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New York

Icona delle icone, NY. Il mio corso di scrittura creativa, a Mestre, era iniziato con una raccomandazione: non scrivere di New York (tutti ne scrivono), scegliti un luogo anonimo, che conosci perfettamente e farai del tuo meglio. Per cui, raccontare di NY, mi mette di fronte al banale, potrò dire solo il già detto, lascio stare. MA. A ripassare le 1.200 immagini scattate nel 2013, si dipana un mio filo newyorkese e ci provo. Ho quasi 60 anni, è ora di affrontare la Grande Mela: commetto l’errore che una girolona non dovrebbe mai fare, andare in un posto così, SOLO 2 settimane e in hotel. Non tanto perché è costoso, un BW a Time Square, ma perché: vuoi mettere un appartamento a Brooklyn Heighs?!! Mi sono detta: vabbè, questo è un aperitivo di NY; quando ci torniamo, stiamo qui minimo 9 settimane e ½, in una casa nostra. Sì, se avessi dei rimpianti, riguarderebbero i luoghi dove non sono stata, come Beirut o il Bayou del Mississipi, o dove sono stata troppo poco. Questi 3 Giroli, scritti 10 anni dopo, sono un piattino di appetizers: prima o poi mi faccio una scorpacciata della Grande Mela. È anche difficile decidere come raccontare NY: che poi è solo NYC e, della city, solo Manhattan, schegge di Harlem, dei Queens e Brooklyn per modo di dire, Coney Island mezza giornata. Potrei raccontare i siti imperdibili, il MOMA, il MET, il Guggenheim, Ground Zero, il Flatiron, Central Park, il Chrysler, Grand Central Terminal, la Terrazza del Rockfeller, il Ponte di Brooklyn, i traghetti sull’East River o per Staten Island? Mi affido alle immagini (ordinate per giorni, dal 16 al 30 agosto 2013). E le immagini rimettono a fuoco i temi,  gli items, che mi hanno dato un’idea della Grande Mela.

ALLA SCOPERTA DI:

SCALE ANTINCENDIO E FIRE DEPT.

Scopro, scrivendo questi giroli, un sito imperdibile, OTSONY che nel 2023 compie 13 anni: potete passarci dei giorni, i film sono in ordine alfabetico e per ciascuno una scheda con le immagini dei set newyorkesi; le mappe li collocano con precisione, great! Le scale antincendio pullulano a cominciare da un’icona assoluta come I tre giorni del Condor, ma basterebbe West Side Story dove i ballerini e il coro, hanno come scenografia le scale esterne. Io qui, assocerò questa peculiarità newyorkese, al Fire Department FDNY, che dopo l’11 settembre del 2001 è assurto a vera e propria mitologia, come i cowboys. Girolando per Manhattan, direi ovunque, la tipologia di apartament house con scale esterne in metallo è dominante: lo è nel nostro isolato, tra la 49th Str. e la 8th Ave; lo è attorno ai grattacieli storici (Chrysler, Empire, Flatiron); lo è nella zona di Grand Central; lo è verso Madison Park e Washington Square; lo è dalle parti dei dock sull’East River,  lo è a Tribeca e nel Village, a Chinatown e Little Italy; lo è nella parte più settentrionale di Broadway, verso Harlem e il Bronx.  Altrettanto diffusi sono i meravigliosi mezzi del FDNY, orgogliosamente rossi e lustri, con tutte le loro attrezzature, bocchette, scale, tubi. Abbiamo occasione di vederli in azione a Coney Island, i pompieri, con le loro divise inconfondibili, nere e gialle, veri. E’ finzione, invece, un inseguimento con le moto, che viviamo a Chinatown: è un set, attori (sconosciuti), cascatori, comparse, registi e fonici all’opera. Chissà in quale serie potremmo vedere questa scena, che dura 20 secondi e li impegna per ore, perché tutti i lavori son fatica. Andiamo subito, il primo giorno, a Ground Zero: il memorial delle vittime è toccante: una fontana che implode verso l’abisso, tutto nero, l’acqua (metafora di vita), scorre verso un buco che la inghiotte: bellissimo, elegante e definitivo. Da lì è un attimo salire sulla High Line, la vecchia ferrovia portuale riconquistata al tempo libero: sta diventando parco urbano lineare, di quasi 3 chilometri, guarda il West Side (a proposito di film) e l’Hudson. In questi 10 anni ci ha anche aperto la nuova sede del Whitney Museum, edificio di Renzo Piano. NYC mi abitua subito a cambi di scena urbana insospettabili, è davvero un melting pot, in incessante trasformazione: pochi metri dalla mitica Time Square, con gli schermi luccicanti (sembra la città di Blade Runner), fuori dal Theatre District, stai già camminando in una cittadina quasi provinciale, senza le mille luci (del romanzo di McInerney). Usciti dall’hotel, dieci metri siamo a Hell’s Kitchen, con brasserie e pub che potrebbero essere ovunque; grocery store, delicatessen ed emporium h24, come quello dove mi rifornisco di Drinkable Jogurt Ronnybrook (791, 8th Ave), che viene dalla Valle dell’Hudson. Forse l’ha scritto Arrigo Cipriani, che a NYC si sente come a Venezia, mondiale ma domestica. Strano ma vero. 

Non è che sei di NY, ma se sei lì 

[…] sei uno del posto. 

[…] NY è l’ombelico del mondo. 

[…] C’è Venezia, anche.

