Top
  >  Viaggio con i libri   >  GENOVA

[…] quell’espressione un po’ così

che abbiamo noi prima di andare a Genova

[…] Macaja, scimmia di luce e di follia,

foschia, pesci, Africa.

PAOLO CONTE, GENOVA PER NOI

GENOVA D’ANTAN

Come non citare Paolo Conte? Che in qualche strofa spiega quasi tutto. E come non sentire De Andrè, il suo LP Creuza de’ ma, meraviglioso, in una lingua mezzo ligure e mezzo araba? Ero stata a Genova in gita scolastica, al Ginnasio: “mi raccomando non andate a Prè” (che ci sono le puttane) e noi subito a Prè adolescenti disobbedienti. Ero transitata per Genova Brignole e Principe chissà quante volte, andando al mare a Ponente (Varigotti, Noli, Latte); ero passata sull’autostrada che la trapassa (magari sul Ponte Morandi) e l’avevo vista laggiù, incrocio di traffici, strade, ferrovie e il Porto. Mai mi era venuta l’idea di una città da visitare. Così, nel 2018, mentre Stefano era a Parma (Giroli Parma), ho preso il treno, ho prenotato un hotel a Brignole, senza badare a spese e ho detto: ecco, adesso è ora di visitare Genova. Tra il 1970 e il 2018, mezzo secolo, Genova aveva cambiato tutto: era cominciato con la crisi industriale, poi c’era stato il tentativo di resurrezione con le Colombiadi nel 1992, per i 500 anni dalla scoperta dell’America. Ci eravamo passati con Stefano, diretti in Spagna, e avevamo cenato sul vecchio porto che era diventato nuovissimo, con le strutture di Renzo Piano e i locali di tendenza. Conservo solo due scatti: una chiesa a righe bianche e nere, forse S.Matteo e le vetrine di Pietro Romanengo fu Stefano confetteria d’antan che ricordavo dal mio ginnasio. Anche perché le famiglie commerciali di Genova, Costa, Romanengo e Pareto, facevano villeggiatura a Cogne, con i miei nonni, al Bellevue (Girolo Cogne)

ALLA SCOPERTA DI:

GENOVA SORPRESA

Con queste premesse di ignoranza e di superficialità, Genova nel 2018 non poteva che sorprendermi. Col proprio paesaggio, libero verso il Mare e inchiavardato dai cavalcavia, verso terra, con le zone popolane attorno al Pré, con il lusso dei Rolli, con un affaccio portuale modaiolo e generoso di attrazioni (a cominciare dall’Acquario, famosissimo), ristori e architetture firmate. Grazie al mio hotel, devo percorrerla lungamente a piedi, attraversando quartieri non (ancora) turistici, come è diventata la Strada dei Rolli rolliestradenuove.it) Esistono, oggi, i Rolli Days, per visitare i 42 Palazzi, dove venivano ospitati, a spese della Città, ambasciatori e commercianti, nella Zena del Cinquecento. Li ha riprodotti in disegno, tutti, Pietro Paolo Rubens, mica noccioline. Dove ho l’albergo, a Levante, sono isolati e isolati di edifici abitativi otto-novecenteschi, molti dei quali decorati ed eleganti; restano gli interventi fascisti, razionalisti come Piazza Vittoria. Invece, la zona attorno al Duomo ha mantenuto caratteri “liguri”, con molti carrugi, case alte e colorate come in Riviera, botteghe che insieme fanno suq mediterraneo (via S.Luca?). Scopro (dopo averli vissuti in qualunque casa biellese, veneziana, fiorentina, milanese per tutti gli anni Settanta) che i mezzeri con l’Albero della Vita (di origine indiana) sono una specialità genovese, dal XIV secolo in avanti, rivara1802.it. Al Museo Spinola ce ne sono di antichi e bellissimi; insieme a porcellane eleganti. Poi c’è l’Ecce Homo di Antonello da Messina, imperdibile e un Bambino di Van Dyck, sorprendente. Passeggiare lungo la Strada dei Rolli (via Garibaldi) è una sorpresa continua: bei palazzi, bei cortili, belle terrazze, belle porte e finestre, bei loggiati e belle scale e, lussuose botteghe (gli americani girolano con shopping-bag di Gucci), bar e caffè. Io, però, scopro e prediligo Cavo una liquoreria d’antan, botteghestorichedigenova.it tra Duomo e Porto Vecchio (via Fossatello),  su cui non sembra acceso il faro del turismo. Il Duomo di San Lorenzo è bello, bello il Palazzo Ducale; larga e solare la Piazza De Ferrari; bella la pavimentazione delle gallerie di via XX Settembre, che mi portano dal centro verso l’hotel, nella Genova “moderna” (Piazza Vittoria, Fiera, Brignole). 

