Al Andalus (2)
SIVIGLIA: PERIFERIE CENTRALI
Sapete come la penso sui soggiorni urbani: non si sta mai troppo a lungo in una città grande, per cercare di capirla, andando fuori dalle rotte turistiche e “abituandosi ai luoghi”. Per questa ragione, ci capita spesso di NON vedere monumenti consigliati dalle Guide, ma di girolare nei quartieri qualunque e fare soste nei bar degli omenassi (girolo Siviglia 1). Non ve la faccio lunga: non è che, così facendo, si è viaggiatori o antropologi, si resta turisti idioti e spesso quando torno a casa scopro che non ho visto molte cose “da vedere” (Girolo Polonia) e, in fondo, la mia idea del luogo non è molto diversa da quella descritta nelle Guide, a leggerle per intero. Per Siviglia è emblematico il caso di Plaza d’España: indicata come sito imperdibile, highlight turistico. Vero, perché arrivandoci senza assolutamente cercarla, percepiamo un affollamento che nemmeno la Cattedrale. Sembra che il popolo visitante di Siviglia (organizzato o no), consideri questo gigante eclettico, inventato per l’Esposizione Universale del 1929, come emblema della città. Noi stiamo cercando il Parque di Maria Luisa raccomandato come verziere speciale, fuori porta (dentro restano i padiglioni dell’Expo ‘29, un Museo dei Costumi Popolari e un Archeologico chiuso per restauro). I giardini sono vasti ma non eccezionali (anzi) e la Plaza ci appare né bella né brutta, esempio di megalomania espositiva, che vuole manifestare al mondo la potenza Spagnola (soprattutto rispetto alle Americhe). Ecco, se non l’avessimo vista penserei di aver perso qualcosa: così sono sicura di no.
ALLA SCOPERTA DI:
È anche un po’ così, Sevilla: noncurante dei propri tesori, indolente, come le arance che cadono a terra, si spappolano, mentre l’albero rifiorisce con le sue zagare.
L’ALTRO EXPO
Mi interessava di più vedere la periferia centrale recuperata per l’EXPO del 1992: l’isola della Cartuja. Ne avevo un vago ricordo (positivo), dal 1996. Invece, oggi, la Cartuja è davvero desolante: un manuale di abbandono e disuso per tutti coloro che abbiano velleità di un grande evento, per la propria città. Il viale del Descubrimiento (dal Ponte Barqueta al Ponte Cartuja), fatto a piedi, è un museo all’aperto dell’abbandono urbano: prati incolti, edifici in rovina, chiusi, abbandonati, degradati; marciapiedi impraticabili; accessi impediti; quelli che sono stati percorsi, pensiline, giardini sono un cumulo di macerie (in soli 30 anni). Acci. Entriamo nel perimetro del Convento, che è stato una grande fabbrica di azulejos (restano i camini dei forni) e le cose vanno appena poco meglio: è comunque deserto, la Chiesa chiusa, chiusi i cancelli e il Centro di arte contemporanea (non è il giorno d’apertura). L’installazione che fotografiamo, è una metafora: anche l’uomo di pietra vorrebbe fuggire da qui. Di fronte a lui, bellissimo, il rosone di Santa Maria de la Cuevas, ovviamente di azulejos. Confesso che non andiamo al Caixaforum (ci manca il coraggio) e la torre di Pelli (che avrebbe un hotel stellato) la vediamo dal bus, andando, per caso, a Turruñuelo (Girolo Siviglia 1).
TRIANA
Seguendo la Lonely Planet (forse l’unica volta), andiamo a Triana, un quartiere considerato centrale anche se oltre il Guadalquivir, Ponte di Santa Isabela. Dice la Guida che è imperdibile un aperitivo a Betis, guardando il profilo di Siviglia: la Torre d’oro (araba), la Plaza de Toros (bianca e amarilla), la Giralda, la Cattedrale, le palme del Paseo Colon. Bisogna andarci al tramonto, ma piove sempre. Di mattina, invece, Lonely consiglia di godersi la vivacità del Mercato (carino) e poi del Centro di Ceramica (che non vediamo). Noi, dopo un bar di omenassi, giroliamo senza mete, tra le famiglie che escono dalla messa dei Rami (le palme) e pochi avventori nei cafè sui “murazzi” di Betis. Quando ripassiamo il Ponte entriamo e usciamo nella Lonja del Barranco che era un Mercato (di Eiffel) ma adesso è una food-court, con 9 punti di ristoro molto trendy. Ci sediamo, bastian cuntrari, a La Chalà in Puerta Real, scelto a caso, moooolto carino.
