FERMO E GRADARA
LE MARCHE, DI NUOVO
Finalmente, nel 2023, possiamo tornare ai Tornei di Scacchi, si gioca senza mascherina. Dopo Parma, diventata ormai una abitudine, tocca a Fermo: ci pare di esserci stati, nei nostri giroli marchigiani e tra i due mari (Girolo Tra due mari), ma ricordiamo poco e niente, forse la confondiamo con Camerino, per via delle Università. Apriamo il girolo con un ottimo pranzo a La Quinta di Fano, ristorante che non delude. L’hotel di Fermo è appena fuori la porta della Piazza del popolo, che diventa il fulcro del nostro soggiorno. Entrandoci, capiamo che non siamo mai stati qui, perché sarebbe impossibile dimenticarla. Un vero scenario teatrale: tutti gli edifici sono in sintonia, senza stonature di secoli e di stili. Sui lati brevi la Porta e il Palazzo degli Studi; sui i lati lunghi i portici dei palazzi civili, mattoni chiari, essenziali, nessun fronzoli (c’è un negozio Liberty, pregevole). In questo salotto, si concentra la vita sociale della cittadina (prosegue in via Cavour, scemando); Fermo sembra piccola, arroccata a gradoni successivi sul colle, fino al culmine del Duomo e dei Giardini di Girfalco. Invece, girolandola a piedi per tre giorni, si cammina parecchio e si trovano sempre altre strade medioevali, viottoli ripidi, facciate severe, portoni, archi, balconi; parecchie chiese che portano segni del terremoto. Anche a Fermo ci sono edifici chiusi, portali messi in sicurezza con travi e zeppe; impalcature in tubi innocenti: interventi d’emergenza che non alludono a cantieri e rischiano di diventare perpetui. Girolando pigramente per Fermo, capisco perché non la ricordavamo: macinando chilometri nella pancia d’Italia, facevamo soste brevi, il tempo di un caffè e di sgranchirsi le gambe. Deve essere andata così: abbiamo parcheggiato fuori dalle mura (dalle parti di San Francesco?) e affrontato una strada in salita, nel torrido agostano, cercando un caffè. Molte delle vie di Fermo non hanno negozi, non sono animate: solo mattoni severi, scuri accostati, nessuno in giro. Così, non siamo arrivati fino alla Piazza salotto e ci è rimasto un ricordo con-fuso con altre cittadine simili, viste en passant. Tornare, stare, girolare con calma è stato sorprendente. Abbiamo anche scoperto un buon ristorante Da Emilio, suggerito da amabili fermani, conosciuti a La Caramella, durante l’aperitivo. Amabile anche la ragazza di MyPizza dove ci trovavamo a pranzo, tra una partita di scacchi e un’altra: focacce col ciauscolo, la galantina, le acciughe e il limone candito, altre leccornie che non ti aspetti nel fast-food. Amabile anche la ragazza che mi guida nelle Cisterne Romane, insospettabili. Non riesco a definire amabile Sgarbi, ma gli riconosco di aver patrocinato una Mostra sui Pittori della Realtà, sconosciuti ai più: Annigoni, Sciltian e i fratelli Bueno, partecipi di un movimento breve (1947-1949), a me del tutto sconosciuto (Pinacoteca Civica). Fermo mi mette voglia di rifare Giroli d’antan, nel sottopancia italico: Orvietano, Viterbese, Abruzzo. Paesaggi e siti fuori da grandi itinerari, per fortuna?
