GRANDE NAVE NEMESI
GRANDE NAVE NEMESI
Non avevo pensato alla Nemesi. Avendo studiato per anni l’ipotesi di spostare le Grandi Navi da crociera, dal Bacino San Marco alle banchine di Marghera, dovevo aspettarmi una vendetta. Invece con l’animo vago ho accettato una mini crociera sulla nave che chiamerò Nemesi, con mia nipote Bebe (Girolo Maspalomas). Mi son detta, è un’occasione per rivedere Marsiglia e Barcellona (Giroli omonimi); anche se a Genova c’è solo l’imbarco, niente visite, pazienza (Girolo Genova per noi). Avremo due giornate a terra e potrei aggiornare le mie vedute, fare da gentile accompagnatrice a mia nipote. Non ho pensato che la Nemesi mi avrebbe trattenuta a bordo, senza poter scendere se non alla fine, appena in tempo per prendere un Easyjet e tornare a casa. 48 ore a guardare le banchine (Genova), l’alto mare aperto (di giorno, al tramonto, di notte col vento), miraggi di coste distanti e sfumate, irriconoscibili. Manciate di luci artificiali sparse chissà dove. Piscine illuminate come palcoscenici e palcoscenici vuoti perché gli artisti non si sono potuti imbarcare. Fumaioli, dettagli di oblò, funi, ganci, scalette, scialuppe. A me piacciono le barche: da pesca, a vela, i rimorchiatori, le navi container, persino quelle militari, forse qualche yacht; ma quelle da crociera, condomini fuori luogo, proprio no. La Nemesi: in banchina o in alto mare, nessuno scalo, requisita dentro il condominio, una noia letale e senza possibilità di navigare sul web, perché nelle acque internazionali il traffico dati costa uno sproposito (ai tempi dei miei studi, usavo marinetraffic.com, che segue le rotte in tempo reale). Costano uno sproposito le bevande a bordo, un aperol spritz come fossimo al Belmond Cipriani. Per fortuna era incluso il cibo (i famosi buffet h24) e avevo comprato per caso in autogrill L’accabadora di Murgia (bellissimo). Bebe ha come compagno di viaggio Luca Argentero, Disdici tutti gli impegni (si parla di arresti domiciliari, sarà un caso!). A bordo nessun libro in vista, gli scaffali della Library deserti. E non una sala dove proiettassero film h24, con poltrone confortevoli (perché?). Quanto all’intrattenimento del ventriloquo e della maestra di bachata, anche no. Per le piscine (solo all’aperto), il clima di novembre non era l’ideale, ma se fosse stato agosto sarebbero state una bolgia dantesca. La SPA vendeva trattamenti cari come i diamanti. Non mi interessa fare de-marketing: non siamo naufragate e abbiamo anche riso, abbastanza. Voglio scrivere di questo girolo, perché è l’unico, in oltre mezzo secolo, dal quale non vedevo l’ora di tornare a casa. Mi frullavano in mente le frasi della pubblicità: believe your eyes (da non credere, infatti); live your wonder (sono stupefatta, davvero).
ALLA SCOPERTA DI:
VITA IN BANCHINA
Molte cose non si comprendono finché non ti riguardano. Che le navi battano bandiera di Panama o della Liberia ci sembra una soluzione fiscale o per i contratti di lavoro. Per l’ospite (sig) significa che, una volta a bordo, sei all’estero e quindi le norme sulla immigrazione e sulla sicurezza del tuo Paese ti rendono straniero, non è che puoi scendere quando ti pare, aspettando che risolvano i problemi per cui non parti. La partenza viene rimandata, ci dicono, per una ragione “non dipendente dalla Compagnia” (ah!); di ora in ora si dilaziona il momento: fino a tenerci in banchina per 16 ore. Se propendiamo per il guasto tecnico (generatore, sistema informatico, boh), ci domandiamo se sia proprio il caso di partire, e trovarci nei guai in mare. Se propendiamo per una questione organizzativa, della Compagnia o del Porto, ci incazziamo e basta. Due stati d’animo che non acquisteremmo per andare in vacanza. Per quanto ami il lavoro portuale e i natanti da lavoro, dopo un centinaio di fotografie, sono nauseata. Ma, direte voi, a bordo di queste navi c’è ogni comfort, intrattenimento, cura, coccola: sono fatte apposta. È colpa mia: non si compera un paio di pinne se si vogliono le sneaker. Avevo pensato che viaggiando di notte, la nave fosse un mezzo come un altro, uno spostamento mentre dormi, tempo guadagnato: pensavo di togliere le pinne, indossare le sneaker e girolare a Marsiglia, a Barcellona. Invece no. Dopo la cena, i Bastardi di Pizzofalcone, la Murgia e Argentero, proviamo a dormire comunque e la mattina siamo ancora lì: Genova fuori, si vede la Lanterna, il Porto Vecchio col Bigo di Renzo Piano, l’Acquario (Girolo Genova). A noi preclusi. Le altre Grandi Navi approdano e partono. Noi niente (è la mia Nemesi a tenerci fermi, circa 3.000 persone ignare). Dopo annunci farlocchi, via via smentiti, finalmente dopo 16 ore prendiamo il mare: le ciminiere fumano, le onde spruzzano le scialuppe, c’è vita sui ponti. Un grande sospiro collettivo ci rianima tutti, ma non ci rende leggeri perché sappiamo già che non metteremo piede a terra prima della fine. “Speriamo di arrivare in tempo a prendere l’aereo per tornare a casa”, il giro dell’oca.
