EGITTO (2)
LA QUEEN ISIS
È giusto dedicare qualche riga alla Queen Isis che ci ha portati da Luxor ad Aswan e ritorno: la nostra nave da crociera. Assomiglia vagamente al Karnak, dove si svolge Poirot sul Nilo (il film), ma senza alcun lusso o rifinitura d’antan: è come una stecca di appartamenti a due piani, in una periferia urbana. Quando scendiamo o ritorniamo a bordo, spesso dobbiamo attraversare altre navi come la nostra, perché lungo le rive si parcheggia in tripla fila. Il Nilo è trafficato di crociere turistiche. Le camere con bagno agevoli e pulite; si mangia continuamente (spuntini notturni, colazioni, merende, the nel deserto, aperitivi) e ci sono molte proposte di svago organizzato. Una sera partecipiamo ad una festa in costume, tutti camuffati con le gellaba acquistate nei souk, le mille sciarpe con sonagli e no, copricapi di perle. Tutti, tranne Lord Carnarvon che venne elegante, come di solito, nel suo ruolo di egittologo. Stefano, nonostante la Egle, sua madre, abbia creato costumi storici di rara bellezza per il Carnevale Veneziano, ha smesso di andare in maschera dopo i 5 anni (c’è una sua foto meravigliosa, travestito da nobiluomo del ‘700). Carnevale e Capodanno, giammai. Le molte ore in cui la Queen Isis naviga, sul placido Nilo, noi dormiamo, chiacchieriamo, fotografiamo. Tra Edfu e Aswan, il fiume diventa pian piano più largo e ammorbidito da rive coltivate e palmeti, verso le cateratte: cominciano a navigare intorno a noi le splendide feluche, vele gigantesche che si confondono con le palme e i tralicci della luce. Talvolta sembrano sorgere dai prati, dove fanno capolino turbanti dei contadini. In vista di Aswan e dell’allargamento del Lago Nasser, le dune sono più imponenti e morbide, dorate o argentate, si mescolano a isole di verzura e acqua blu mercurio. Fotografo anche qualche bell’edificio che potrebbe essere nubiano (archi e coperture e cupola); gruppi di dromedari sfocati contro la sabbia, popolo colorato con prevalenza di azzurri.
ALLA SCOPERTA DI:
KOM OMBO PHILE EDFU
Vi ho detto che i tre siti che mi hanno più colpito, della crociera sul Nilo, sono i tre templi minori. Una notte, lasciamo la Queen Isis, su piccole barche, quasi scialuppe: sul fiume è buio pesto, qualcuno nomina anche i coccodrilli. A poppa sta seduto immobile un indigeno, col turbante, una delle “comparse” che animano la scena. Sarà l’approccio notturno, sarà l’apparizione del tempio illuminatissimo e perciò dorato, nel buio spesso che si capisce possa definirsi “come una coperta”. È Philae, spostata anche lei per salvarla dalla diga e messa in isola. Il Tempio è preziosissimo e decorato centimetro per centimetro in un’orgia di bassorilievi. Donne sinuose, braccia danzanti, mani intrecciate, copricapi affusolati, seni puntuti e quel solo unico occhio di profilo, quanto mai malioso. Ci sono anche volti frontali, tondeggianti, insoliti: i capelli stilizzati come piccole ali che allungano il viso sopra le orecchie e quelle labbra piene e perfette, con il bordo disegnato, la pietra come la matita di un truccatore. Saranno uomini o donne? Sull’isola ci sono anche dei monumenti di epoca romana, belli. Edfu e Kom Ombo sono invece sulle rive e ci andiamo di giorno: meraviglia ormai “solita”. È nella escursione all’isola Orto Botanico, detta di Kirchner, che indossiamo giubbotti galleggianti, anche se abbiamo giurato di saper nuotare. In una foto fatta da mio cognato, io e la Ceta confabuliamo, in un trionfo di arancione (giubbotti, camicie, sciarpe, zaini) colore che decisamente è la nostra aura egizia. Niente a che fare coi toni della pietra sabbiosa, di Lord Carnarvon che, neppure indossando il salvagente, perde l’allure da gentleman fine secolo (Ottocento).
labbra piene e perfette, con il bordo disegnato, la pietra come la matita di un truccatore
IL MERCATO DI ASWAN
Sapete quanto ho desiderato trovare un mercato locale in Uruguay (Girolo Uruguay) e quanto in Madagascar (Giroli Madagascar), senza alcuna soddisfazione. Ad Aswan (abbiamo girolato anche a Luxor, di sera), il mercato è gigantesco e molto raccomandato ai visitatori; la nostra Guida ci porta anche in una fabbrica di profumi ed essenze, dove tentano di venderci qualunque cosa per curare qualunque cosa. Io prediligo le essenze di legni e di incensi, spezie come cardamomo, calamo, ginepro; mi piacciono le resine e la mirra. Eppure non riesco a comperare nulla, se non balsamo di eucalipto per la tosse. Solo nell’estate del 2010, mesi dopo la crociera in Egitto, girolerò per i mercati etnici di Londra, accorgendomi che sono abbastanza egiziani, africani, mediterranei. Quello di Aswan mi ricorda Nazareth (Girolo Nazrath), non somiglia né ad Atene né ad Istanbul. Ci sono tantissime botteghe alimentari, con uno sfoggio di spezie senza pari: alcune esposte nei sacchi, altre nelle ceste, altre rigorosamente composte in piramidi (!). Comperiamo anche delle giallaba e tantissime sciarpe, non importa che promettano senza mantenerlo di essere pashmina, che forse con l’Egitto c’entra poco. Alcune, con l’aura arancione, sono ricamate (forse a macchina, ma belle); ricordo di averle indossate per anni a Venezia, dove una assessora onorevole, sempre elegantissima, si complimentò per il mio look molto etnico. In questi mercati si comprerebbe di tutto, estasiati dai colori: tutti insieme sono bellissimi, meno quando li separi. Le stoffe non erano mai granchè, per noi ragazze biellesi, ma erano molto etniche. La cosa più fascinosa, in ogni modo, erano le persone che popolavano il mercato, sicuramente turistico, ma anche no a giudicare dalla coda che c’era davanti ad alcune botteghe come quelle della carne. Mia sorella, come al solito, acquistò bauli di cose, con signorilità compulsiva. Berti e Costa indossarono gellaba della Ceta e sciarpe come turbanti, facendo abbastanza i cretini, nonostante Lord Carnarvon. Noi donne, per quanto spiritose, non rinunciammo del tutto al fashion: cretine anche sì, ma carine il possibile.
