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GLI ABRUZZI 1988

Correva l’anno ‘88, 36 anni fa. Stefano ed io girolammo l’Abruzzo, con qualche sforamento nel Lazio di Anagni e Canterno, Subiaco, Isola del Liri. Il ricordo era appuntato su Scanno: le donne che pulivano i carciofi sedute fuori casa. Lampi di Sulmona, con il suo acquedotto romano inurbato; Penne dove avevo comperato Le Novelle della Pescara di D’annunzio, mai letto. Lo inizio a Vasto, 36 anni dopo, e lo abbandono subito: La Vergine Orsola è un racconto gotico (altro che verismo!!), di sensualità greve e un po’ truculenta (malattia, violenza, morte). Poi, mi ricordavo Pescocostanzo, il Cinquecento montano, alcune rare fotografie di me, con bermuda e T-shirt, il mio dress code di maschietu (come mi chiamavano a Vernazza), anche se avevo passato i 30. Ricordavo il paesaggio del Gran Sasso, come “quasi lunare” e volevo tornarci. Non avevo nemmeno blandamente l’idea di un luogo così meraviglioso come ho ritrovato nel 2024 e a cui dedico il Girolo Icona Gran Sasso. La Girolona conferma che dove sei stata devi TORNARE: per dare una occasione al brutto e per capire meglio il bello.

ALLA SCOPERTA DI:

MARE D’ABRUZZO

Ho scelto due alberghi: a Vasto sulla costa e a L’Aquila appena fuori dalla “zona rossa”, due passi due dalle 99 Cannelle. Abbiamo un ricordo pessimo del Mare di Francavilla, nell’anno delle mucillagini in Adriatico (1992?): dobbiamo correggere le nostre percezioni e riabilitare la costa tra il Conero e il Gargano. Ad Alkimia, un hotel moderno bello, sobrio ed elegante in mezzo agli ulivi, ci suggeriscono Punta Aderci e ci andiamo: sito aperto e ventoso, a cavaliere di due spiagge che sembrano proprio belle, con un intorno sgombro (marina di Vasto è fitta di brutti edifici). C’è persino un trabocco (la definiscono Costa dei Trabocchi). La seconda passeggiata marina la facciamo ad Ortona, località Ripari di Giobbe, quattro o cinquecento scalini (mille a scendere e risalire), per una mezzaluna pietrosa, quasi deserta e un’acqua invitante, verde vitreo. A Vasto Marina scopro le cozze alla vastese (ripiene di pane in sugo di pomodoro). A Vasto alta saliamo una sera (bella la Fortezza illuminata, qualche rosone abruzzese). Forse, come Lanciano (dove sostiamo per un gelato), meriterebbe più tempo. La signora che fa le colazioni ad Alkimia prepara solo per noi dei dolcetti squisiti, farina vino e olio evo, con un cuore di marmellata; quella di arance amare è la più buona che ho mai mangiato (alla faccia della Brexit!!).

Sembrava una città chiusa [… ] 

nella riservatezza dei suoi abitanti.

Ma poi si aprivano improvvise 

le piazzette luminose, 

i sagrati delle chiese, facciate e portali.

 L’Aquila, con una densità di monumenti

paragonabile a Siena. Ma più nascosta.

