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Nel 1999, quando decisi di passare il Natale da sola a Glasgow, erano tutti stupiti: un amico disse che era come se avessi deciso di andare in vacanza a Biella, cioè in una città industriale in declino. Era esattamente così: cercavo un luogo non bello, una città normale, e soprattutto una alternativa a Biella dove avrei DOVUTO trascorrere il Natale con la mia famiglia di origine!  Allora evitavo queste ricorrenze in ogni modo pensabile. Inoltre, c’erano quattro città in Europa dove da sempre volevo andare, Glasgow, Odessa, Salonicco e Sarajevo. Perché? Per il suono del loro nome, perché non erano destinazioni turistiche famose, perché erano legate ad episodi affascinanti, come la Corazzata Potemkin, la sorella di Alessandro il Macedone, l’Assassino Gavrilo Princep. Ma soprattutto perché erano, in qualche modo, “ai confini” dell’Europa, la quale si stava omologando: Scozia, Ucraina, Macedonia, Bosnia. Popoli riottosi, indipendenti, fieri e forse diversi. Nel 1999 ero stata soltanto a Sarajevo: e meno male, perché subito dopo sarebbe scoppiata la Guerra dei Balcani, che la ha cambiata per sempre. Comperai il mio volo per Glasgow (cambio a Parigi, aeroporto che adoravo e speravo sempre di perdere le coincidenze) e prenotai al Cophtorn, un lussuosissimo albergo vittoriano che di lì a poco sarebbe stato chiuso per un totale refurbishment. Scoprii subito, appena arrivata, che in Scozia gli alberghi non funzionano la notte di Natale, Christmas Eve, abitudine assai bizzarra e che mi costrinse a prendere un treno per Edimburgo (dove non avevo assolutamente in programma di andare): ho girolato come un’idiota, trascinando il mio primo trolley, finché non trovai per puro caso una camera all’Old Waverly, altro strepitoso albergo vittoriano. Per quei tempi era fuori da ogni mio budget, ma non volevo dormire in Stazione, anche se era anche lei vittoriana. Dalle finestre dell’Old Waverly vedevo la statua di Sir Walter Scott quello di Ivanhoe. In quella stanza di Edimburgo ho incontrato per la prima volta John Rebus, il detective di Ian Rankin e me ne sono perdutamente innamorata. Mi risulta che Rankin abbia scritto anche una Guida, Rebus’s Scotland, quasi introvabile. 

Da Rankin ho imparato un sacco di parole inglesi di cui ignoravo il significato e in particolare che i Glaswegians chiamano la propria città Glasgo, senza la w.

ALLA SCOPERTA DI:

CRM AN ART LOVER

Non prendetemi per una farfallona amorosa, ma confesso che ero andata a Glasgow per un altro uomo, che si chiama Charles Rennie Mackintosh, CRM o Mack per gli intimi, ed è uno dei Maestri dell’Art Nouveau, oltre che fondatore della Glasgow School of Fine Arts. Per una frequentatrice delle Riviste The Studio, Ver Sacrum e Scena Illustrata, una cultrice del Fin de Siecle tra Ottocento e Novecento, ovunque si sia espresso, Mack è un mito assoluto. Come Van de Velde, William  Morris, Victor Horta, Gustav Klimt, Alphons Mucka, Koloman Moser, Emil Gallè, D’Aronco. 

Il primo giorno a Glasgow, era appena nevicato e ricordo con grande piacere di aver zampettato nella neve alta e immacolata, in un cimitero delizioso, adiacente alla Cattedrale di S. Mungo  Dalla Necropoli, si vedevano le ciminiere ancora fumanti della città industriale: aveva ragione il mio amico, ma come mi piaceva quel luogo! I miei scarponcini nuovissimi di camoscio nero, che chiamavo Gattini, subirono un fiero colpo: hanno portato fino alla fine segni indelebili della neve di San Mungo. Ma il contrasto tra l’eterna pace rurale e il ritmo industriale era perfetto. A quei tempi viaggiavo con la mia Olympus OM-10 e talvolta non avevo voglia di portarmela appresso, con tutti i suoi obiettivi: soprattutto se la temperatura era sottozero, perché armeggiare con i guanti mi faceva imbestialire. 

