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BERLINO SENZA MURO

Di Berlino sapevo due o tre cose: che c’era una compagnia di teatro fondata da Brecht, il Berliner Ensemble (l’avevo visto a Venezia alla Festa nazionale dell’Unità del 1972) e un Tanztheater der Komischen Oper Ballet che avevo visto alla Fenice nel 1977: un balletto delizioso Match, coreografo Tom Schilling. Poi, naturalmente, avevo studiato le siedlungen di Taut, van der Rohe, Gropius e Wagner; sapevo che c’erano gli Arkif del Bauhaus. Amen. Nel 1991, a Pasqua, decidiamo di raggiungere a Berlino quattro amici che sono andati in aereo, noi partiamo all’impronta, con l’automobile: passiamo da Norimberga (molto graziosa) e Halle Neustadt (allucinante). Gli ex studenti IUAV sanno che Halle è un prototipo delle città operaie in Germania dell’Est (anni ‘60): l’impatto è tremendissimo, cerchiamo dove mangiare e ci guardano stralunati. Approdiamo ad una specie di mensa operaia, desolata, alla quale si accede da un portone protetto da coperte, spesse, come quelle dei militari: avevo visto questa cosa soltanto in un grande magazzino jugoslavo, è una protezione dal freddo. Riusciamo a mangiare qualcosa a forma di pesce, sepolto da aglio e cipolla crudi, servito su un vassoio di acciaio, da mensa; contorno patate bollite, color rapa. Un’ouverture diabolica. Il Muro è appena caduto, forse ad Halle non ne hanno ancora preso atto e nessun turista fa questo itinerario. Speriamo che la nuova capitale, riunificata dopo tanto tempo e con tanti problemi, abbia già svoltato. Ricordo davvero molto poco e ho poche diapositive, moltissimo rovinate. E’ quello il girolo in cui Francesca e Maria, laureate in lingue e lettere, si stufarono di attraversare mezza metropoli per vedere grondaie e balaustre delle Siedlungen, che ammaliavano noi 4 architetti-ingegneri: vi aspettiamo al caldo, dicevano, in un bar. Effettivamente bisogna avere una formazione specifica e grande amore del dettaglio edilizio, per i quartieri e le palazzine di Bruno Taut & Co, come Onkel Toms. nelle primavere gelide del nord Europa. 

Ricordo l’isola dei Musei (imperdibile il Pergamon SMPK), la sconcertante Alexander Platz (appena riannessa) con la Torre televisiva, il Kurfurstendamm di Berlino Ovest, brutto stradone commerciale destinato ad essere subito surclassato dalla nuova Berlino delle archistar. Ricordo un albergo modesto, chissà dove, dal quale ci muovevamo con la U-banne come la chiamavano gli amici romani. Incrociammo uno di Cerignola sul metro diretto allo Zoo di Berlino e ci diede una indicazione precisa sulla cremeria coi maritozzi. Ricordo un “ginocchio di porco” che sembrava lucido da scarponi (era meglio il pesce di Halle); dopo quella esperienza ci ostinammo ad ordinare “two wurst with a little mostarda”, ridendo molto sui menù mal tradotti  e mai in Italiano. Ricordo che scoprii in loco l’enorme comunità turca di Berlino, in Oranijestrasse dove girolammo chissà perché a piedi. Insomma, di Berlino 1991 pochissimo, se non l’idea che qualcosa stava cambiando, ma bisognava aspettare. Ricordo la differenza fortissima tra la parte Est, che aveva qualcosa di storico attorno a Kreuzberg, magari rifatto dopo i bombardamenti, ma che somigliava all’idea di Germania che avevamo visto (Monaco, Norimberga, Stoccarda, Basilea) e la parte Ovest che non somigliava a niente, non sapevamo cosa andare a vedere a parte i rassicuranti fari dell’Architettura: la Filarmonica di Sharoun e la Nuova Galleria di Mies, il Bauhaus Arkif (superbi) e il Berliner di Brecht (da fuori). Molto di quello che vedemmo non ci piaceva (come il Kudamm) oppure ci portava nell’utopia assoluta dell’arte. Contro ogni logica, era la Berlino Ovest a ricordarmi la Jugoslavia e non la Berlino Est. Perfino i Musei erano oltre il Muro e sarebbero bastati i resti di Pergamo e Mileto per fare quel viaggio. Che il muro crollato rimescolasse le carte era davvero un bene, anche per girolone/i. 

