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RITORNI A FERRARA

Sapete che lagirolona è la mia palestra di Pilates: tiene in allenamento le mie sinapsi. Sono tornata a Ferrara, Fràra tante volte, bastava un pretesto. Una sera, (anni ‘90?), avevo persino convinto Stefano ad andare ad un Concerto di Maurizio Pollini, che non sentivo dal vivo dal 1976, alla Fenice: era un matinée, aperitivo al Nazionale, Pollini, casa a Dolo (in auto, 1 h, meno che andare alla Fenice!). Quelli che io considero lussi della vita. Al Comunale di Ferrara, negli anni ‘80, aveva stabilito residenza l’Orchestra dei Giovani Europei, voluta da Abbado a cui poi sarebbe stato intitolato il Teatro ferrarese. Leggo che l’Orchestra è tornata a Ferrara, da Londra (2019?). Nel medesimo periodo era nato il Festival dei Buskers, tutta un’altra musica, segno di sperimentazione culturale in una cittadina “di provincia”, che per indole non vuole troppe ribalte, ma essere vivace il giusto ferrarabusker.com e scegliersi i propri visitatori.  Adesso il Festival degli artisti di strada è alla 36° edizione, imitato in ogni dove. E poi c’era il Palio, riesumato: non paragonabile a Siena, ma era affrescato niente meno che nelle Sale dei Mesi di Schifanoia da Ercole De Roberti, un pedigree di tutto rispetto. Tra la mia tesi del 1977 e i miei lavori per Carife del 1995, avevo trascurato un po’ Fràra, ma lei si era data da fare. Lo stesso è avvenuto, nel nuovo Millennio: io sono mancata, ma l’ho ritrovata in gran forma, più bella che prima, dopo terremoto e pandemia. E, le devo più di una visita, a prescindere dai consigli di Sgarbi. La strana coppia Sgarbi-Franceschini (non troppo strana nell’amalgama ferrarese) ha promosso il MEIS nuovo Museo dedicato all’ebraismo e alla Shoah, in via Piangipane: vicino al mio comodo parcheggio ex MOF. 

ALLA SCOPERTA DI:

RITORNO A SCHIFANOIA

Grande è la soddisfazione della Girolona, quando portando Stefano dove sono stata, lui dice che ho fatto molto bene (girolo Cadini del Mis). Così succede con il Rinascimento a Ferrara (girolo Ferrara 1): io lo aspetto visitando il Museo Opera del Duomo (Chiesa di S.Romano) e quando lo ritrovo, al Bar Ducale, mi da ragione sulla Mostra: bella, ricca, da quello che promette e di più. È come se fossimo stupiti, a 70 anni, di avere ancora scoperte da fare nel campo dell’arte italiana, che abbiamo frequentato tutta la vita. Del resto, è una scoperta anche il Pasticcio alla Ferrarese: maccheroni con ragù bianco, contenuti in una cupola di sfoglia. Dovrebbe essere pasta frolla dolce (ricetta estense), ma per avvicinarsi al palato contemporaneo il Bar Ducale fa due versioni. Al Museo del Duomo, non mi entusiasmo per l’annunciazione di Cosme Tura, non fosse per uno scoiattolo che si gusta la sua ghianda, sopra il tirante di un arco, lassù, contro il paesaggio. Notiamo, con Stefano, che la cura dei ferraresi per gli sfondi, ciò che si vede oltre portici e finestre, in lontananza, li avvicina ai pittori veneti, più che ai toscani. Certi dettagli, certe scenette e figurine secondarie (piccole perché distanti) sono addirittura più eleganti del primo piano: donne alle balaustre, cavalieri in viaggio,  imbarcazioni su mari e fiumi, banchetti. È così anche nei magnifici arazzi, fiamminghi factum ferrariae, su cartoni di Tissi detto il Garofalo. Poi ci sono frammenti di pulpito e porta della Cattedrale, bassorilievi ravennati e i “soliti” mesi, con i loro differenti lavori (un tema ricorrente). Notate le calzature dell’agricoltore, e i grappoli d’uva stilizzati: segni essenziali. Insieme raggiungiamo Schifanoia: delizia estense, dedicata a ricevimenti e svaghi, quasi sui bastioni delle Mura. Anche qui un allestimento nuovo di zecca (post terremoto), che conduce, sala dopo sala, agli stupefacenti affreschi detti dei Mesi, trionfo di Francesco Cossa (che rasenta Mantegna) e di Ercole de Roberti. Luogo magico, assolutamente da vedere, immersione terapeutica. Per Stefano, fresco della Mostra e della Galleria dei Diamanti, un culmine di Rinascimento Ferrarese, da sballo. E io devo confessare: nei miei anni ferraresi, forse, non ero entrata a Schifanoia (vergogna). 

