I BOSCHI DI MESTRE
M&M, LA VENEZIA DI TERRA
Ho sempre voluto bene a Mestre, la Venezia di Terra, col suo complesso di irrisolvibile inferiorità rispetto alla Serenissima. Il Comune ha un Prosindaco per la terraferma, invenzione compensativa: quelli che io ricordo, Gaetano Zorzetto e Gianfranco Bettin (scrittore), hanno voluto fermamente darle un volto migliore, e ci sono riusciti. I soldi delle Leggi Speciali per Venezia, non hanno prodotto solo chiacchiere, sprechi e malagestio, hanno anche migliorato Mestre (più di Marghera). Da Bastian Cuntrari, decido di dedicare dei giroli a Mestre e Marghera, M&M, cominciando da alcune passeggiate del periodo pandemico: nei Boschi e Parchi, non conosciuti come meritano. L’ultima Guida di Mestre che ho avuto per le mani è un lavoro molto documentato di Saccà, Vio e Casarin Alla scoperta di Mestre, 2009. M&M sono cresciute nel peggiore dei modi possibili, come dove e quando capitava. Mestre aveva un cuore antico, medioevale di cui rimane la Torre Belfredo, che è stato sommerso dalla modernità senza pregio. I borghi che la circondavano -annessi negli anni fascisti nella Grande Venezia– invasi dal dilagare edilizio, sgangherato, in mille rivoli andati a caso, in quella che era campagna. Marghera, progettata come Città Giardino, si è espansa per conati edilizi, spruzzando in giro in giro, sulle terre coltivate o incolte. Negli anni Settanta, M&M potevano considerarsi un atlante di prescrizione: tutto quello che l’Urbanistica non avrebbe mai dovuto permettere e l’Edilizia rigettare. Perciò vi devo spiegare perché mi piace girolare per M&M. Questa città – o parte di città, visto che è lo stesso Comune di Piazza San Marco e di Burano- a me è sempre stata simpatica, per essere sorellastra della Serenissima, non poter redimere il proprio peccato originale, impossibilitata ad essere normale. Dovendo frequentarla a fondo, per lavoro, ho potuto scoprire molti angoli impensabili: larghi residui di natura, strade che si inoltrano nei campi (oggi a 30 km/h), le aree industriali dismesse di Marghera, le Ville (che risultano essere quasi 50), gli affacci sulla Laguna che la rendono unica-al-mondo. Quale altra città ha come “quartiere” Venezia?! Raggiungibile al costo di un bus urbano, in 20 minuti, camminando sulle acque della Laguna?
ALLA SCOPERTA DI:
SAN GIULIANO
Partiamo dalla Laguna. Difficile pensare a Mestre-Marghera -M&M- come ad una città lagunare: eppure c’è una dimostrazione tangibile che si chiama Parco di San Giuliano. Le brochure dicono sia il più grande in Italia, all’interno del contesto urbano (più del Pincio, più delle Cascine e di Boboli, più del Parco di Caserta): una specie di Richmond a Londra (Girolo Londra 2). Certamente è l’unico ad affacciarsi sulla Laguna della Città Unica al Mondo. Da lì vedete tutta Cannaregio nord e le isole maggiori, Murano Burano, il campanile inconfondibile di Torcello. Camminando lungo il margine lagunare o lungo il Canale Osellino -si arriva fino al Passo Campalto- avete i piedi nell’acqua, costeggiate il grande bacino dolce-poco-salato, lo dominate con una ampiezza che non potete avere da nessuna delle isole: solo da qui, dalla Gronda. Ma il Parco ha anche una seconda prerogativa: è il recupero naturale di praterie vallive (o prati umidi) con poca piantumazione: terre barenose com’erano e dov’erano o dov’erano state. San Giuliano è, se così posso dire, un Parco di Prati. Secondo le stagioni cambiano le fioriture spontanee e in estate “fanno fieno”: camminare a piedi nudi mi riporta a Sordevolo, nei prati della Cian (Girolo Elvo dorado). I sentieri pedonali e ciclabili sono in vista, si snodano nella pianura, con qualche minimo dislivello. C’è poca ombra, meglio andare nelle mezze stagioni. Ci sono stati tentativi di allestire festival (Heineken?) e altri eventi massivi, poi San Giuliano è rimasto come “doveva essere”, un luogo di campagna lagunare, poetico, silente, poco conosciuto (meglio così?).