VITA A BORDO
Chi non ama la vita a bordo non dovrebbe acquistare una crociera: non è un modo per vedere il mondo, semmai per dire di averlo visto. Capisco che mi piace navigare vicino alla costa, quando dal mare si vedono le isole, le amate sponde, le quinte terrestri che sfilano, con le diverse luci del giorno. Mi piacciono i traghetti per le isole, gli aliscafi coast-to-coast, le gite negli arcipelaghi (Giroli Eolie, Grecia, Dalmazia). L’alto mare aperto non fa per me. Del resto, persino il Nostromo di Conrad, ha come sottotitolo Racconti di costa! Mi piace il vento, ma non questo che, sul mare di notte, sibila, si ingolfa nel terrazzino della cabina, sbatte contro i vetri spessi, per fortuna antisfondamento. Spruzza acqua salsa nebulizzata, che scavalca le balconate, un’invasione di fantasmi, che svampiscono bagnando il legno dei ponti. Siamo all’11° e il vento fa ondulare la nave, sembra che qualcuno ti tiri le coperte nel letto, nemmeno pensare di uscire in balcone, a fare la doccia scozzese. Per me non è rassicurante, anche se tutti sembrano tranquilli nelle proprie cabine; in giro per i piani inferiori (dove il beccheggio diminuisce), incontro soltanto gli inservienti indo-asiatici, che lucidano mancorrenti e specchi, passano aspiratori sulle moquette (orribili), riordinano i banconi del buffet per le colazioni di domani, cioè di oggi perché sono le 3 a.m. No, nessun pericolo, ma le ore in cui non si dorme, sono marosi di noia; vorrei tornare a casa. Viaggiamo sul mare per ore e ore, in totale 48. Vedo il tramonto color arancia sanguinella, all’altezza di Cannes; una mattinata grigia, con qualche striscia color pesca, verso Tossa del Mar. Lo saprò, a terra, dalla georeferenziazione delle foto. So benissimo cosa NON abbiamo visto a Marsiglia, cosa non vediamo sulla Costa Azzurra, nella Baia di Hyères, lungo la Corniche e i Calanques (Girolo Marsiglia), sulla Costa Brava (Giroli Barcellona), perché la rotta è distante dalle rive. Che sciupio, che peccato, che rabbia.
Vedo il tramonto color arancia sanguinella
LA VENDETTA DI GAUDÌ
Vi ho detto che non amo Gaudì e la seconda Nemesi, viene da lui. Arriviamo a Barcellona, ci accoglie Bofill con il suo Hotel W, una vela di specchio. Avremmo dovuto stare una giornata e ci restano 1 ora e 48’, prima di andare in aeroporto. Il bus della nostra escursione organizzata, ci porta attraverso il traffico metropolitano, dalla banchina alla Sagrada Familia. Ma ne vediamo appena appena alcune torri, male e impossibili da fotografare (quando il bus si ferma al semaforo). E’ diversa da come l’ho vista nel 2011; per fortuna è tornato il nostro roaming europeo e leggo che 3 giorni fa hanno finalmente illuminato i nuovi pinnacoli (ne sono previsti 18), per la prima volta da quando si è aperto l’ultimo cantiere (nel 2010). Il progetto di Gaudì è notoriamente un’incompiuta, ma pare che entro il 2026 sarà completato il disegno originario, dopo 137 anni. Online c’è un breve filmato che mostra l’evoluzione del cantiere e l’esito finale: sapete come la penso sulla differenza tra web e reale, ma in questo caso mooolto più efficace la finzione. Mi porto a casa la sensazione che, questa volta, avrei visto volentieri la “nuova” Sagrada. E’ la Nemesi di Gaudì, chiaramente. Ci rituffiamo nel traffico per arrivare a Drassanes e da lì, 19 minuti a piedi, una scheggia di Rambla, fino al Teatro Liceu. Nemmeno una sangria o una tapa: passiamo di corsa l’Hotel Oriente, la Casa Quadros all’angolo con la Boqueria, l’accesso alla Plaza Mayor, le calli che porterebbero al Raval e al barrio Gotico. Lo so da me, perché la nostra gentile accompagnatrice NON ci dice nulla di tutto questo: ci ha sciorinato l’elenco di tutto quello che NON vedremo, sul bus. Finalmente andiamo in aeroporto, dove un charter che imbarca in orario, che arriva in orario a Malpensa, mi sembra un miracolo. A questo mondo tutto è relativo: abbiamo impiegato 48 ore per uno spostamento che si può fare in 2. D’ora in poi starò molto più attenta alla “vendetta delle cose”, che non avevo sperimentato. Di sicuro, per me, mai più Grandi Navi.