A.CIPRIANI, FELTRINELLI 2009

LE CISTERNE DELL’ACQUA

Se l’iconografia delle scale antincendio è affidata al cinema e alle serie TV, come quella del FDNY e del NYPD (i poliziotti delle serie Blue Blood, NYPD Blue, Law and Order, Hill Street Blues…..), scopro un item che non avrei legato a NYC, prima di venirci: le cisterne dell’acqua, in cima agli edifici. Sono un popolo, multicolore e multimaterico, con una forma cilindrica declinata in mille dimensioni, aggregazioni e posizioni: ne noto una, poi diverse, poi tantissime, ovunque. Penso possa derivare dalla frequenza degli edifici con tanti piani, per rifornire i quali è opportuno disporre di acqua “a cascata”, e forse anche di una raccolta piovana, chissà. Nel nostro Hotel vecchiotto, per esempio, abbiamo avuto dei disguidi e ci hanno mandato the engineer (il manutentore), un enorme nero in tuta blu, come Joe Piper, Giuseppe Tubi in Topolino. La stanza aveva una vista cisterna, meravigliosa al tramonto: un vero e proprio quadro di Edward Hopper. I primi giorni, ci dedichiamo ai grattacieli: siamo comodi a visitare la terrazza del Rockfeller Center (Top of the Rock, icona delle icone), ma anche tutta la vasta gamma di edifici Deco che popolano la Manhattan anni Trenta, tra la 40th e la 60th (a spanne). Ci includiamo Grand Central, che come set cinematografico non scherza (c’è un Cipriani Dolci che sembra chiuso, di fronte ad un Michael Jordan che fa bistecche). Tocchiamo e fuggiamo da 5th Ave. e dalle mille luci dei grandi marchi, incluso Tiffany. Ci sono a NYC anche Bianca, Piero e Francesco: stanno in un appartamento dalle parti di Tribeca, più o meno. Una sera ci portano nell’area del South Seaport  (sul Pier 17, diventato un must, in un locale cubano). La vista dell’East River è affascinante, la zona tutta in rejuvenation, e ci torneremo in cerca dell’Amsterdam Market, anche quello un cantiere, come Pearl square e Foulton (a spanne). 

KIOSK, COAL OVEN E HAMBURGER

Giroleremo attorno al Toro della Borsa, mangiando fantastiche falafel dal chiosco di Tom. Altro item newyorkese sono questi chioschi su ruote, rudimentali, fatti di materiale povero e non ben manutenuti, che sembrano avere un posto fisso ed avventori abituali: a Time Square, a Wall Street, a Madison, a Hell’s Kitchen, a Tribeca, incuranti del prestigio del quartiere, del rango della clientela, dei locali intorno. Vendono hot dog, kebab, donut, schizzano salse salate e dolci da bottiglie di plastica non proprio immacolate, come i vetri che fanno intravedere la merce. Great!! Secondo Bianca la miglior pizza di NYC è quella di Arturo’s, Coal Oven, un locale senza tempo, meraviglioso (106 Houston str). Tra Soho e il Village, mangerò da Petrarca un ottimo hamburger servito con posate. Quello più classico, nel suo pacchetto di carta fatto a vista, lo mangiamo da Lenny’s (la cui catena si chiama Lenwich) e da Shake Shack. Forse le mucche vengono dalle stesse fattorie, oltre Hudson, che fanno il mio yogurt: la carne è ottima, succosa e il pane, i NYC buns, non sembra segatura!! Anche il Pastrami, che scopro nella cafeteria del MOMA, è eccellente: su Youtube trovate diversi filmati sul vero pastrami newyorkese, gli indirizzi imperdibili, tra cui Katz’s Deli e Ben’s, che raccomando. Le icone dell’eatery newyorkese, anche la cheesecake, possono sembrare banali, ormai le troviamo ovunque. Ma, non è così: a NYC sono proprio speciali. Come la birra al pub della Port Authority, locale che si chiama Beer Authority o da Rosie O’Grady o nel sofisticato pub vittoriano Lillie’s: tutti a portata di pedone, attorno all’Hotel vecchiotto della 49th, angolo 8th, il nostro isolato. Come possa un’italiana amare il cibo di NYC è una sorpresa. 

SKYSCRAPER E SKYLINE

Questo primo girolo, lo chiudo con l’icona più sicura di NYC: lo skyline che vedete già quando l’aereo atterra, con i suoi cluster di grattacieli. Per semplificare, dirò che Manhattan ha due boschi di grattacieli, quello del financial district (la punta) e quello dell’Empire, separati da una radura edilizia (edifici più bassi) Village, Soho, Nolita, China Town, Little Italy; a nord c’è la seconda grande radura di Central Park che arriva fino ad Harlem. Poi la metropoli si “dirada”, verso le colline dell’Hudson e le rive delle varie baie (come Long Island Sound). Queste ultime, insospettabili, danno un forte aiuto al melting pot: il massimo dell’urbano e subito fuori spiagge, prati, mezzi boschi, routes infinite. Da Top of the Rock (imperdibile!) si ha una delle viste mozzafiato: la banalità dell’emozione. Le mie foto sono nebbiose, se volete vedere nitido ci sono i film!! Si vede anche Central Park, ovvio, ma ci torneremo. La veduta che ho prediletto è stata quella del traghetto sull’East River, preso al volo, per caso, da un pontile di Brooklyn, dove c’è Luke’s Lobster che fa i toast con l’aragosta. Il battello (www.ferry.nyc) va da una sponda all’altra, Vinegar Hill, Williamsburg, India StrHunters, East 35th, Stuyvesant Cove, fino a Roosevelt Island. Ci sono scatti in cui si vede il Pier 17, con le torri di 120 Wall Str, nuovo World Trade, The Pine, Continental Twr e 8 Spruce Str di Gehry, il mio preferito. Dal traghetto di Staten Island, si vede la Statua della Libertà, un’icona che non mi esalta, ma rivedo Michael Douglas e Viggo Mortensen in the The Perfect murder, mettersi d’accordo per far fuori Gwyneth Paltrow. A NYC sei dentro un film.