San Giuliano è rimasto come “doveva essere”, un luogo di campagna lagunare, poetico, silente
IL BOSCO DI MESTRE
La prima associazione è quella al “bosco sull’autostrada” di Marcovaldo. Invece si tratta di un raffinato tentativo di salvare e riconnettere ciò che rimaneva dei boschi planiziali di terraferma, da Carpendedo fino alla Gronda Lagunare, verso Quarto di Altino, tra Dese e Sile (Giroli). Questi territori, fluviali, planiziali o addirittura sommersi (un ibrido terra-acqua, che oggi si ricrea artificialmente a scopo depurativi, si chiama lagunaggio), sono stati in parte sacrificati alla costruzione degli anni ‘60-70 dove-e-come-capita. Il Comune di Venezia, tramite la propria Istituzione Parchi, gestisce una costellazione di siti boschivi, abbastanza ben connessi a formare una trama verde, attorno e in mezzo alla città, cresciuta male. Percorsi a piedi, in bici o a cavallo, dove spesso si è piacevolmente soli. Quando arrivo al Parcheggio del Bosco, quello di via Altinia (ci arriva anche un BUS ACTV), vengo accolta da un evento inatteso: dal bosco si alza, improvvisa e rumorosa, una nuvola nera che, come un disegno di Escher, rivela di essere composta da uccelli. Sono tantissimi e per qualche secondo restano compatti, in stormo, appena sopra il giallo bruno degli alberi. Neanche pensare di fotografarli, perché sto guidando e tutto dura qualche secondo. Si alzano dalle chiome, sempre in batteria: la nube si dirada, man mano che sale. Un tratteggio nero occupa quasi tutto il cielo che vedo, dal finestrino dell’auto, la sagoma iniziale si sfalda. Poi, insieme al mio senso di stupore, anche lo stormo si disperde allontanandosi dal bosco, dentro il quale gli uccelli si erano evidentemente radunati. Chissà chi sono e se è loro abitudine andarsene ogni mattina verso le 10. Oppure stanno migrando, chissà. Certo che è un bel segno di benvenuto e se fossi un aruspice potrei leggere che cosa ha voluto dirmi questo volo di uccelli, sul futuro. Entro nel Bosco di Franca, la ragazzina di origine veneziana, desaparecida nell’Argentina della dittatura militare, buttata in volo sul Mar de la Plata. E’ il primo Bosco che affronto, in una mattina di ottobre col cielo nuvoloso, ma non troppo e le tinte variegate del fogliame. Non è il foliage dei boschi del Maine, ma insomma. Mi avvio sul rettifilo sterrato denominato Forte Cosenz (che appartiene al cosiddetto Campo Trincerato Mestrino), ma lo abbandono subito, scegliendo di costeggiare parte di due mezzelune d’acqua, con i loro canneti. M&M -e tutta la provincia di Venezia- sono così: sei sempre sotto il livello del mare, se non ci fossero le bonifiche e le idrovore. Sei sempre in un prato umido, o in bordo ad un corso d’acqua, risorgiva o artifizio dell’idraulica veneziana. Un soffio più forte di vento provoca una pioggia di piccole foglie gialle: frusciano e planano, dolcemente. Mi viene in mente il volo di farfalle che preannunciava un personaggio di Cent’anni di Solitudine (forse era un pianista). Invece arriva una coppia che fa il nordic walking, con dei buffi bastoncini: niente di magico. Però salutano, cortesemente, come sui sentieri di montagna. Si condivide il diritto a starsene qui, in solitudine e silenzio, ciascuno a modo suo. Arrivo così alla Radura di Franca, un bellissimo prato, bordato da quelle che si chiamano siepi boscate, file di