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PENSIONE SIRENA, VIA ISTRIA 2

L’intestazione è Pensione Sirena Bellaria, Via Istria 2 tel. 44.333. Data 27.06.1963, destinataria Gent. Signora Scaramuzzi, mia mamma (Girolo Machaby e Kaberlaba)

Un grande silenzio ambo le parti. Ma però io non dimentico facile le famiglie da me tanto conosciute e preferite. La Signora B. di Mongrando mi cennò che Lei potrebbe fare un po’ di vacanza nel mese di Settembre, Se volesse profittare sono a sua disposizione per servirla. Un bacio alla Nini, un saluto al Signor Toio.

Ernestino Gori, insieme alla moglie (Zia) Rosa e al figlio Claudio, conduceva la Pensione Sirena (oggi Hotel), sita tra via Istria e via Dalmazia, due traverse che portavano dal Viale Panzini al Mare Adriatico: altezza del Bagno Pierino, che era il nostro. Prima degli ombrelloni c’erano state le vele: un albero maestro a reggere un unico telo rettangolare, a righe. L’arenile, fotografato a volo d’uccello, richiamava un mare di barche. L’edificio della Pensione era “moderno”, un ampliamento semplice di una casa semplicissima. Il cortile, comunicante con le due traverse, era stracolmo di oleandri rosa e giallini, che ombreggiavano. Dopo la Sirena, verso la Spiaggia, non esisteva altro se non il parco fittissimo “delle Suore”, dove forse c’era una Colonia. Saranno stati 50 metri, 20 passi, già pieni di sabbia che ti entrava nei sandali: in un certo periodo ci andavo in bicicletta, orgogliosa di pedalare sulla bici della Zia Rosa, senza sedermi sul sellino. Dalla parte opposta alla Spiaggia, all’angolo con Viale Panzini (pericolosissimo!!), c’erano l’Emporio della Fedora (aveva tutto: ballerine d’oro, pinne, Topolino, secchielli e formine, biglie di vetro, gomme da masticare, Ambra Solare, maschere col boccaglio, collane di conchiglie) e il Brigantino, il Bar, dove il Rino sapeva quello che potevamo o NON potevamo consumare, anche se andavamo da soli e “pagava poi la mamma”. Io andavo matta per le Banane Perugina: un interno fruttato ricoperto di cioccolato amaro.

Siamo stati al mare solo un’ora, c’è sempre vento. I bambini al mattino bevono latte dato che la Zia Rosa mi assicura che proviene da una sola mucca, di stalla pulita. Dalla camera vedo i bambini mentre giocano nel cortile giardino.  La spiaggia come sabbia è bellissima, dalla Pensione al mare ci son 20 passi, ci si può andare in costume, comodo per il vesti-svesti dei bambini.

Lettera della Giò alla Fil, 1952

L’Epopea di Bellaria, iniziata dai miei fratelli ad inizio anni ‘50, mi coinvolse che ero ancora nella pancia della Giò e poi per anni, fino al 1972 quando iniziò l’era di Vernazza (Girolo Vernazza). Ho fatto il mare alla Pensione Sirena, per oltre 15 anni, almeno un mese, ogni estate: spesso venivo affidata alla Nonna Delfina, detta Pina; raramente c’era mia mamma o la zia Filippa maestra di bel nuoto; quasi mai il signor Toio, il papi. Immancabilmente ero in compagnia dei Villa, 4 e poi 5, i miei fratelli elettivi, figli del più grande amico del Toio e della Giò, il Zio Mario come amava chiamarsi lui, giocando con la lingua italiana da originale Enigmista, qual’era (nome d’arte Esiodo). Mia madre e mia zia ci hanno portato in vacanza le loro nipoti Beatrice e Fiammetta, ad inizio anni ‘80; Anna Villa ed io ci siamo tornate con le sue figlie, Silvia e Cecilia, nel 2000. Bellaria è un luogo del cuore, una tradizione di famiglia, un must. 

ALLA SCOPERTA DI:

