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SHANGHAI EXPO 2010

 

Nel 2010, invece che con i Calzaturieri del Brenta (Girolo China I), andai in Cina con gli Albergatori del Veneziano. Giovanni ed io, avemmo l’onore di illustrare il Caso Venezia e quello delle Città d’Arte Italiane, prima al Padiglione Venezia e poi a quello Italia, a nome del Comune e dell’ENIT, l’Ente Nazionale Turistico. Svolti i nostri compiti, abbiamo potuto goderci, poco poco, Shanghai; senza Giovanni ho passato anche qualche ora a Guang Zhou, Canton (Girolo China III). Devo ripetere, per ciò, che non sono stata in Cina, ma ho sfiorato qualcosa delle sue metropoli sulla costa orientale: e se Beijing non è la Cina, Shanghai non ci prova nemmeno, con la sua natura di luogo cosmopolita, alla nascita.

Shanghai fu letteralmente inventata 

come città, dal capitale straniero,

nel secolo scorso.

M. ANTONIONI 1972

Un bel libro, che ve la fa vedere come io non l’ho nemmeno immaginata, è di Anne Warr, Shanghai Architecture, The Watermark Press 2007. Per dirvi quanto poco ho visto con i miei occhi, riconosco 27 fotografie su 340 pagine (8%) e mi pento di non essermi sottratta con maggior vigore alle Delegazioni Ufficiali, girolando tra le architetture Art Déco, i Templi e i Lilong (le case di appartamenti anteriori al 1940). Siamo stati nel Pudong, tra i nuovissimi grattacieli, tra i Padiglioni dell’Expo (ovviamente!), a Nanjing Street (che si apriva di fronte alla porta del nostro Sofitel), alla Concessione Francese. Sono fuggita solo una sera (Giovanni rifiniva il Powerpoint della nostra presentazione), per un aperitivo al Peace Hotel, monumento Déco, dove ho comprato la Guida di Anne Warr (che ho portato a casa intonsa). Per sentirmi meno idiota, potrei dirvi che dentro l’Expo, nel China Pavillon, qualcosa di cinese ho intuito. La retorica della Lunga Marcia, in un film di purissima propaganda (regista Lu Chuan) The Road to a Beautiful Life, sull’evoluzione Cinese, 4 generazioni, da Mao Zedong al turbocapitalismo. La riproduzione in 3D, lunga 128 metri, della pittura su seta Lungo il Fiume durante il Festival di Qingming (secolo XII, dinastia Song): 814 personaggi, 83 animali, 100 negozi, 30 imbarcazioni, bellissima. Migliaia di ombrelli colorati, in  disciplinate file, che attendevano di accedere ai Padiglioni dell’Expo, sotto un sole impietoso. Una massa fluttuante, una storia ininterrotta, una moltitudine paziente. Ma forse è solo retorica e c’è molto di più della Cina nel libro/film di Michelangelo Antonioni del 1972 (38 anni prima dell’EXPO) Chung Kuo: nella Parte 3, dedicata a Shanghai, ci sono due sequenze imperdibili, le imbarcazioni lungo il Guang Po (dove affaccia l’Expo 2010) e la Casa per Anziani nel Giardino di Yu, che oggi è una Casa da Tè per turisti, vicina a Starbucks! Voglio dire una cosa tecnica sul film di Antonioni: il montaggio è di Kim Arcalli, un mito. Grazie a lui ho imparato che il Regista conta, ma “montare il cinema” è un’arte di cui molti ignorano persino l’esistenza e da cui dipende il racconto, tanto quanto dall’idea del direttore.  

ALLA SCOPERTA DI:

TERRAZZE ART DECO

Vi dico le zone che mi ricordo di Shanghai (le fotografie sono fondamentali). La prima è un misto tra il Pall Mall di Londra e Time Square a NY: Nanjing Donglu, un gran viale che si apre di fronte al nostro lussuoso Sofitel Hyland (ora diventato Radisson): via dei grandi magazzini e dello shopping. Zeppa di insegne, di persone, di vita metropolitana e anche di turisti. La seconda è il Bund cioè la banchina del Guang Po, nata per volere di un Inglese a metà Ottocento, sede delle principali Banche e ricca di edifici Novecenteschi, tutto meno che cinesi. La terza è la Concessione Francese, una delle poche aree straniere che ha conservato parecchio della sua conformazione originaria, insieme a quella Americana, Duolun Street, oggi nota come Distretto della Cultura; tutte queste zone sono fortemente turistiche. La parte dell’EXPO, come tutte le aree expo, è collocata nel nulla: ci arrivi in metro o in taxi, guidata da qualcuno che sa; torni in hotel stravolta e non sai dove sei stata, per ore: in una enclave extraterritoriale, che potrebbe essere sulla Luna. Per fortuna ho una mia foto, contro la mappa di Expo 2010. La parte dei grattacieli, Pudong, l’abbiamo toccata di sguincio, per pranzare al Cloud Number Nine, 87° della Jin Mao Tower, in un ristorante modaiolo, con vista mozzafiato, sugli altri edifici, sulla Pearl Tower e sull’Apribottiglie, in particolare, che nel 2010 faceva ancora notizia (World Financial Centre di Pedersen Fox). Anche il Bund, in versione notturna, con tutte le sue rutilanti illuminazioni e con la vista sull’altra sponda del fiume Guang Po (e su Pudong), l’ho goduto dalla terrazza (piano 9° non 87°), di un lounge bar esclusivo (M on the Bund, forse), zeppo di occidentali e di attachè d’Ambasciata. Per fortuna mi piacciono i balli e i drink, perché diversamente l’ambiente sarebbe stato insostenibile: forse è così per tutti, nessuno sopporta nessuno, perciò balla e beve. Poi, Giovanni ed io ci siamo sfilati e siamo andati alla House of Blues and Jazz in Fuzhou Road, buona musica e sontuose bistecche con frites. Quando sei in Delegazione, se ti credono with a companion vieni trattata con discrezione (se ne infischiano che sia vero o no, come nel nostro caso); viceversa la femmina sola è per definizione preda e diventa uno stress.

