Il MOMA resta il MOMA, imperdibile: sempre da vedere, sempre in movimento (stanno allestendo una mostra, forse Mirò). Invece, non andiamo al Museo di Arte contemporanea, che vediamo al Village, da fuori (e non so dire perché). Non è molto distante nemmeno il MET, altra icona imperdibile: basterebbe il salone d’ingresso dove sembra che il Tempio di Dendur sia sempre stato lì, costruito dal Faraone proprio a NYC. Il MET ci regala una sorpresa che è il biglietto inclusivo di The Cloister, la parte medioevale, situata in Upper Manhattan, dove la Broadway termina nel Bronx. Una vera sorpresa, perché ignoravamo la sua esistenza (vergogna) e perché trovare su una collina di NY (vera) un monastero medioevale (fintarello) è qualcosa. In buona parte è un assemblaggio di “pezzi originali” provenienti dall’Europa, vecchio continente. Chiostri, archi, colonne, capitelli, vetrate, altari, tele, statue, paramenti, arredi sacri e cicli di affreschi “staccati” dalle pareti di Francia, Spagna, Italia, dove il Medioevo è esistito. Un giardino claustrale ricostruito dettaglio per dettaglio. Dall’Europa viene tutto quanto concorre ad un miracoloso ambiente medioevale, qui, in una enclave verdissima e silente, dove probabilmente a quei tempi c’erano gli indiani. Anche oggi siamo del tutto fuori dalla confusione metropolitana, in un’atmosfera religiosamente idilliaca metmuseum.org. Great!!
I MILLE MUSEI DI NYC
Naturalmente a NYC i Musei non si contano e noi decidiamo di visitare solo i celeberrimi: il Whitney (con la collezione di Edward Hopper) e il Guggenheim. Recentemente sono state proposte nel web le tavole progettuali di Frank Lloyd Wright, chiamato da Solomon Guggenheim per un edificio che contenesse la propria collezione. Celeberrimo per la propria forma a tronco di cono, determinata da una spirale che si sviluppa, salendo. Pare che il Maestro l’avesse ipotizzata (in taluni schizzi) di colore rosso lampone: sono stati predisposti dei rendering computerizzati e le immagini hanno provocato un certo shock. La assoluta bellezza dell’edificio, infatti, è (anche) nel candore delle linee, che appaiono (come in una visione estatica), uscendo dal verde-ombra di Central Park, verso la 5th strada, Park Ave e Lexington, nel quartiere più ricco della Mela. La sensazione che abbiamo, Stefano ed io, dopo aver visto il Museo di Wright in migliaia di riproduzioni e disegni, è che sia “piccolo”, quasi incassato tra altri (anonimi edifici). Non oso pensare alle polemiche che ci sarebbero state in Italia, se l’intervento di una archistar avesse dovuto dialogare con la paccottiglia edilizia locale. In Francia, ça va sans dire, avrebbero abbattuto l’intero isolato, come fecero per il Pompidou di Rogers-e-Piano. Invece, eccola di nuovo, l’anima accogliente e meticcia della Mela, democratica con i chioschi di falafel e con le archistar, vero melting pot. La scala interna elicoidale è resa invisibile da un allestimento temporaneo che la ricopre (maledizione!) ma il Museo e la collezione sono comunque favolosi. Naturalmente è difficile competere con Wright, anche se si è Renzo Piano, cui è stata affidata la nuova collocazione delle opere di Hopper, lungo la High Line (Girolo ILOVENYC 1). Ecco: da Hopper mi aspetterei di trovare immortalate le cisterne dell’acqua. Ne ritrovo soltanto una, tra gli scatti col cellulare, fatti nella sede di Madison Ave: progettista Marcel Breuer, quello della seggiola Vassily, famosissima. Nel 2023 a NY c’è stato un giro di giostra tra le istituzioni museali: la Frick Collection si è spostata dalla dimora in rinnovo, proprio all’ex Withney, di Breuer; il nuovo Withney ha trovato casa da Renzo Piano, sulla High Line (a Tribeca), mentre Guggenheim rimane bianco, nonostante le suggestioni.
