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LA PAELLA DI PALAMOS

La nostra prima volta a Barcellona è stata in viaggio di nozze, nel 1992. Cercavamo di viaggiare parecchio, contenendo le spese (dovevamo pagare la casa di Dolo) e scegliemmo di dormire a Badalona, una località costiera dell’area metropolitana: a marzo, le tariffe erano stracciate, il lungomare deserto e avevamo un gatto bianco e nero come sentinella (dormiva al calduccio dei vasi senza fiori). Al tempo, eravamo giroloni veraci e a Barça siamo andati un paio di giorni: per il resto in giro in giro per la Costa e nell’entroterra catalano, nel Penedès (vigneti), al Monastero di Montserrat, a Tarragona. Sulla Costa Brava, il posto che ci colpì di più fu Palamos (una muraglia di condomini brutti e un porto incasinato): al Club Nautic, mangiammo la nostra prima paella spagnola, fatta esclusivamente per noi, poiché il ristorante era chiuso. Nessuna paella ha mai superato (nel ricordo) quella di Palamos: nemmeno a Sitges (da vedere) e a Cambrill vera enclave gastronomica della Costa Daurada. Persino la paella di Valencia, patria di quella ricetta (Girolo Valencia), non può cancellare il Club Nautic di Palmos: eravamo giroloni neofiti e just married. All’opposto di Palamos, ci piacque moltissimo Cadaques, alla fine di una strada pazzesca, in mezzo alla selva: stazione chic, famosa per gli artisti che ci venivano, tra cui lo scacchista Marcel Duchamp. Stessa differenza estetica tra Lloret e Tossa, entrambe del Mar, ma molto meglio la seconda: anche se a Lloret fummo ospiti di un mio allievo, Luca Jacoponi, che girolava il mondo (passò dalla Costa Brava alla Baja California). Lui ci indicò dei ristoranti, sulle colline, che si chiamavano Can (i vecchi edifici rurali). Erano i primi anni degli chef stellati (Adrià?) ma eravamo e restiamo refrattari a questi culti. Viva Palamos e la sua paella!

Gaudì è un artigiano individualista, dilettante

solitario, inventore e bricoleur (N.Pevsner)

Il parco Guell è una scenografia sognata  […] 

per un film sui marziani  […] l’architettura 

per la torta nuziale di una fata

M.RAGON

ALLA SCOPERTA DI:

NON MI PIACE GAUDÌ

Sputo subito due rospi: non mi piace Gaudì e Barcellona non mi entusiasmò come doveva. Nel 1992 non solo si preparava alle Olimpiadi, ma era una delle mete in cima alla top ten modaiole: la prima città che si era liberata da Franco, la capitale della Catalunya indipendentista, un Sindaco come Maragall che incarnava tutto questo e rigenerava la propria città, facendone una capitale globale. Migliorava la ciutat vella (il Barrio Gotico e dintorni) e costruiva il futuro a Barceloneta, attirando archistar da ogni cantone. Eppure. Mi assumo le mie responsabilità: nel 1992 non andammo neppure fino alla Sagrada Familia (puah) e non entrammo nè a Casa Battlò né alla Pedrera (Casa Milà) e, in fondo, forse preferii le Case di Puig I Cadafalch, molto meno noto: un mesclùn di graffiato segoviano, mudejar e gotico isabellino. Mi piacque abbastanza, sono onesta, il Parc Guell, con le sue “piastrelle frantumate” e le panchine ondivaghe. Ma il cosiddetto Modernismo catalano, anche, il Palau de la Musica di Domenech I Montaner, non è l’art nouveau che amo. A Barça ci innamorammo di due luoghi: il Pavellò di Mies van der Rohe per l’Expò del 1929 (capolavoro essenziali e raffinatissimo)  e il Museo di Arte Contemporanea MACBA di Richard Meier al Raval: quella è l’architettura che ci piace. Poi, naturalmente, le atmosfere del Raval e del Barri Gotic, i locali di tapas/pinchos e i musei: Fundaciò Mirò e Museo Picasso (vicino, l’immancabile Xampanyet, banco di tapas sempre super affollato). Le mie diapositive, che gli anni hanno virato verso un azzurro improbabile, confermano questa ouverture barcellonese. Per usare una frase che si addice al matrimonio: ci saremmo innamorati di lei, col tempo, non a prima vista. Stefano sarebbe tornato spesso con i suoi studenti del Liceo Artistico (in gita di istruzione, come si dice); io sarei andata ad insegnare ad una Summer School di UAB Università autonoma di Barcellona nel 2004, l’anno del Forum de las Culturas (Barcellona 2): altra occasione per un rinnovo straordinario delle zone costiere, quando Maragall era diventato Governatore della Generalitat. Poi, insieme, saremmo andati nel 2011 (in inverno), con mia sorella e cognato: loro, ospiti di amici biellesi e noi finalmente in un hotel centrale del Barri Gotic, trionfo di design. Stefano, trasmettendo il suo sapere agli studenti, si era davvero innamorato della città; io l’avevo girolata in lungo e in largo (dormivo al Campus UAB, ci andavo la sera con gli studenti) e come accade spesso, entrando in confidenza, cominciavo a volerle bene. Resto tiepida verso Gaudì, ma sono tornata volentieri al Guell e sono entrata alla Sagrada (nessuna foto, qualcosa vorrà dire). Ancora non ho messo piede nelle sue Case del Paseo de Gracia (la cui visita ormai costa come una cena da Adrià).