ALLA SCOPERTA DI:
LA NEVE NON VUOL ESSERE FOTOGRAFATA
Dall’hotel e anche dalla casa che Ale e Alfredo hanno preso con AirB&B (Palazzo nobiliare, visitabile col FAI), si vedono i Monti Sibillini, innevati. È un paesaggio bellissimo, molto Marchigiano: colline a perdita d’occhio, con qualche spolverata bianca e, all’orizzonte, la catena morbida che chiude l’orizzonte. Io, non sono brava a fotografare panorami: in primo luogo perché uso gli zoom e mi piacciono i dettagli, da avvicinare; in secondo luogo perché non so gestire la luminosità aperta e anche quando azzecco tutto (oppure cedo all’automatico “panorama”), rimane una specie di luccicore ineliminabile. Non va via né con la funzione “contrasto” né con quella “punto di bianco”. Mi convinco, alla fine, che la neve NON vuole essere fotografata e riverbera, peggio del mare, aleggia sullo schermo del computer e nelle stampe. Ale, io e il cane Nespola, che non giochiamo a scacchi, ce ne andiamo fino a San Ginesio, in gita. Il paese è commovente, con tutti i suoi palazzi messi in sicurezza e chiusi, a cominciare alla chiesa in piazza, unico gotico fiorito delle Marche. Ci sono stata (lo dicono i cuoricini sulla Guida rapida del TCI), ma non ricordavo nulla e siccome era estate non c’era questo sfondo speciale dei Sibillini innevati. Qui i danni del Terremoto sono tanto evidenti, nella loro permanenza; ci sono anche delle “casette” a schiera nuove, nella parte bassa, dove probabilmente è andata ad abitare (ormai definitivamente) la popolazione del centro antico. Ci fa un po’ malinconia, ma per fortuna Nespola è felice della neve, intonsa, in un parco giochi senza bambini. Facciamo colazione nel bar in piazza; poche persone (maschi) stanno chiacchierando fuori dalla Tabaccheria. Il giorno dopo andiamo a Porto San Giorgio, che è a 15 minuti da Fermo: anche se il tempo è grigio, la spiaggia ha l’orizzonte aperto. Nespola è felice, distratta dall’attrazione dell’acqua soltanto da altri cani a passeggio, con i quali intreccia corse sfrenate. Tornando all’automobile, ci addentriamo in una parte del paese che dice di essere la zona dei magazzini del pesce: in effetti è molto più gradevole dell’edilizia qualunque, sul lungomare. Sono tutte così queste stazioni balneari, colpa grave del nostro turismo di massa. Magari non c’erano pinete da sradicare o insenature panoramiche da violare, solo la piatta marina e i moli per la pesca: ma, oggi, ci piacerebbe tanto passeggiare lungomare, senza basse muraglie di qualità mediocre, ambo i lati, alberghi, appartamenti e stabilimenti balneari. Pezzi di Lego, che sembrano sempre precari, impossibili da nobilitare: tutto il parlare che si fa sui bonus edilizi e sulle concessioni balneari, nessuno pensa ad un disegno urbano? Io resto una signora del Novecento, con vecchi ideali sui beni e la spesa pubblica.
È un paesaggio bellissimo, molto Marchigiano: colline a perdita d’occhio, con qualche spolverata bianca e, all’orizzonte, la catena morbida che chiude l’orizzonte
GRADARA
Sapete che da piccola venivo al mare sull’Adriatico, a Bellaria, non molto diversa da qui. Per fortuna mia mamma ci faceva girolare intorno e ci portava a San Leo, Sant’Arcangelo, Gradara. Così facciamo una piccola deviazione per la Rocca di Paolo-e-Francesca (si dice), premiata da un sito spettacolare, più di quanto non ricordassi. Devono essere stati fatti investimenti cospicui, per confezionare un vero e proprio Grande Sito di attrazione. Leggo che sono stati i proprietari privati ad avviare i recuperi, ad inizio ‘900, ma negli anni ‘60 si visitava soltanto la camera di Francesca da Rimini: con finestra e botola galeotte, di dantesca evocazione. Adesso c’è un percorso completo, che si arricchisce dei camminamenti esterni (quasi un chilometro), lungo le Mura esterne della Rocca (le cinte sono due, castello e cittadella). Visita più che soddisfacente e mia grande sorpresa nel ritrovare un luogo dell’infanzia, non rimpicciolito o deludente come capita, non polveroso e desueto, ma al contrario “magnificato”. Girolona ghiottona, poi, mi compiaccio di una bottega artigianale che farcisce a vista focaccia con porchetta ed erba spaccasassi (finocchietto selvatico?) e che produce la Lonzetta di Fico, un salamino dolce di tradizione marchigiana. Rifletto che Gradara potrebbe essere in Francia, tanta la cura messa nella manutenzione e nell’accueil, compresi gli eccessi del neo-medioevale, che a cavallo di ‘800 e ‘900, si è applicato ai castelli (che io chiamo fintarelli, per questo). Si cita sempre la ricostruzione di Carcassonne, opera primaria di Viollet-le-Duc, ma anche il nostro Camillo Boito non ha scherzato con le ricostruzioni rivisitate. E poi ci sono stati i veri fintarelli, fatti costruire ex novo “per amor dell’antico”, da personaggi abbienti e appassionati (come Gualino, per dire un biellese) o da promotori urbani, come nel Castello del Valentino, sulle rive del Po. Gradara è un ibrido ma di alto fascino: preferisco questo reloaded al degrado, basta sapere che visitiamo un “antico al cubo”.