BORGATA VECCHIA

A maggior ragione, tornare nel 2022 è stato malinconico, a differenza di Vernazza e di Bagneri (Girolo Passioni in Valle Elvo). Per fortuna c’era con me Stefano e avevamo prenotato un bell’albergo a Rimini, lontano dal Ricordo. Non era la prima volta che tornavo, in questo Secolo (XXI) “per vedere” e avevo già avuto la sensazione di un Passato finito: ma non volevo accettarlo, del tutto. Avevo già preso atto che il parco delle Suore era sparito sotto il cemento di brutti condomini, ambo le parti; che via Istria non aveva più sabbia e che i Bagni Pierino erano una falange di sdraio e ombrelloni. Sono passati 70 anni, tutta la mia vita! Dal cotile giardino sono scomparsi gli oleandri, facendo posto ad un ampliamento dell’Hotel Conchiglia, sempre stato una stella sopra la nostra Pensione. Ai Bagni Pierino, gli escavatori arano la sabbia; i frangiflutto artificiali sembrano vicinissimi alla riva: tutto mi sembra estraneo e manomesso. Noi noleggiavamo il moscone, per raggiungere la Scogliera e ci portavamo il cartoccio di prosciutto coi grissini, per mangiare dopo i tuffi: era un’avventura. Avrei voluto parlare con la Signora che faceva pulizie di stagione, sul lato in via Dalmazia della Conchiglia: ma ho avuto paura di sentirmi peggio, che non sapesse nulla dell’Ernestino, del Passato e di com’eravamo. I Ricordi sono saldi, grazie alle fotografie rigorosamente in bianco e nero, scattate dal Fotografo Pino, Viale Panzini 6, Laboratorio specializzato per lavori Leica, ritratti d’arte e ingrandimenti. Sparito ovviamente Pino, anche il Brigantino è out of business e i locali sfitti. Sulla porta della cucina, da dove uscivano la Zia Rosa e la Cameriera Martina, a respirare un po’ senza il vapore dei pentoloni, pende una tenda raccolta: la Rosa era sempre in nero, anche la traversa legata in vita; la Martina pure in nero, portava il grembiulino bianco per essere elegante in Sala; raccoglieva i capelli in una treccia spessa, arrotolata, su cui poggiava la crestina. Costringo Stefano a passare la Ferrovia, addentrarsi per il centro di Bellaria (viale Guidi?), dove venivamo a mangiare il gelato al Nuovo Fiore, alle Messe della Nonna, alle Giostre “£20 per bambino, abbonamento £ 100”. A schettinare, invece, andavamo verso la Cagnona, dove c’erano anche i Cinematografi. Un segnale turistico indica una Borgata Vecchia, di cui NON ho mai sentito parlare. Quando ci arriviamo, di fronte al Canale Uso, fiancheggiato dalla Strada Romea (che viene da Venezia), mi accorgo di non aver mai saputo che la Bellaria “originale” fosse qui e non so se infastidirmi o consolarmi che l’abbiano salvaguardata e riproposta, come sito di festival e di murales. Dicono che si tratti del nucleo storico, PRIMA che il Turismo si sviluppasse verso la marina: luogo di pescatori, con le paranze e i bragozzi. Nella cartolina di inizio ‘900 le donne sono identiche a com’era la Zia Rosa, nel 1960. Nei miei anni a Bellaria, non era di moda esibire un passato “povero”, inadatto ai forestieri che cercavano il modesto lusso della Vacanza al Mare: le amiche di Jesolo (girolo Cavazuccarina) mi hanno portata a vedere dove giocavano da bambine, nei cortili di case simili a quelle della Borgata di Bellaria, ormai inghiottite dagli alberghi, obnubilate. Proprio sull’Uso si organizza il Porto Canale di Bellaria, con i pescherecci di adesso.  Nelle foto del 1964 a colori, siamo noi tre Scaramuzzi, su una bella barca: il Mau ed io abbiamo l’aria di sfida per la fotografa, che è la Ceta, Primogenita Maggiorenne, la quale già possedeva una Kodak compact. Il Mau, poi, era salito sulle sartie, da giovane sportivo. Nostra mamma ci aveva caricati sulla sua Fiat 750 e portati a trovare l’Ernestino: che era a sua disposizione, per servirla. Siamo certamente fuori stagione, perché io ho calze e scarpe e la Ceta il golfino.

RIMINI ROMANA

Ricordo con stupore lo stupore dei miei allievi, del secondo anno di Università, quando facevo loro vedere i monumenti Romani di Rimini: il Ponte sulla Marecchia e l’Arco, agli estremi opposti del decumano, oggi Corso Augusto. Non direi che i miei studenti fossero particolarmente ignoranti, anche se non avevano studiato il Latino: sta di fatto che le Grandi Stazioni Balneari hanno offuscato tutto ciò che è avvenuto prima. Il Turismo è un’industria pesante, obnubila la Memoria, dice Marco Paolini. Vi ho appena raccontato della Borgata Vecchia di Bellaria: certo non è la Storia dell’Impero d’Augusto (non si studia a Scuola), ma il concetto è simile. Rimini, poi, è stata Rocca dei Malatesta e conserva, oltre a pezzi di Mura, un monumento unico e splendido, il Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti. Ci siamo già stati, Stefano ed io, ma è sempre un ritorno appagante. Basterebbe la sua facciata incompiuta, con il decoro geometrico sopra portale. Basterebbe il suo interno, rarissimo, le tarsie marmoree zeppe di IS, Isotta e Sigismondo; l’affresco di Piero della Francesca. Anche Piazza Cavour, con l’Arengario, il Teatro Galli e la Fontana della Pigna, è un bel luogo storico: ci beviamo un Bianco Albana, nella luce dolce del vespero (il Mare si sente anche senza vederlo). Lungo la Marina, ci sono orribili edifici, edifici brutti ma senza pretese, orribili pretese di brutti edifici come quello che per caso ho prenotato e scopriamo (con desolazione) che è di Paolo Portoghesi, del 1996. Avevamo pensato fosse modernariato degli anni ‘60, un tentativo di emergere nell’anonimato del boom postbellico. L’avremmo perdonato, anche perché gli interni sono perfetti, paiono rifatti l’altro ieri: sobri ed eleganti, come si dice. Invece no, siamo nel reame delle cosiddette Archistar (sig), anno 1996: non perdoniamo nulla a Portoghesi, curve, contro curve, sguinci, torrette, colonne inclinate, vetrate sporgenti da nave-crociera; il color sabbia con inserti in maiolica azzurro onda (sig). Un progetto imperdonabile, costosissimo, pacchiano, che naufraga nel melì melò del Lungomare Murri. I rari edifici che si tolgono dalla confusione, appena finiti o ristrutturati, lo fanno grazie al total white, scelto come unica salvezza: il bianco assorbe forme improbabili, ridondanti, eclettiche. Più brutto del Savoia (per altro molto raccomandabile) abbiamo visto solo La Gradisca, con le sue colonne doriche rovesciate, gusci vuoti per puro decoro. Mi confortano le linee Liberty del Grand Hotel ‘900, restauratissime e in total white: rimettono a posto lo stomaco, dopo lo svarione ondivago del Romano Portoghesi!