DI PIETRANTONIO, POSTFAZIONE A BELLA MIA

L’AQUILA

Del capoluogo avevo un’unica diapositiva, San Marco, e ricordiamo che non ci eravamo fermati: capita che io sia contrariata per la viabilità ostica, per difficoltà di parcheggi o per un primo impatto troppo cupo. Stefano ricorda perfettamente che a L’Aquila successe così, nell’estate del 1988: mi andò per traverso il primo approccio e siccome al tempo non avevamo mai mete stabilite, men che meno prenotazioni, tirammo dritto (verso Pescocostanzo o Scanno). Mi è rimasto questo senso di debito, verso l’Aquila che, invece, mi era simpatica perché ci viveva una certa Giuliana la quale, come noi, faceva il mare a Baratti (Girolo Baratti). Lei incarnava una tipologia che mi affascina: donne eleganti e brusche, si capisce che hanno radici montane, qualcosa di pietra anche se gentile. La Guida Verde del TCI scrive che sia così chi abita a L’Aquila: signorile senza smancerie, gentile non affettato e via così. Quando siamo approdati in città, mi ero già formata l’idea che sia questo il carattere abruzzese (è così anche il Gran Sasso), ma a L’Aquila il tasso di signorilità si tocca, non è sepolto sotto le macerie. Leggo che sia stato recuperato il 75% e si vede: sembra un luogo molto molto manutenuto, come NON potrebbe essere senza il sisma, i disastri che vanno recuperati e i moltissimi denari per farlo. A Parco 1932, un lussuoso negozio di fragranze, il signore impeccabile che lo gestisce, mi spiega che NON esiste, nella profumeria di nicchia, differenza di genere (evvai!), lo fa senza alcun sussiego come parlasse di materiali edili, non ha inflessione snob. Faccio incetta di aromi d’ambiente, derivati dalle leccete del Gran Sasso (mi viene in mente il forest bathing, Girolo Panoramica). È lui che mi dice: nel centro storico abitavano 19 mila persone, ora siamo 5 mila, non tutti vogliono tornare, affittano (AirB&B); gli dico che vengo da Venezia, so come succede. L’idea di Parco 1932 è venuta ad un uomo della comunicazione, tal Paride Vitale (compagno di Vittoria Cabello in Viaggi Pazzeschi): nativo abruzzese ha una agenzia a Milano e ha scritto una Guida D’Amore e D’Abruzzo, uscita quest’anno. Ne ho lette alcune pagine ad Alkimia e ho trovato degli spunti: non è la narrazione che preferisco -piena di personaggi che fanno tendenza- ma farà bene alla regione. L’Aquila, nel 2026, sarà Capitale Italiana della Cultura: il restauro sarà vicino al 90%, verranno tante persone e tutto aiuta. Oggi, è ancora a macchia di leopardo: zone lussuosamente recuperate, dove trionfano chiese coi rosoni e la facciata mozza -tipica Abruzzese- palazzi rinascimentali eleganti, tocchi di barocco bianco e settecento sobrio; aree tutte imbracate, castelli di tubi Innocenti, facciate senza interno, cumuli di detriti e gru altissime, desolata cupezza; aree di brutta contemporaneità (subito all’esterno della zona rossa) che hanno subìto comunque cedimenti ed abbandono. Fa forse più impressione l’edilizia in disuso, di grandi dimensioni e di nessun valore estetico, dei monumenti ancora in attesa di complicati e costosissimi recuperi (molte Chiese). Pensiamo che il sisma sarebbe un’ottima occasione per DEMOLIRE le orrende modernità, ma sappiamo che costa comunque tanto, lavoro lungo e di scarso effetto. Nel 2026 nessuno verrà per vedere “crateri urbani vuoti”, quello che si chiama brownfield: qualche castello di tubi, qualche gru, qualche facciata senza interno, sarà invece, sarà un “memento” accettabile del sisma. Che si sappia e si ricordi. La prima sera a L’Aquila piove, il centro è quasi deserto e non fosse per l’accoglienza dei Fratelli Nurzia (insieme alle Sorelle, gli specialisti dei torroni aquilani), un locale vecchio stile, dove si beve un caffè al torrone squisitissimo. In giro, nessuno e ci dispiace, mangiamo bene a Elodia, dentro un palazzo restauratissimo e bello. Ma, le sere successive, il nostro cuore viene confortato da un tramonto luminoso, sul selciato appena rifatto del Corso, della Piazza Duomo, della Fontana Luminosa e del Cafè Nurzia che è già diventato nostro. In giro c’è una movida, giovane e rumorosa: per la prima volta l’happy hour mi pare un rito salvifico, un resurrexit: saranno questi ragazzi, magari universitari di fuori, a ridare vita a L’Aquila, col loro fare aperitivo?! Chissà.