CENTRAL PARK
Nel testo sacro dei miei studi architettonici (1973), oltre ai grattacieli, NYC compariva per il fenomeno Central Park: voluto fortemente da un agricoltore-giornalista, tal Frederick Law Olmsted il quale, affascinato dal movimento dei Cimiteri Rurali, pensò di caratterizzare la metropoli con questo vuoto, che non ha nulla di naturale, ma un paesaggio verde assolutamente progettato, con la medesima cura di quello edificato. Qualcuno vede in Olmsted il teorico delle Città Belle e del Park Movement, ma qui non faremo lezioni. Resta il fatto che NYC senza Central Park sarebbe un donut senza buco: rende prezioso il suo “disegno dall’alto”, inconfondibile ed elegante; è un luogo mistico, quando ci entrate, mentre siete dentro, quando uscite a riveder l’urbano. Da una parte all’altra del Parco, ci sono varie NYC e, tutto intorno, la città ne risente, come materiali ferrosi vicini ad una calamita. Great!! Le mie foto non rendono giustizia: appena appena una foschia da luogo magico, quando si intravede il grattacielo con due torri, che è un Hotel. Ricordo che, all’interno, mi stupirono tutte quelle attività tipicamente americane che vediamo in film e serie TV: jogging, passeggio col cane, campi da baseball, concerti, eatery e kioski di ogni cosa, appuntamenti, gruppi, donne eleganti. Grazie ad OTSONY vedo che le 6 mappe di Central Park sono state set di tanti film quanto il resto di NYC: basterebbero Love Story, Autumn in NY, Harry ti presento Sally, per non dire di Sex and the city. Se uscite verso Park Ave vi trovate nel lusso newyorkese, nei Musei d’alto bordo, nelle griffe e nelle cosiddette urban mansion, ville che potrebbero essere in campagna, con il loro neo neoclassico fintarello, ad imitazione dei palladiani. Ma proprio al limite del Park anche i grattacieli hanno un’aura moooolto ricca, i portieri sembrano quelli del Waldorf Astoria in livrea e se potessimo entrare (ma è tutto blindato dagli enter code), ci troveremmo in quei full-service flats dove vivono i broker, i mafiosi o le star con le loro bodyguard. Uno per tutti: il Dakota dove visse Lennon. Ma a pochi passi dal Central Park, soprattutto West side, ci troviamo in avenue meno patinate, qualche bazar vecchio stile, cafeterie, delicatessen, pub, quasi un prolungamento di Hell’s Kitchen.
MET E JAZZ PER TUTTI
Quello che più mi stupisce, appena fuori da Central Park, è l’atmosfera non elitaria del Columbus Mall, del Lincoln Center, dello stesso MET. Sono luoghi arci famosi, dove siamo abituati a collocare eventi prestigiosi, star internazionali, date e cartelloni celebri nel mondo. È una sorpresa che, la sera del Faust (al Metropolitan), ci sia una gigantesca platea allestita all’esterno, chiunque può sedersi, scegliersi i posti e godersi lo spettacolo, la prima in diretta, su giganteschi schermi. Great. Entro al Lincoln, famoso per il suo Teatro Jazz (Jazz at Lincoln Center), senza speranza alcuna di poter trovare biglietti abbordabili. Invece ce n’è per tutti, nella Grande Mela. Al Dizzy’s club, piani alti, si può prenotare una serata di jazz, con cena: ci sono tre orari, dalle 6 alle 11 PM e diversi prezzi, che includono il primo drink. Così riusciamo a goderci una serata veramente newyorkese: quartetto e cantante jazz, cocktail, vino e cena senza nemmeno accendere un mutuo. In altre occasioni Stefano avrebbe detto, lasciamo perdere, per timore di una delusione rispetto al costo: ma accetta in memoria dello zio Jaco Perry, quello che mi ha portata da Ronnie Scott a Londra (Girolo Absolute Beginner). Mio marito ha, tra i molti, il talento sentimentale di rispettare i sentimenti degli altri. Great. In questo caso non può non riconoscere che la vista, dalle vetrate del Dizzy, è stupefacente: anche se la cantante non è proprio Liza Minelli in New York New York. Siamo comunque in un film nel film, le mille luci di NYC, per la precisione quelle dei grattacieli, attorno alla radura di Central Park, bosco da fiaba metropolitana. Tra questo Dizzy’s Club e la Sala della Fondazione Cini, sul Bacino di San Marco a Venezia, stento a preferire. E, comunque, siamo dentro un film. Attorno a Central Park, ci sono anche Zabar’s e Grom (Girolo ILOVENYC 1), il Guggenheim, La Frick Collection, il vecchio Whitney, il Waldorf Astoria, elegante Deco. Una calamita.
Una serata veramente newyorkese: quartetto e cantante jazz, cocktail, vino e cena