I NOSTRI PUNTI FERMI

Prendiamo una mappa di Barça e le mie diapositive d’antan del 1992. A parte mio marito giovane e altero con il logo dei Giochi Olimpici, c’è il gatto di Badalona. Cominciamo dall’alto del Montjuic, Expò 1929: il Pavellò di Mies e la sua poltrona Barcellona (!), rifatto fedelmente all’originale, perfetto; poi andiamo al Parco Guell e da lì guardiamo a perdita d’occhio verso il Mare (si vede la Sagrada). Sempre in alto sta la Fondazione Mirò (curioso edificio a shed), che merita ritorni. Ci sarebbero Pedralbes e il Tibidabo, ma li abbiamo disertati. Scendiamo e assimiliamo le celeberrime Ramblas, uno dei passeggi giovanili più incensati, forse troppo. C’è il famoso Liceu (teatro), la strafamosa Boqueria (mercato), una vecchia latteria Granja Viader, deliziosa per le colazioni. Da un lato si apre il Raval, quartiere popolare (un tempo malfamato?), con una ridda di locali da tapas, numerosi quanto i panni stesi tra le case (come a Genova Prè e al Panier di Marsiglia). Siamo sul Mediterraneo. Dall’altro lato delle Ramblas sta il Barri Gotic, con i propri monumenti (belli), la Piazza del Pì (un amore), le calli strette e buie, un misto di popolare e turistico: oggi, Barcellona è considerata come Venezia, sfigurata dai visitatori. Un’ennesima porzione di Barça, denominata Eixample, è l’ampliamento dell’architetto Ildefons Cerdà, 1860, che ripulì gli isolati da ciò che si era accumulato dal medioevo all’Ottocento, tirando “diagonali” e “parralele”: grandi viali che sventrano il tessuto edilizio, niente da invidiare al Barone Haussmann (Giroli Parigi). Si chiamano proprio così, l’Avinguda Diagonal e l’Avinguda del Parallel; sul Passeig de Gràcia, svettano le creazioni di Gaudì e degli altri Modernisti. Ve ne raccomando una visione notturna (visione è il termine giusto, paiono irreali): quando siamo arrivati, nel 1992, ci apparvero inattese, come fossimo entrati nel paese delle fate. Ferri trattati come pizzi, la vetrina delle piastrelle rifrangeva le luci in cascate sbarluccicanti; guglie sui tetti, balconi come occhi, camini come cimieri, un guazzabuglio favoloso, sembravano di carta velina e tulle, pronte a volare. Ecco, Gaudì forse è uno scenografo, più che un architetto o designer: i suoi effetti teatrali, esasperati da luci-e-ombre, sono suggestivi.  Su Picasso, vai sicuro, per quante Fondazioni e Musei e collezioni e mostre: c’è sempre motivo di rivederlo. Tra Gaudì e Picasso, usando un’espressione di mio zio Jack, vedo la differenza tra il letame e il risotto, entrambe materie organiche, ma meglio nutrirsi col secondo. La Girolona, però, è tornata e tornerà a Barça, mai dire mai: che un giorno anche Gaudì mi venga a piacere.