Il contrasto tra l’eterna pace rurale e il ritmo industriale era perfetto

Ho pochissime foto anche dei luoghi di Mack, la Glasgow School, la Willow Tea Room, la Lighthouse, la Hunterian Gallery dove è stata ricostruita l’abitazione sua e della moglie Mc Donald: ho comperato un sacco di riproduzioni e qualche libro, convinta che fossero molto meglio di quanto avrei potuto ottenere con la OM-10 e le dita gelate. Mi rendo conto che le mie immagini non rendono affatto giustizia a CRM e vi invito a guardare le miriadi offerte dal web, che vi fanno entrare nelle stanze, con dettaglio delle vetrate, dei caminetti, delle sedie, dei fregi, della luce speciale che fa “brillare” l’insieme. Un sito tra molti: quello della Rivista di arredo elledecor.com del 2018 per il 150° di CRM. Secondo me il culmine di Mack è la House for an Art Lover, costruita su suo progetto di inizio ‘900 soltanto a fine anni Ottanta, a Bellahouston Park, un po’ fuori dal centro di Glasgo. A Natale sono riuscita a raggiungerla, ma non ad entravi: ci sono tornata in estate, come vi dirò, quando ho partecipato ad un simposio del Moffat Centre, sulle Statistiche del Turismo. Mi sono trovata a mio agio tra la Finnieston Crane, storica gru del Porto di Glasgow e Bellahouston: sembrano due opposti ma sono due versioni della medesima anima glaswegian. In fondo l’arte applicata di Mack è connaturata all’industria, vuole essere la sua ancella. Si vede che Mack è ancora legato alle tradizioni, lavora a cavallo dei Secoli, in un marasma di cambiamenti: c’è del romantico nelle sue rose stilizzate, che forse, però, sono opera della moglie, la Mc Donald, un tocco femminino. Nel legno bianco dei suoi letti e nelle curve delle grandi seggiole, c’è qualcosa del neoclassico in versione nordica: lo stile che si chiama Gustavino (dal re di Svezia). Non posso non notare il contrasto tra questi interni bianco-perlacei e l’uso all’esterno di pietre locali massicce e scure, tipiche dei villaggi scozzesi, affumicati dal carbone. Mack mescola per tutta la vita ruvidità scozzese, garbo vittoriano e sintesi modernista: mi piace un sacco, come tutti gli ibridi che sperimentano, rifiutando sicure appartenenze. Glasgow si è impegnata molto per superare il declino industriale, da quando è stata Capitale Europea della Cultura nel 1990. Risale a quell’investimento The Lighthouse, il recupero di un edificio che Mack disegnò per il Glasgow Herald e che ora è un City Center. Ignoro come sia Glasgow nel 2021, dopo 30 anni dal suo lancio turistico e 20 anni dal mio pellegrinaggio, nei luoghi di Mack.

EDIMBURGh IS THE CAPITAL

Il giorno di Christmas Eve, l’ho detto, devo lasciare il Copthorne e a Glasgow non trovo alcun albergo aperto. Mi trasferisco nella Capitale e sono sicura che i miei amici tirerebbero un sospiro di sollievo: ad Edimburgo due giorni ci andrebbero anche loro, sembra turismo normale. La Capitale Scozzese è bella: qualche ragione il Turismo ce l’ha nel preferire le proprie destinazioni di successo. Anche lei è molto severa, ma diversamente da Glasgo: è piena di attrazioni canoniche, come Palazzi reali, Musei e cluster gastronomici (Rose Street). La strada clou di Edimburgo si chiana Canongate; poi c’è il Royal Mile che porta al Palazzo di Holyrood, avendo su un lato la collina che si chiama Sedia di Arturo. Diserto qualunque visita raccomandata, tranne il Museo Nazionale Scozzese che è appena stato ristrutturato (1988) da due architetti emuli di Stirling: vengo colpita da una lunula preistorica d’oro e dai 5 pezzi degli Lewis Chess.