PESCOCOSTANZO E NAVELLI

Pescocostanzo è da visitare: la ritroviamo più bella e tirata a lucido, rispetto al 1988. Non tutto il turismo vien per nuocere, almeno per la conservazione “dei muri”. Noto che nel 1988 avevo fotografato “bene”: quello che adesso è messo in valore. A Navelli (paese dello Zafferano), invece, saliamo per caso e trovo Maresciallo, il pastore abruzzese del mio amico Zuma a Pettinengo, nel 1972: è identico e mi commuove. Bianco come le pietre delle strade, in un saliscendi tipico dei borghi abruzzesi. Stanno restaurando molto e speriamo bene. Da L’Aquila a Teramo, paesaggio magnifico, mi ripeto. Teramo ha ancora parecchie gru, la sua Cattedrale merita la visita: ci sono dettagli che ricordano Bominaco, tra cui i leoncini stilofori che nel sito dei monaci hanno rubato “su commissione”, mentre qui resistono e sono stupendi. Il portale decorato a mosaici e il rosone fanno la loro parte; l’interno è “pulito” cosa frequente in questa regione, che ha scelto di depurare dalle superfetazioni barocche, restituendo valore alla essenzialità delle basiliche originarie. Spiccano, così, le strutture essenziali, colonne, capitelli, grandi archi ogivali, navate profonde e spoglie, qualche lacerto di affresco primitivo, talvolta bellissimo. Noi, che conosciamo Antelami, i Pisano, Aquileia e Cividale del Friuli (Giroli Parma Friuli), scopriamo questo Medioevo Abruzzese, prezioso e misconosciuto. Penso che l’ombra di Roma sia lunga, arrivi fino agli Abruzzi e oscuri le loro gemme d’arte: o forse Roma e Vaticano hanno considerato gli Abruzzi come propria estensione naturale, come qualunque terra o gente, “intorno”. Negli Abruzzi, Celestino V appare ovunque, come deus ex machina, e questo avvalora il mio sentimento di lunga ombra romano-papale. Il mesclùn fatto, con le diapositive del 1988, mi aveva fatto sovrapporre -per dirne una- lo Speco di Subiaco alle cripte abruzzesi e il Lago di Canterno a quello di Capestrano; verifico -per dirne un’altra- che l’Albergo e Osteria del Gallo che cerco invano a Sulmona, è ad Anagni. Insomma, anch’io ho fatto delle terre tra Roma e L’Aquila un tutt’uno. Bisognerebbe rivalutare l’intestino italiano, lungo la Linea Gustav (quella che si tirò dopo lo sbarco alleato al Sud). A proposito: ero sicura che mio padre fosse venuto sul Gran Sasso, con la Giò, negli anni Settanta, MA mi sorge il dubbio che ci fosse stato una prima volta, proprio nella sua risalita da Cassino, quando fingendosi morto era sopravvissuto ad una fucilazione tedesca. Leggo nella Guida di Vitale, che un’idea è proporre gli Abruzzi come wedding-destination: se ha portato tanta fama alla Puglia, perché no. L’idea di Campo Imperatore arredato di yurta stile Tibetano ed invitati che scendono con l’elicottero, mi fa orrore e non oso pensare cosa direbbero mio padre e Maresciallo

SULMONA

La società dello spettacolo non conosce confini e non sa darsi limite, e potrebbe sposarsi alla produzione tradizionale di confetti, icona di Sulmona (marca Pelino e altre). A parte il caleidoscopio dei confetti, lei appare signorilmente bianca, decorata senza sbavature da colonnine ritorte, trifore, portali con rilievi, rosoni severi, scalinate a imbuto. Piazze e scorci monumentali, debitamente ripuliti e messi in valore, con garbo.