SANTA CLARA
Vi ho già detto che ci siamo affezionati ad Alameda. Passando da calle Montano, di fianco alla bella Casa de la Sirenas, ermeticamente chiusa, si raggiunge Santa Clara, un gran complesso che l’Ayuntamiento ha meritevolmente salvato dal degrado. Stranamente aperto in Semana Santa (i musei civici sono desolatamente chiusi come il Centro Mudejar dietro il Mercato di Feria), ci permette di vedere portici pregevoli, con soffitti ad azulejos (non frequenti) ed un Refettorio delle Monache clarisse, di rara bellezza (gratuito e deserto). È anche un po’ così, Sevilla: noncurante dei propri tesori, indolente, come le arance che cadono a terra, si spappolano, mentre l’albero rifiorisce con le sue zagare. Dalla parte opposta a San Lorenzo, c’è Santa Catalina, altra periferia centrale. Giroliamo per i Monasteri di Santa Isabel (dove Cérvantes ambienta La Spagnola Inglese), di Santa Paula; le chiese di Santa Marina, San Marco, San Julian (di fronte un bar da omenassi che è un alimentarista e serve solo chacina e queso appena affettati); il Giardino de la Valle, piccolo ma lussureggiante (meglio di Maria Luisa). Prendiamo calli ignote, passiamo la Ronda dei Cappuccini e finiamo, tra condomini periferici qualunque, a Casa Galàn un ristorante decisamente non turistico. Calamari a la plancia, solomillo al whisky, fideus negri con merluza, squisiti. Eravamo in cerca di una paella, ma la troveremo vicino a “casa”, in Alameda: buona quella di Alcazar Tapas (calle Peris-Mencheta) e buona quella del nostro bar Las Columnas. Ma, voglio dire, che Siviglia fa le paelle perché le chiedono i turisti: non le sente come proprie. All’Alcazar Tapas torniamo 3 sere, dopo aver sperimentato anche Bacalao che perde il confronto. Stefano si appassiona alla Carrillada (le guance di maiale brasate).
LA MEZQUITA DI CORDOBA: SINDROME DI STENDHAL
Decidiamo di andare a Cordoba, prenotiamo la Mezquita. Basta metterci piede per essere rapiti: nessuna immagine vista e stravista vi dà nemmeno l’idea dell’emozione. Spazio immenso (23.000 metri quadrati), foresta di colonne ed archi (bianchi e rossi), oltre 1.200, Atmosfera indescrivibile, nonostante la folla di visitatori. Imperdibili e stupefacenti il Qibla e il Mihrab, di somma eleganza araba. Magnifici gli intagli ricamati tono su tono. Magnifici quelli rosseggianti con inserti “scritti” in bianco e nero. Emozionanti tutti gli inserimenti cattolici (gotici e rinascimentali), cappelle, cori e altari aggiunti alle preesistenze di moschea. Bello tutto, molto bello, speciale, unico. Così bello da mettere in secondo piano il Patio degli aranci (un terzo dell’edificio), il che dice tutto. Facciamo i turisti e giroliamo con un bus che ci prende e riporta in Stazione: abbiamo poco tempo e riusciamo a vedere il Ponte Romano (bello) sul Guadalquivir fangoso, qualche piazzetta e calle (suggestiva), il Colonnato romano trovato per caso demolendo il vecchio Ayuntamiento (sig). La mezquita di Cordoba mi ha stupefatta: come di sindrome stendhaliana, il secondo in pochi giorni, un record. Que viva Andalusia.