SANT’ANTONIO IN POLESINE

Nemmeno fin qui ero mai arrivata, nonostante la mia predilezione per le zone antiche, prospicienti il Ramo del Po di Volano (via Ghiara, via Ripagrande, via Darsena). Leggo che il Convento (suore Benedettine di stretta clausura) è sorto su un’isola del Po: più delta di così non è possibile. E siamo ancora in pieno centro, intra moenia. Questo spiega un’anima forte di Fràra, polesana, appunto. Camminando tra Schifanoia (delizia suburbana) e Sant’Antonio, si attraversa una città regolare, bassa, omogenea di edilizia e colori: non il cotto rosso di Rossetti (che sembra essersi spento), ma un laterizio sabbioso (via Mazzini si chiamava via dei Sabbioni, per qualcosa). L’ora è silenziosa (le 16.00), sembra che le automobili non arrivino da queste parti, pedoni e residenti come le figurine degli sfondi. Quando si varca la porta del Monastero, nel cortile antistante la Chiesa pubblica, si ha l’impressione di disturbare e il dubbio, sarà vero che queste sono le ore di visita? Infatti suoniamo un campanello, di fianco ad un portone che sembra blindato, come di carcere. Al citofono Suor Gemma chiede di dove veniamo, una voce flebile, dice che sì ora sblocca la porta: sembra rassegnata, una delle incombenze della sua giornata ora-et-labora. Visita quanto mai singolare, con una gentilissima volontaria, credente quanto le suore, che ci accompagna per quasi mezz’ora in un accurato e accorato racconto delle tre cappelle affrescate: da giotteschi e più tarde, con una bella annunciazione del Panetta. Trova soddisfazione nelle interlocuzioni estetiche di Stefano, si sente compresa; l’espressività dei volti, i panneggi delle vesti, l’iconografia dei vangeli apocrifi (Cristo che sale sulla croce da sé, portandosi la scala a pioli). Siamo stupefatti di questo nostro Paese delle Meraviglie, che ne ha e ne ha, e ne ha ancora. Le sorelle sono di stretta clausura, che si dice papale; tra i loro lavori c’è l’affresco di icone (moderne) e la produzione di aloe vera, in vaso, butti delle loro piante centenarie. Non oso chiedere se posso fotografare i giotteschi, i cossiani e i costoloni delle volte, affrescati a grottesche, con un ramaggio originale e bellissimo; ho trovato il blog iviaggidiraffaella.blogspot.com. dove le opere del Coro delle Monache sono ampiamente fotografate. Uscendo da S.Antonio, ci ritroviamo sui Bastioni (S.Paolo) e camminiamo nell’erba appena tagliata, fino alla Darsena, verso l’ex MOF: c’è un interessante cantiere Casa dell’Ortolano, fondi del dopo terremoto. Penso che dovrei sperimentare i parcheggi vicino a Schifanoia (sono dentro le Mura e non fuori). 