ALLA SCOPERTA DI:

RITORNO A BERLINO 2006

Abbiamo atteso anche troppo, fino al 2006, quando salendo con l’auto verso il Baltico (Girolo Baltico tedesco), che era la meta vera, abbiamo deciso di sostare 4 notti a Berlino e vedere cos’era successo: soprattutto se le architetture di cui si leggeva sulle Riviste, meritavano. Alla fine, mi rendo conto, che Berlino è un luogo per architetti-ingegneri e amanti delle innovazioni urbane: scrive Bertold Brecht che a Berlino tutto cambia in continuazione, come non fidarci. Prenotai un albergo trendy, Louise, proprio sul confine che c’era stato: si vedevano i binari (ma grazie ai tripli vetri non si sentivano i treni): fuori, un quartiere qualunque, né bello ne brutto, non turistico. Saremmo potuti essere a Stoccolma o a Francoforte o a Copenhagen. Vicinissimo, scoprimmo un locale dei tempi del Muro, che aveva conservato il carattere di “porto franco”, quale era stato: serviva ancora cibi locali, birra e fumo e noi lo eleggemmo a mammacasetta, ci tornammo 3 sere su 4 (Girolo Vienna). Non posso dire se Berlino riunita fosse straordinariamente diversa, perché non avevo visto bene le due parti separate dal Muro: ma sono sicura di sì, perché queste due parti non si distinguevano più così bene (almeno all’occhio turistico). Chi ci ha perduto, tuttavia, è la Berlino Ovest: il Ku’damm sembra il parente pop&pulp della nuova Potsdamer che è uno sfavillio di archistar a cominciare dal nostro Renzo Piano. Anche se, le architetture migliori, secondo noi, sono quelle governative, la Nuova Cancelleria Federale, la cupola di Norman Foster sul vecchio Reichstag, l’insieme riorganizzato lungo il fiume Sprea. E poi il Museo Ebraico di Libeskind la cui torre dell’Olocausto è una emozione profonda. Forse altrettanto forte del Memoriale di Eisenman, unico motivo per tornare Unter den Linden e alla Porta di Brandeburgo che sono lì presso (celebri ma non belli). Nel 2006 le fotografie si sprecano (ah il digitale) e mi permettono una memoria migliore. Non sono in grado di farvi un itinerario o collocarvi i siti in relazione alla U-bahn: vado per architetture. Oltre a quelle citate, scopriamo interventi di O’Gehry, dentro il cortile della DZ Bank, di Pei al Museo Storico,  di Wilford, allievo e socio di Stirling al consolato Inglese. 

A Berlino tutto cambia in continuazione

BERTOLD BRECHT

DIE STÄNDIGE VERTRETUNG STÄV

Non so il tedesco e faccio una fatica orribile a ricordare i nomi dei luoghi. MA questa birreria sui binari la ricordo al volo, come una filastrocca: significa Missione Permanente, una specie di consolato dove console non può esserci perché non si tratta di Stati stranieri, ma di due parti di una stessa “patria”. Lì, quindi, si facevano i lasciapassare tra le due Berlino e si beveva una birra. Oggi STAV è una catena (con sedi a Bamberga, Brema e via), la trovate online e vende anche prodotti di gastronomia. Vi raccomando il sito perché alla voce “storia”, in inglese, trovate anche una estrema sintesi delle due Berlino. Peggio di un bignami, ma utile. Lo Stav è il tipico posto che ci conquista (guardate Stefano sotto falce e martello di tessuto), diventiamo habitué facilmente, di atmosfera e di pietanze (abbiamo riconosciuto ed evitato l’Eisben, il piede di porco). Però Berlino si è molto internazionalizzata, ha reagito fortemente all’unificazione e al ruolo restituito di capitale: la ristorazione è l’esantema più vistoso (anche perché noi non frequentiamo discoteche e locali notturni). Lungo la ferrovia troviamo altri locali raffinati il giusto, come Luther&Wegner, bottiglieria accogliente, vagamente chic. Da diversi anni, mangiare in Germania è diventato interessante, altro effetto della caduta del Muro: chissà cosa offre Halle Neustadt, e chissà se hanno abolito le coperte cardate all’ingresso. Non so se faccio la figura di una che non capisce il fascino di Berlino, il suo ruolo nella architettura contemporanea e nella formazione dell’Europa, passata e futura: forse dovrei abitarci per un po’, come ho fatto in altre capitali. MA: rifletto che l’ ignoranza del tedesco mi frena e la disponibilità dei berlinesi a confrontarsi in inglese (nemmeno dire  in italiano) mi è parsa bassa, a cominciare dalle didascalie nei musei. Per capirmi, andate nel sito di Luther&Wegner, un produttore di vini coi fiocchi, che vanta 4 location coi fiocchi MA le propone rigorosamente in tedesco e arrangiatevi. La lingua rimane un muro emotivo, anche in un tempo di emoticon.