CONCESSIONI STRANIERE

Alla Concessione francese bisogna andare, te la raccomandano anche i taxisti e i concierge d’hotel: ti preparano il tuo cartoncino con gli ideogrammi utili, per arrivarci e per tornare in albergo. Noi, manco a dirlo, ci siamo andati a piedi, con le nostre mappe di carta. Valeva la pena, certo: anche solo per vedere il luogo dove è nato il Partito Comunista Cinese, Xiantandi, edificio verde e rosso dove adesso c’è un Ristorante e un negozio di pashmine. Si trova di tutto nella Concessione: edifici Decò, piccole Ville stile Normandia o stile Tudor, casermoni Sino-Sovietici, roba contemporanea; ristoranti di ogni genere, gelaterie e cafè, negozi, boutique, catene internazionali, lounge bar, cinema e persino i Lilong, che ci sono anche a Duolun. È probabilmente nelle vie dei Lilong che ammiro la tecnica cinese per stendere i bucati: pali di bambù che infilzano gli indumenti per le maniche e le gambe, si appoggiano ai tubi delle facciate e tra loro; un arazzo povero, multicolore, tra condizionatori d’aria, mattoni, cemento, tubi di scolo, decori d’antan delle facciate. Ricordo anche un ristorante di ravioli, che ne sfornava a getto continuo, con ogni ripieno. Niente a che vedere con la cena favolosa del Lost Heaven, in Gaoyou Road: cucina dello Yunnan. Dicono sia “turistico” e di sicuro lo è: però l’esperienza è notevole e spalanca una visione del cibo cinese, che voi Occidentali…… A Duolun, prendiamo un tè con boccioli di rose, speciale.

GIARDINI DI YU E VECCHIA SHANGHAI

Un pomeriggio, decidiamo, con Giovanni, di cercare qualcosa di visitabile, giusto per. Prima ci troviamo all’Urban Centre (progetto di Studio ECADI, come la City hall): c’è una mostra sull’evoluzione urbana della città come ovvio; in un enorme plastico a terra, giroliamo per mezz’ora e ci facciamo un’idea. L’edificio è in Piazza del popolo, modernissimo e simile al Gran Teatro (di Charpentier Associated), col tetto a vela, bello. Poi entriamo e usciamo da parecchi magazzini della Nanjing, soprattutto da farmacie che esibiscono medicamenti “naturali”, erboristici o tradizionali, assai affascinanti: si capisse qualcosa di come usarli! Girando ad angolo retto, e allontanandosi qualche centinaio di metri dalla rutilante Nanjing, ci troviamo subito immersi in un marasma di negozietti e personaggi borderline, merce esposta in terra, marciapiedi spaccati, fango e scoli. Decidiamo di attenerci al nostro ruolo di turisti occidentali con le Gold Card di Sofitel e al diavolo il folclore locale. Così cediamo alla visita dei Giardini Yu, della Old Shanghai, con annessi Templi confuciani, Ponti e Canali, ninfee che sembrano vassoi e souvenir paccottiglia nello storico Bazar. A proposito di immensi contrasti, dai ponticelli idilliaci di Yu, tra i tetti a gondola su cui camminano i dragoni, mi piace fotografare Pudong e l’apribottiglie. Ormai arresi al nostro ruolo di visitatori standard, ci facciamo coinvolgere nell’avventura dei Sarti stile Armani e giroliamo a lungo in un mercato periferico, raggiunto (biglietto con ideogrammi alla mano) con uno strano taxi a due posti, ricavato da un’Ape Piaggio. Tra sete sciolte molto belle, facciamo acquisti sicuramente convenienti che crediamo anche più convenienti di quanto siano. Giovanni si fa confezionare un completo  in shantung nero, che copia quello da sposo che si è portato qui per le presentazioni ufficiali: tornerà a ritirarlo 24 ore dopo, senza una prova, perfetto. Io amo cucire e mi sono portata da Shanghai qualche decina di metri di pizzo nero, seta blu China con disegni di drago, una ventina di sciarpe a 0.50 euro l’una. Però dovevo venire a Shanghai per realizzare che lo shang tun è seta dello Shang, la regione a sud di Beijing. Un po’ come la fiandra: non è un materiale (la canapa, il lino, la seta, la fiandra, lo shantung), ma una regione dove si tesse a quel modo.