Edimburgh is the Capital, but Glasgow has the capital

BEONIO BROCCHERINI, 1929

Uscendo da quella visita sono stata colta dal panico di diventare cieca: vedevo tutto completamente in ombra, quasi buio. Ci misi qualche secondo a realizzare che nel Grande Nord le giornate si oscurano verso le tre del pomeriggio! Non me ne ero accorta prima, forse perché mi rinchiudevo stanchissima in albergo, con John Rebus. Per questo si cena alle cinque, nei Pub, che poi smettono di servire pasti; mentre i ristoranti del Royal Mile e di Rose Street hanno orari per stranieri. Il giorno di Natale, nella Cattedrale di St. Giles mi trattengo per ben due Messe: cerimonie molto suggestive, durante le quali severi scozzesi con i loro kilt variopinti, girano a raccogliere le offerte su enormi vassoi di bronzo lavorato. Scruto per vedere se tra loro c’è Sean Connery. Sono andata anche a Teatro, ad Edimburgo, al Royal Lyceum, a vedere una replica  di Peter Pan: l’unico testo che mi sentivo di seguire, pur non capendo nulla, perché la storia la conosco a memoria. Barrie, l’autore di Peter Pan è scozzese, come la fortunata autrice di Harry Potter, la Rowling. Il numero 40 di Victoria Street è diventato celebre come sito della saga di Potter: nella realtà, è la sede del più bel negozio di pennelli e spazzole che abbia mai visitato,  Robert Cresser, (la bottega ha chiuso di recente!). Ma, la maggior parte del mio tempo nella Capitale la passo col mio nuovo amore Rebus, nel suo primo best seller Black and Blue.

LA LUCE DEL NORD

La Scozia nel 1999 è il mio primo incontro con il Nordeuropa se vogliamo escludere Londra e Berlino. Pertanto è la mia prima esperienza della notte prematura (non sono cieca, evviva!!), e delle cene a merenda. Rifletto che anche i Biellesi hanno questo rito delle merende cenoire, chissà se è la stessa anima industriosa dei Glaswegians! Soprattutto l’esperienza della luce esagerata che si vede, in fondo alle strade urbane come se la città finisse nel Nulla universale. L’ultimo giorno nella Capitale (poi torno al Copthorn di Glasgow che ha riaperto!) decido di seguire la luce in fondo al panorama, di vedere se c’è il Nulla. La lunghissima camminata attraversa il Dean Village, minuscolo quartiere di vecchi edifici, e mi porta fino a Leith, dove Edimburgo si affaccia sul Mare, tramite la bocca del Firth of Forth.

È molto fascinoso, per me, anche il Clydeport di Glasgow, con il quartiere di Govan, voluto da una filantropa, Lady Isabella.  Rientrando da questi giroli portuali, con un freddo addosso veramente insidioso, ho bevuto anche qualche whisky e, come una cretina, mi sono riempita la valigia di bottiglie di Oban e Llagavulin torbato (che è come bere catrame): prodotti che si trovavano in qualunque negozio italiano, e anche nei supermercati. Troverete parecchio whisky nei pub e negli appartamenti di John Rebus: per godere le sue atmosfere posso solo consigliarvi di leggerlo e di visitare i siti come ianrankin.netQuando prendo il treno per Aberdeen (che non era nei miei piani), attraverso una campagna insolita, verdissima ma gelida, che sembra un interminabile campo da golf. Infatti lo è. In centro c’è una insospettabile Art Gallery con un sacco di Maestri  d’arte europea e una sezione Artigianato ed Arti Applicate organizzato in ordine alfabetico, che trovo di rara intelligenza didattica.

Sono tornata a Glasgow l’anno successivo, estate 2000, per un Convegno sulle Statistiche del Turismo, ospite del Moffat Centre, alloggiata al Campus della Caledonian University; mangiavo ai vari Light Lunch e Gala Dinner, offerti in discreti Palazzi che imitano il Rinascimento Italiano. È confortante che, quando vogliono essere veramente eleganti, gli Europei copiano dagli Italiani. Un giorno abbiamo pranzato su un prato degno del Golf sotto tende tipo Camelot, sulle quali sventolavano pazzamente bandierine da cavalieri di Re Artù. Neanche lì, ho visto Sean Connery: mi dicono non si sia mai interessato di Statistica. La luce era quella che ormai conoscevo, che esplode là in fondo, verso Clydeport e il Firth of Forth, come se oltre ci fosse il Nulla.

 

IL BUIO DEL NORD

21 anni dopo, torno a Glasgow col romanzo Shuggie Bain di Stuart, vincitore di molti Prize. La vera Glasgow post-industriale si trova in queste pagine, nelle casette di Germiston dove io non sono mai arrivata, pur esplorando il Clyde. Ho visitato un Tenement (case di appartamenti per lavoratori ) al 145 di Buccleuch Street, tutto edulcorato dalla patina museale: non ho idea di cosa possa essere il luogo dove si svolge la vita di Shuggie e sua madre Agnes, ai tempi di Margareth Tatcher. Non ho visto nulla della straziante Glasgo di Stuart: povertà senza luce, alcool, bullismo, ordinaria violenza su donne e ragazzini, sussidi e sale Bingo. Racconto abilissimo, di tristezza irredimibile: c’è un modo di vedere che è
proprio della letteratura.