MA GENOVA È UN PORTO

Seduta da Cavo, mi leggo Il Secolo XIX e il libro di Maggiani Mi sono perso a Genova,  una Guida con foto dell’autore. Cito: “Genova non si può contenere in un solo sguardo”. Proprio così: cambia talmente tanto nelle sue diverse immagini, che è un compendio, un’antologia di Mar Ligure, forse di Mediterraneo. Ci sono gli edifici gotici a righe (come a Portovenere e Lerici), ci sono i moli, le banchine, le ciminiere, le gru (come a Savona e Sestri), ci sono le case alte e colorate che precipitano a mare (come alle 5 Terre, Girolo Vernazza), ci sono le ville finesecolo con le palme in giardino (come a Sanremo, Ospedaletti, Bordighera), qualche decoro di modernismo nostrano da richiamare Gaudì (Girolo Barcellona 1). Arrivo a piedi fino a Boccadasse, Portofino proletaria. C’è persino un “grattacielo” (fino al 1954 il più alto d’Italia!) di Marcello Piacentini (1940), razionalismo pulito, in cima alla salita di Porta Soprana: case rosse e gialle come a Camogli, due torri medievali che contrastano con la torre fascista, Genova guazzabuglio, suq (non lontano c’è lo scavo di un anfiteatro romano). E poi c’è Genova che è solo lei, una grande città meticcia: i vicoli retroportuali Piazza Caricamento, via Del Campo, via Roma; piazzette inattese, S.Maria della Vigna e S.Pietro ai Banchi: ci vedo uno spettacolo teatrale d’avanguardia sipario.it dove canta una talentuosa Esmeralda Sciascia, che qui scopro. Di Genova conosco il Teatro della Tosse e il Teatro Nazionale, dove insegnava la Melato: ho fatto un corso di uso della voce, a Mira, dove insegnavano due discepoli Patrizia Pasqui e Mario Spallino (Teatri di Guerra). Piazza Sarzano (cantata nel 1914 dal poeta Dino Campana) è uno stradone allargato, che potrebbe essere al Panier (Girolo Marsiglia): dalle finestre di un Caffè si vedono le banchine, le gru, i vecchi magazzini OMSA e San Giorgio al Porto, non ancora riforbiti. Ho parecchie foto impietose del centro, dove il barocco affrescato di Palazzo S. Giorgio è tagliato dalla Sopraelevata; la vista del mare contaminata da ringhiere e tralicci; qualcuno ha cercato di abbellire i piloni d’acciaio facendoli diventare un tucano azzurro e arancione, ma nulla salva Genova dalle penetrazioni d’asfalto, di strade “non sue”, che passano-e-vanno. Tutto molto violento e irredimibile, un’armatura che non ha nulla della crinolina, semmai è una gabbia ortopedica, che storpia invece di curare.  Ricordo una cena dalle parti di Piazza Vittoria, passato il Bisagno, (con una pinsa) ed una Bavarese di Mozzarella più che ottima, invenzione dello chef d’hotel: niente di veramente genovese o ligure, chissà perché.

[…] cose da beive, cose da mangià

frittua de pignei, giancu de portufin

[…] bacan da corda marsa d’aegua e de sà.

DE ANDRÈ, CREUZA DE MÀ  

Quella parte di città, alle spalle della Fiera, mi ricorda Barceloneta (Girolo Barcellona), posto da marinari e reti, ancora. Andando a piedi fino a Boccadasse, passo anche il Lido di Albaro coi suoi ombrelloni, fitti: c’è uno stabilimento a forma di transatlantico (giurerei che è fascista). Genova non si contiene con un solo sguardo. Prossima visita, scelgo un hotel a Porta Principe e girolo la Genova di Ponente, vado a Palazzo Reale, alle gallerie di Palazzo Bianco e Palazzo Rosso, compero un mezzero.