IL TE’ NEL DESERTO
L’aura arancione trionfa sulla cima delle dune, tra la visita all’Orto di Kirchner e un the nel deserto, troooppo turistico. Non so dire a che punto del Nilo fossimo (alla prima cateratta?), già in vista delle feluche che fotografai a iosa. Paesaggio bello, quieto, maestoso, pieno di palme e di figurine con gli animali (come negli acquerelli di August Macke e del suo amico Paul Klee). Non posso dire fossero il popolo degli uomini blu, anche se indagavo con l’obiettivo case di quel colore, turbanti azzurrognoli e qualunque sfumatura turchinicchia. Salire in cima alle dune è stata una faticaccia, premiati dalla vista di un Nilo che si allargava, in lame verdeggianti. Da lì, volevo scendere a rotoloni, come dalla Duna del Pyla, ma erano poco inclinate. L’organizzazione prevedeva un tè, seduti su cuscini, tavolo quasi a terra, sotto tende posticce. Niente di emozionante, supplimmo ridendo come capita spesso nelle compagnie affiatate. La Ceta è sempre stata magnifica, negli anni della sua malattia: non faceva pesare che non aveva davanti a sé una vita lunga e facile, grandonna non solo per cultura. La foto in cima alle dune resta un’icona. Dico, qui, che il Tè nel deserto (spesso citato nel nostro viaggio in Egitto) si svolge ad Algeri (regia di Bertolucci, con Malkoviç e Debra Winger): quella parte di Africa mediterranea che somiglia all’Egitto del Cairo e di Alessandria, e anche a Israele e a Beirut uno dei luoghi dove vorrei sempre andare. Forse c’è un distinguo tra egiziano ed egizio: tra quello che andrebbe visto e conosciuto dell’Egitto contemporaneo e quello che andiamo a visitare nei siti dei Faraoni, di Iside e Horus. Ma non so e mi fermo. L’insieme della crociera (ho pudore a chiamarlo “pacchetto”!) è stato di grande soddisfazione e se non lo volevo fare quando me lo proposero, sono mooolto felice di averlo fatto: grazie alla Ceta. Mi ricordo quando, in vacanza a Varigotti, i genitori decisero di portare i bambini a Zigofolie ed io disertai sdegnata, andandomene a girolare sola soletta al centro commerciale Nice Etoile. Mia sorella sentenziò: la Nini, pur di distinguersi, andrebbe in vacanza all’Upim. Lasciarmi portare e fidarmi non è la mia cifra, ma delle rare eccezioni, come il Nilo, non mi pento. A volte, lasciare a casa sé stessi, è una bacchetta magica.
ASSOLUTAMENTE VIETATO FOTOGRAFARE
Mi ripeto: senza l’ausilio delle fotografie, la memoria della girolona, fa cilecca. Emblematica la Valle dei Re a Dair el Medina: ricordo bene gli scavatori, il villaggio sulle dune, la facciata di Hacepthshut. Nulla vi posso raccontare delle tombe: anche guardando le immagini sui libri, non mi ritrovo. Al massimo mi pare di aver visto quelle scene al MET di NYC, al Louvre, al British, all’Ashmolean di Oxford, a Torino. Quando ero ragazzina c’era una mummia con sarcofago persino al Civico di Biella. Il motivo è che NON ho foto mie e non ho elaborato la memoria dell’inquadratura: quello che ti colpisce e che immortali. Trovo invece in tantissimi siti e blog foto di prima mano (non bellissime, forse scatti rubati), dettagli delle tombe. Un sito a caso sandrabrennand.com. Chiudo questo Girolo con fotografie di pitture esterne, (Edfu, Karnak, Abu Simbel?). Danno l’idea di come dovevano essere dal vero i templi: noi li pensiamo austeri, eleganti, in uniforme color sabbia dorata o bigia. Invece erano chiassosi come un baraccone di Coney Island, per la massa dei fedeli che andava impressionata, e per i nobili che volevano così anche le pareti tombali e i sarcofagi, brulicanti di vita. Celeste lapislazzulo, verde giada, rosso cocciniglia, giallo sole: nessuna sfumatura. E anche i corpi sono color cioccolato o carrube, coperti soltanto da drappi succinti di bianco calce. I capelli nerissimi, proprio come Cleopatra nei film e nei fumetti di Asterix.