alberi misti -olmi, platani, robinie e salici, che i cartelli illustrano- tipici del bosco di pianura e di queste zone. C’è una pace perfetta: i colori, le sagome all’orizzonte, la chiusura della vista rispetto alla città costruita (che è appena fuori, vicinissima), facilitano il raccoglimento. Non so se penserò alla ragazzina Franca o ad altre vittime, ma la situazione è ideale per pensare: jogging della mente, non necessariamente Memoria. Dal Bosco di Franca passo al Bosco di Zaher, emigrante Afghano, arrivato fino a Mestre e immediatamente morto di consunzione. Chissà perché hanno voluto dedicare questi Boschi a delle giovani vittime, forse perché rinascano, nell’eterno ciclo, come la natura. Il primo tassello di Bosco, con il quale il progetto ha preso corpo, è dedicato a Ottolenghi, ebreo vittima dell’Olocausto. Torno sulla via Altinia e con l’auto arrivo a Dese (frazione che ha il nome del fiume), devio alla ricerca di Forte Cosenz, che trovo sbarrato. Mi smarrisco nelle campagne di Dese, un altro tassello di Bosco, che si chiama Campagnazza, il nome dice tutto. E’ appena passato il trattore a dissodare la terra: zolle pastose, lucide di umidità: mi verrebbe voglia di metterci le mani (sono in via Colombara, prosecuzione di via Litomarino, i nomi dicono tutto). Sbuco su via Altinia: ho fatto un giro dell’oca, nel mosaico del Bosco.
CATENE, VICINO ALL’EUROPA
Non voglio fare torto a Marghera M&M, e vado a vedere il nuovo Parco di Catene. La sorpresa è il quartiere che si affaccia al nuovo Parco, nuovo anch’esso: sembra di essere a Bordeaux Bastide (Girolo Duna del Pylat), Lyon Confluence (Girolo Lyon), Hammerby a Stoccolma (Girolo Giallo Svezia). Gli edifici in via 25 Aprile sono recentissimi, case di appartamenti a non più di 5 piani, con ampio affaccio su una lama verde, che prima era un terreno incolto, un vuoto a perdere. Il Parco è di fatto un prato, con le siepi boscate ai due lati, quelli su cui sono costruite le case. Gli altri due lati affacciano su grande viabilità, tangenziali e traverse da cui Marghera è trafitta, le strade di grande scorrimento, dentro i quartieri abitativi. Il Parco risana quello che può: con percorsi pedonali a dislivello. Sembra che gli abitanti siano contenti, del loro Parco, che serve un po’ da piazza, quella che Catene non ha. Penso, ma non trovo conferma, che i muretti del Parco -sassi ingabbiati- rimandino a qualche dettaglio nella storia di Catene: i detriti dei bombardamenti o i sassi del terreno incolto, dissodato. Non so a chi chiedere, temo mi prenderebbero per matta. Trovo che questa lama verde brillante, e queste macchie di colore alla Kandinsky, inserite nella tela di un quartiere, bombardato e ricresciuto male, sia una mezza magia. M&M mi sono ancora più simpatiche: le sorellastre della Dominante, che si concedono un po’ di Bellezza. Lo so, penserete che questo sia un girolo per urbanisti, ma no. Prati e Boschi urbani fanno bene a chiunque.
IL BABAU
Uscendo da Catene, trovo spiaggiato un mostro alieno: sembra il Babau disegnato da Dino Buzzati, nei Miracoli di Valmorel. Ha una etichetta Postmeld Heathtreated. Do not flame or weldon this vessel. OCS Nitrogen protection inside. Fawley Strategy FAST Paese di origine: Italia Paese di destinazione EWPNA (???). Ho un brivido, poi torno positiva: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.