FRARA CITTÀ DEL KARMA

Sarei dovuta andare a Firenze, ma il Karma è il Karma. Mentre sono a Padova per fare il biglietto di Italo, gli altoparlanti avvisano di uno svio (deragliamento addolcito?) che paralizza il tratto Bologna Firenze, ogni alta velocità cancellata. I Flixbus si saturano, tempo di un tweet. La Girolona, immediatamente, decide uno svio su Fràra: mi sono rimaste alcune Chiese da vedere e Casa Romei. Voglio cercare una porta, fotografata in bianco e nero negli anni ‘80, negativo perduto. Ed eccomi per la terza volta in due settimane a fare colazione da Dario, vicino a San Paolo (chiusa per restauri!), dove ritrovo la mia porta. È la prima volta che in un cantiere vedo la scritta Woman at work (sempre avanti, gli Emiliani). Mi gratifico con l’acquisto di due spille, al bookshop del Teatro, per andare in pari col risparmio di Italo (oggi funzionano solo i treni locali, che costano un quarto). In Corso Giovecca vedo una borsetta di Balenciaga da 2.453 euro che fa sembrare i treni AV una cosa da homeless. Trovo chiusi anche S.Francesco, San Domenico, Santo Stefano e il Corpus Domini: tra terremoto e furti nelle chiese, questo lato del nostro Bel Paese è diventato davvero impraticabile. Mi consolo con l’Ariostea, piazza che amo, la sua atmosfera da corte rurale della Bonifica. Aperitivo sotto i portici del Bevilacqua, acquisto dei cappellacci di zucca alla Manifattura Alimentare. Colgo addirittura dei fiori di grespino lungo un vicolo carraio, appena fuori dai portici di Palazzo Rondinelli: un vero idillio campestre dentro le mura. Sono di nuovo nella Ferrara silente e sospesa, come scrivono gli artisti. Anche Santa Maria in Vado (su un guado del Po) è un “monastero” rurale. La chiesa è vasta e scurissima, molto barocca; ha una cappella del miracolo del sangue (quello stesso di Bolsena) e una annunciazione di Panetta. Quando esco, c’è il diluvio universale, improvviso. Riparo a Casa Romei, non proprio vicinissima. Non raggiunge le vette di Schifanoia e Diamanti, ma è gradevole: sala delle Sibille, giardino intimo, studiolo affrescato, dove si fronteggiano Europa ed Africa. Ci sono affreschi strappati da varie Chiese scomparse, tra cui una Crocifissione oggi completata della parte mancante. E vanno dette due cose: quanta roba d’arte italiana sta nelle collezioni private (legittimamente o no), come le tre donne sotto la croce, di intensa bellezza. Quanto valore aggiungono all’arte le nuove tecnologie, come questa proiezione delle tre donne, dov’erano e com’erano a completamento di un’opera monca (e molto rovinata nelle parti rimaste). Bagnandomi parecchio, raggiungo il Duomo e cerco di vedere il film sulla scoperta dei capitelli (Girolo Ferrara 1). Ma il Karma è Karma e alla terza inquadratura, appena apparso un capitello primitivo sotto il dorato barocco, un blackout totale rabbuia il Duomo. Mi consolo con un gelato amarena croccante alla storica Gelateria Romana. Poi, prima del prossimo acquazzone, scarpino veloce verso la stazione. I treni sulla tratta Bologna Firenze hanno ancora ritardi grotteschi e molte Frecce sfrecciano senza fermarsi a Ferrara, vuote. In stazione compero un libretto Storia veridica di Ferrara di Carlo Bassi e quando arrivo a Padova sono quasi alla fine, epoca fascista. Vi avevo detto di Balbo e del Podestà ebreo Ravenna: oggi ho sostato sotto la Torre Vittoria (voluta da Balbo), la Casa del  Fascio (inaugurata da Balbo) e sono entrata alle Poste,  che meriterebbero una mise en valeur . Mi colpiscono dei giganteschi vasi di vetro pulegoso (trascurati dentro due nicchie), che forse erano lampade. Scoprirò che sono di Napoleone Martinuzzi, artista veneziano, attivo ad inizio XX, a Murano. Tra tante corbellate identitarie, perché questo Governo non si fregia di una vasta campagna di restauri del Novecento urbano? 

È la prima volta che in un cantiere vedo la scritta Woman at work (sempre avanti, gli Emiliani)